Neuroscienze e diritto a confronto

Quando si parla di neuroscienze ci si riferisce ad un insieme di discipline che hanno in comune la finalità di comprendere come il cervello renda possibili i fenomeni mentali ed i comportamenti umani (in un passato recente inaccessibili all’indagine scientifica).

Lo scopo di queste discipline è capire come la mente emerga dalle fondamenta biologiche, cioè dal cervello. In questa prospettiva, quindi, la mente è ciò che il cervello fa. Se il cervello è ferito, anche la mente devia.

Si è così riaffermato uno dei temi principali di discussione che aveva impegnato i filosofi e gli scienziati del XX secolo e cioè se le attività mentali (pensiero, emozioni, volontà, ecc.), siano funzioni differenti dalle attività cerebrali (movimento di un arto, percezione di un’immagine, ecc.) o se anche queste rappresentino altrettante espressioni funzionali degli stessi neuroni che costituiscono il cervello.

Nel corso degli ultimi trent’anni le neuroscienze hanno cercato di chiarire come alcuni processi mentali siano correlati a particolari tipi di comportamento e le ricerche hanno dimostrato l’esistenza di un legame tra geni ed ambiente e che tale relazione può influenzare le funzioni mentali, le attività del cervello e, di conseguenza, il comportamento degli individui.

Emerge, insomma, una nuova immagine dell’uomo, che arriva a scontrarsi con le più consolidate convinzioni dettate dal senso comune e che presenta un uomo diverso dall’essere libero e razionale in grado di autodeterminarsi ancora oggi prevalente nell’idea comune (idea modulata e codificata dal diritto).

Si riaccende dunque il millenario dibattito filosofico sul libero arbitrio, che scuote le basi degli ordinamenti giuridici ed in particolare del processo penale.

Noi conosciamo una giustizia retributiva (male fatto/male ricevuto), rieducativa e in prospettiva perfino riconciliativa, ma con l’affermazione delle neuroscienze e della ipotesi che le nostre scelte e le nostre preferenze nascano a livello non cosciente e che il nostro ragionare sia sottoposto alle implicazioni del sistema neurale, si prospetta all’orizzonte anche un nuovo senso di giustizia.

Nella responsabilità personale di cui all’art. 27 della Costituzione italiana, entrerebbe in gioco la dimensione emozionale. Avremmo cioè un nuovo concetto di responsabilità personale e l’art. 90 del codice penale, basato sull’irrilevanza (in una persona sana) degli stati emotivi ed emozionali che non escludono né diminuiscono l’imputabilità, verrebbe messo in crisi.

Sull’argomento si è svolto recentemente un convegno presso la Camera dei Deputati, nel quale sono intervenuti due neuroscienziati (il Prof. Piergiorgio Strata e il Prof. Giacomo Rizzolatti) e il giurista ex ministro della Giustizia e presidente della Corte costituzionale Prof. Giovanni Maria Flick.

Per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento, questo è il link del video relativo al convegno.

Foto di Sabine Zierer da Pixabay

 

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