UK – Italia e l’attrazione per i paesi emergenti

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UK e Brexit

Quando hanno deciso di votare a favore di Brexit, i britannici volevano prendere le distanze dall’Europa e dalle sue regole per tornare ad essere, finalmente, liberi in casa loro: volevano essere i signori indiscussi della loro isola isolata, sbarazzarsi degli immigrati che facevano lavori umili e vivevano coi sussidi governativi e, ovviamente, chiudere le porte ai migranti. La strada si è rivelata più lunga del previsto.

All’indomani del referendum in favore di Brexit, l’allora primo ministro David Cameron, convinto europeista, si dimise e venne sostituito da Theresa May.

Ritrovatasi a risolvere il problema del secolo, ossia definire l’accordo di uscita dall’Europa, la povera Theresa ha trascorso tre anni di inferno, tra accordi che non andavano mai bene e voti di sfiducia, e alla fine ha ceduto il passo a Boris Johnson. Da quel momento in poi, la politica britannica ha mostrato un volto nuovo. Eravamo abituati a politici algidi ed efficienti, seri e compassati; Boris Johnson ci ha fatto scoprire che anche in UK esistono i cialtroni.

Dopo l’ennesima bugia, Boris ha lasciato il posto ad una meteora: Liz Truss, 45 giorni di governo. Noi italiani di governi lampo ce ne intendiamo e abbiamo fatto di meglio, con i 32 giorni di De Gasperi nel ’53 ed i 22 del governo Fanfani nel ’54, però 45 giorni, bisogna riconoscerlo, sono un dignitoso terzo posto.

Spentasi la stella di Liz, sulla scena politica è apparso Rishi Sunak, nel quale il paese ed i Tory riponevano grandi speranze: di origini indiane, ex banchiere di alto profilo, Rishi sembrava la persona adatta a guidare un paese economicamente sotto stress nel post Brexit e post Covid. Al suo fianco, come ministro dell’interno, un’altra figlia di immigrati di origine indiana: Suella Braverman, ex avvocato generale dello stato e ex ministro dell’interno con Liz Truss.

Sunak e Braverman sono l’antitesi dei politici italiani: noi eleggiamo gente senza altra professionalità che la politica e non abbiamo ancora una seconda generazione di immigrati radicata. Abbiamo avuto un solo ministro naturalizzato italiano, Cécile Kyenge, ed è finita che siamo sembrati un popolo di razzisti grazie ad un parlamentare: dopo aver detto in un comizio che la Kyenge, cittadina italiana, doveva andare a casa sua a fare il ministro, il nostro rappresentate politico ha ritenuto simpatico aggiungere “amo gli animali, per carità… ma quando vedo uscire delle sembianze da orango rimango sconvolto”. 

Una frase così, in UK, avrebbe comportato l’oblio perenne di chi la ha pronunciata; in Italia, invece, l’unico oblio che conosciamo è quello della memoria; e infatti quel deputato è, oggi, un ministro della Repubblica. 

Se la memoria marca la differenza tra Italia e UK, la questione migranti riavvicina incredibilmente i due paesi: Brexit era la promessa di rendere la Gran Bretagna ai Britannici, in Italia si vociferava di chiudere i porti e rendere l’Italia agli italiani, tutte promesse che hanno fatto presa su un certo tipo di elettorato e che, in qualche modo, andrebbero adesso mantenute. 

Suella Braverman aveva avuto un colpo di genio: spedire i richiedenti asilo ad attendere l’esito della domanda in Ruanda, uno degli stati più poveri del mondo e dal discutibile senso della democrazia. 

Chiamata a valutare la corrispondenza della norma alla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo, la Corte Europea ha espresso perplessità sul fatto che, in Ruanda, i richiedenti asilo sarebbero stati al sicuro ed ha sospeso i trasferimenti. Ma Suella non è una che si arrende: se la Convenzione sui diritti umani è un ostacolo, basta uscire dalla Convenzione. Purtroppo per il suo progetto, la Suprema Corte Britannica ha ritenuto la norma contraria alle leggi nazionali, con questo chiudendo ogni altra discussione. Almeno per ora. 

Anche il governo italiano medita di spedire i richiedenti asilo altrove: in Albania, uno degli stati più poveri d’Europa. Idea che ha sorpreso l’Unione Europea la quale ha chiesto chiarimenti all’Italia. 

Considerando che i tempi per definire la procedura di asilo sono circa un anno (e più lunghi in caso di rigetto) e che, sulla base degli accordi presi, l’Italia potrebbe alloggiare in Albania un massimo di 3000 richiedenti degli oltre 140 mila registrati a metà settembre scorso nel sistema di accoglienza italiano (Fonte Unicef), il progetto non sembra ci aiuterebbe a stare più larghi, tanto meno a risparmiare. 

La Braverman, che si è inimicata anche la polizia e buona parte della comunità islamica dichiarando che la polizia inglese è faziosa ed accondiscendente con gli islamici, è stata costretta a dimettersi. 

Da noi, invece, l’idea di trasferire un miserrimo 2,14% dei richiedenti asilo in Albania piace, ché in fondo l’Albania non è il Ruanda. E tocca sperare che vada in porto, pazienza se butteremo via un sacco di soldi: la Braverman voleva uscire dalla Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo ma si è dovuta dimettere; noi, invece, saremmo capaci di chiedere di uscire dall’Europa. E non si può essere certi che sarebbero i politici e rimetterci il posto.

Foto di Rosy / Bad Homburg / Germany da Pixabay

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