Sure, 81 mld di euro per il sostegno al lavoro di cui oltre 27 all’Italia

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Sure (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency). Insieme al Mes e al Recovery Fund è una delle tre reti di sicurezza messi in campo dalla Commissione europea per rispondere alla crisi conseguente al Covid. Rispetto agli altri due strumenti citati, il Sure è finalizzato a proteggere i posti di lavoro e i lavoratori a rischio.

La proposta della Commissione al Consiglio Ue prevede l’attivazione di un sostegno finanziario complessivo di 81,4 miliardi di euro per 15 Paesi, tra cui l’Italia. Per l’Italia sono previsti 27,4 miliardi di euro, la quota più alta. Tra gli altri stati destinatari seguono la Spagna (21,3 miliardi) ed il Belgio (7,8 miliardi). Gli aiuti saranno stanziati sotto forma di prestiti con interessi agevolati.

L’attuazione del Sure dovrebbe consentire all’Unione di rispondere alla crisi sul mercato del lavoro in modo coordinato, rapido ed efficace. Si mira ad attenuarne l’impatto per le persone e i settori economici più colpiti. A mitigare, inoltre, gli effetti diretti di questa situazione eccezionale sulla spesa pubblica. Il tutto in uno spirito di solidarietà tra gli Stati membri.

Che cos’è e come funziona Sure

Nello specifico, i finanziamenti del Sure concorreranno a coprire i costi direttamente connessi all’istituzione o all’estensione degli strumenti nazionali di riduzione dell’orario di lavoro. Ai lavoratori dipendenti verrà erogato un sostegno pubblico per le ore non lavorate. Per l’Italia, in sostanza contribuirà a finanziare la cassa integrazione. Per i lavoratori autonomi saranno messe in campo misure analoghe.

Sarà la Commissione europea a contrarre prestiti sui mercati finanziari per finanziare quelli agli Stati membri. Questi, pertanto, beneficeranno del rating di credito dell’Ue che è decisamente migliore del loro. Gli Stati membro dovranno fornire un sistema di garanzie volontarie nei confronti dell’Ue per il 25% dell’ammontare massimo dei prestiti accordati. Come per il Recovery Fund lo strumento ideato dall’Ue per acquisire i finanziamenti è qualcosa di simile all’emissione di eurobond.

Sure. Draghi lo metterebbe nelle fonti di debito cattivo

La si metta come si vuole, anche il Sure – come gli altri strumenti ideati per fronteggiare la crisi economica – è un fattore di incremento del debito pubblico. Un fattore che, in tempo di pandemia, ha di gran lunga sforato i vincoli imposti dai Trattati europei. Nel suo discorso al meeting di Rimini, l’ex governatore Bce Mario Draghi ha pragmaticamente certificato che non si poteva fare altrimenti.

Draghi, però ha fatto distinzione tra debito buono e debito cattivo. Quello “cattivo” concernerebbe l’erogazione di sussidi per sostenere i consumi e consentire alla popolazione più disagiata di sopravvivere. Quello “buono” è finalizzato all’investimento duraturo nel tempo. Il Sure fa sicuramente parte del “debito cattivo”.

Va osservato, però che l’acquisizione di prestiti Sure libera risorse di pari importo già impegnate dagli Stati per la cassa integrazione o strumenti analoghi. Sono comunque importi da restituire a tassi più alti agli operatori di mercato. Tali risorse potrebbero essere indirizzate verso investimenti produttivi e nuova creazione di posti di lavoro. Trasformandosi così in “debito buono”.

Politiche attive del lavoro. Cosa sono?

L’investimento più idoneo per fronteggiare le crisi del mercato del lavoro è il finanziamento di politiche attive. Secondo taluni osservatori tali politiche potrebbero essere finanziate anche con fondi Sure. É questo il messaggio emerso nel corso di una videoconferenza della Fondazione Consulenti per il Lavoro, il 26 maggio scorso.

In Italia, le politiche attive del lavoro sono un oggetto quasi sconosciuto. Esse comprendono tre aree: 1) Formazione professionale; 2) Orientamento al lavoro; 3) Incrocio della domanda e dell’offerta di lavoro. La formazione professionale è di competenza delle regioni. Di fatto, le regioni finanziano soltanto l’obbligo formativo. Quello rivolto ai giovani al di sotto dei 18 anni. La formazione per adulti è lasciata ai privati, con costi a carico degli allievi. Cioè proprio ai disoccupati o i sottoccupati.

La formazione permanente per i lavoratori occupati è a carico dei datori di lavoro. Quindi, in balia delle loro strategie di permanenza sul mercato. L’orientamento al lavoro è un altro oggetto misterioso, lasciato all’iniziativa (e al finanziamento) degli enti locali e delle università più illuminate. L’incrocio della domanda e dell’offerta di lavoro è una materia che dovrebbe essere pane per i denti dei “navigator”. La categoria recentemente istituita per l’attuazione della legge sul reddito di cittadinanza. I loro risultati pre-Covid sono stati assolutamente marginali. L’acquisizione dei fondi Sure potrebbe essere veramente un’occasione per trasformare le politiche del lavoro dello Stato italiano. Speriamo di non dover dire, per l’ennesima volta: “del senno di poi sono piene le fosse!”.

Foto di Capri23auto da Pixabay

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