In Italia come in UK la politica tiene banco e, se solo non fosse una cosa seria, farebbe tanto ridere.
Cambia la lingua ma non la sostanza: l’importante è farsi eleggere, eventualmente promettendo mari e monti. Poi a gestire il Paese ci si penserà. E infatti ci sta pensando molto bene Liz Truss, che ha combattuto aspramente per essere eletta e adesso deve gestire un paese senza sapere da dove iniziare. Almeno questa è l’impressione che i primi 38 giorni del suo governo hanno dato.
Ad una ad una le sue promesse elettorali si stanno dissolvendo: prima ha dovuto cancellare il taglio delle tasse sui redditi sopra i 150 mila pounds, adesso si è vista costretta a ritirare la proposta di ridurre le tasse per le multinazionali.
A farne le spese è stato il ministro dell’economia, Kwasi Kwarteng, destituito brutalmente dall’oggi al domani: un attimo prima era a Washington a stringere accordi commerciali e un attimo dopo si è ritrovato in volo per Londra, richiamato a casa per essere licenziato. Un brutto colpo sia per il governo della Truss sia per la dignità del paese, messa alla berlina da un richiamo così poco elegante.
Spetterà a Jeremy Hunt, nominato al posto di Kwarteng, gestire l’economia in affanno della Gran Bretagna.
Sullo sfondo delle vicende economiche britanniche c’è sempre Brexit e quel referendum che è il perfetto esempio di quel che si intende parlando di una “vittoria di Pirro”: liberi dall’Europa ma isolati economicamente. Cos’ha da offrire, adesso, la UK? Di certo una città incredibilmente organizzata come Londra ed un sistema giudiziario efficiente ma non è abbastanza.
I conti sono in rosso ed il bilancio di uno stato non è poi molto diverso da quello dei privati: entrate ed uscite devono essere bilanciate e vivere in deficit, ossia spendendo più di quanto si guadagna, non è possibile nel lungo periodo.
Così la UK, che si è liberata dal “giogo” dell’Europa, come i sostenitori di Brexit hanno ripetuto ai loro elettori, adesso non può permettersi tagli fiscali perché ha bisogno di entrate; di contro, quei tagli erano tesi a rilanciare l’economia e ad attrarre aziende straniere che, a parità di scaglioni fiscali, è probabile preferiscano un paese dell’Unione Europea: lavorare in Europa significa avere un mercato unico di 300 milioni di persone contro i miseri 66 milioni dei britannici.
Chissà cosa avrebbero votato i britannici se fossero stati correttamente informati? Se, invece di sentirsi raccontare che avrebbero smesso di pagare i conti dell’Europa, avessero saputo quanto sarebbe costato loro la “libertà”? E chissà cosa riuscirà a fare Liz Truss e quanto il suo governo durerà? Sono in molti a scommettere che non arriverà a Natale.
Ma ci sarà pentimento nell’animo di coloro che hanno raccontato al popolo di mirabolanti vantaggi economici ben sapendo che mai avrebbero potuto mantenere quelle promesse? Chi glielo ha fatto fare alla Truss tutto questo casino? Pensare che ha passato la giornata a dare risposte ai giornalisti mentre, se avesse evitato di assumere un ruolo così oneroso, avrebbe potuto trascorrere una giornata rilassante, magari in un centro estetico a fare un massaggio facciale che potrebbe aiutarla a dimostrare la sua età effettiva, 47 anni. Da non credere, eh?
Si vede che la politica logora e forse più della politica logora il peso di un ruolo che richiede capacità, esperienza, professionalità e autorevolezza. Tutte caratteristiche che non basta dichiarare di avere perché poi, alla resa dei conti, se mancano si vede: ed infatti i conti della Truss non sono tornati.
Quanto all’autorevolezza, poi, è un riconoscimento che non dipende dal ruolo che si occupa ma dalla stima che viene tributata dall’esterno e se Re Carlo, incontrando la Truss per la seconda volta, ha mormorato qualcosa che suona come “Di nuovo qui? Santo Cielo! E vabbè…”, di strada per diventare autorevole Liz deve farne ancora tanta. E non è nemmeno detto che ci riesca mai.
Foto di Pete Linforth da Pixabay
Scrivi