E anche Liz Truss è andata

Gli inglesi ci avevano abituato ad una politica stabile, a primi ministri che rimanevano in carica per l’intera durata della legislatura e che, spesso, venivano rieletti al temine del quinquiennio; poi David Cameron ha indetto il famigerato referendum per Brexit e ha dato il via, senza saperlo, ad una nuova èra politica: quella del disastro. 

Dal 2016 a David Cameron sono succeduti Theresa May, Boris Johnson e Liz Truss. Questo solo per ora.

Chi ha criticato la May quando era in carica, la ha poi rimpianta quando è stata sostituita da Johnson; e chi pensava che con Bojo si fosse toccato il fondo si è dovuto ricredere davanti alle gesta della Truss, che è rimasta premier solo 45 giorni. Per trovare prestazioni così brevi occorre risalire nella storia britannica fino al 1782, quando Charles Watson-Wentworth, II° marchese di Rockingham, rimase in carica solo 97 giorni, che sono sempre il doppio di quelli della Truss e, a sua discolpa, bisogna segnalare che il mandato terminò perché lui morì.

Che il governo della Truss sarebbe stato speciale lo si era capito sin dall’inizio: l’eterna Elisabetta è morta subito dopo averla incontrata. Come inizio non c’era male.

Dopo aver sepolto la sovrana, la Truss ha proseguito nella sua opera demolitoria, abbattendo la sterlina e tentando di mettere in atto una strutturata distruzione dell’economia britannica fino a quando il suo partito la ha costretta a dimettersi. 

Così, ieri Liz è uscita dal portone di Downing Street per comunicare che aveva lasciato la guida del partito, carica che coincide con quella di primo ministro. Ha spiegato di essersi resa conto che non poteva perseguire gli obiettivi per i quali era stata eletta: in sostanza, il piano economico a bassa tassazione che, secondo Truss, avrebbe rilanciato l’economia del paese, è risultato inattuabile.

Adesso i Tory dovranno eleggere il nuovo leader/premier ed entro fine ottobre la UK avrà avuto tre primi ministri diversi nel giro di otto settimane. Una instabilità politica mai vista prima.

Che i premier succedutisi siano proprio tre c’è, per assurdo, anche da sperarlo: sembra che Boris Johnson, appena saputo che il ruolo di primo ministro era nuovamente vacante, abbia interrotto la sua vacanza caraibica e sia tornato a Londra pronto a ricandidarsi, come se non avesse fatto già abbastanza per il suo paese.

In realtà il più accreditato è Rishi Sunak, l’ex ministro del tesoro di Bojo, ma in molti, dato lo sfacelo, preferirebbero si tornasse alle urne.

Il problema di fondo, però, al di là del cambio di leadership, resta spiegare ad un paese che ha brexato convinto di essere ricco abbastanza da potersi isolare economicamente, che le cose non sono affatto così. 

La Gran Bretagna è sì ricca ma è anche fortemente indebitata e, semplificando, deve rendere conto ai creditori delle sue politiche economiche. Visti i conti dello Stato, i britannici, per adesso, possono scordarsi decantate flat tax e detrazioni fiscali perché, semplicemente, non hanno abbastanza soldi e non possono permettersele. 

I propagandisti di Brexit avrebbero dovuto essere molto più chiari con gli elettori, illustrando i costi connessi all’uscita dall’Europa ma forse era più facile cavalcare l’enfasi indipendentista per vincere le elezioni. 

Adesso, però, bisogna mantenere le promesse impossibili fatte in campagna elettorale e le cose non stanno andando molto bene, come tre premier in un mese e mezzo dimostrano. 

Governare è molto complicato in un paese che pretende il rispetto delle promesse elettorali e di questo, oggi, si stanno accorgendo un po’ tutti, salvo Boris Johnson il quale tornerebbe in carica subito. E se venisse davvero rieletto, riuscirebbe in un doppio miracolo: farsi eleggere e far rimpiangere Liz Truss. 

Ma questa è fantascienza politica: i Tory sono nel momento più buio della loro storia ma un Bojo-bis è troppo anche per loro.

Foto di SNCR GROUP da Pixabay

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