Inés de Castro: La sposa cadavere

Seconda metà del Trecento. Portogallo. Le vicende che legano l’Infante Don Pedro alle due donne della sua vita assumerà un risvolto macabro che supera qualunque fantasia gotica.

Amor che nullo amato amar perdona

E’ il 24 agosto 1339 quando l’elegante Costanza Manuel di Castiglia va in isposa all’Infante del Portogallo Don Pedro, figlio di Alfonso IV. Nel trasferirsi a Coimbra, la futura principessa del Portogallo insiste affinché la accompagni la sua fidata amica, cugina e dama di compagnia Inés de Castro: ha davvero bisogno di portare con sé un condensato degli affetti castigliani che sta lasciando, un ricordo vivo della Corte di Burgos, dei suoi luoghi natii. Costanza è giovane e felice. Non vede l’ombra annidarsi accanto a lei sin dai primi giorni del suo sfortunato matrimonio. E l’ombra ha nome amore, passione, attrazione. Sentimenti che sgorgano prepotenti nel cuore del bel principe e che sono diretti non già alla sua sposa, ma ad Inés, sbocciata in una bellezza davvero esaltante. Nonostante non ne faccia sfoggio alcuno, è inevitabile che il suo fascino oscuri anche quello della principessa; ed è fatale che investa anche Don Pedro con il suo carico di focosità: il loro è un colpo di fulmine che dà inizio ad uno dei più passionali e drammatici triangoli amorosi della storia.

Inizialmente Inés si ritrae, cerca di sfuggire alla lama dorata di un sentimento che le trafigge dolcemente il cuore, ma che, se assecondato, sarebbe anche foriero di indicibile dolore per sua cugina Costanza. Il suo ritrarsi, tuttavia, non fa che amplificare l’impeto passionale di Don Pedro, al quale infine ella cede: investita d’un antico amor cortese di dantesca memoria, non riesce a non riamare colui che la ama. Intrecciano una relazione adulterina, dunque, con grande scandalo per la Corona e, soprattutto, con grande sofferenza di Costanza, che, troppo mite per reagire a quell’insulto, si ritira in privato dolore nel silenzio della sua dimora, accudendo la prole che, nel frattempo, aveva dato alla luce, frutto di dovuti, prestabiliti incontri intimi con il marito, per ragion di Stato, la più antica delle ragion di Stato: l’eredità al trono.

Il primogenito, Luigi, nasce nel 1340. Stante il fatto che, per la legge allora vigente, la relazione intima tra un uomo e la madrina di suo figlio era considerata incestuosa, Costanza convince Inés a fare da madrina al bimbo, in modo tale da costringerla ad interrompere lo scandaloso amore con suo marito. Lo stratagemma, però, non funziona, poiché Luigi muore a pochi giorni dal battesimo. Tre anni dopo nasce Maria, futura sposa del principe Ferdinando d’Aragona e, nel 1345, viene alla luce Ferdinando, futuro re del Portogallo. La sua nascita segna il definitivo declino di Costanza, anche sotto il profilo fisico. Se è vero che la voglia di vivere genera  la forza necessaria a farlo, oltre ogni avversità, Costanza ne è priva. La sua tristezza, la sua angoscia, la sua profonda solitudine, la piegano verso una vita indesiderata e, provata dal recente parto, si ammala e muore.

La vedovanza rende Pedro libero di vivere la sua storia d’amore con Inés. Purtroppo, però, re Alfonso IV non vede di buon occhio quell’unione e si oppone al matrimonio: Inés è frutto di un’unione illecita, perché figlia di Pedro Fernandez de Castro, nipote dello stesso re di Castiglia, e di una sua amante. I natali illegittimi, la rendono inidonea a salire sul trono del Portogallo. Il re tenta di separarli. Tutto inutile: incurante dell’etichetta, Don Pedro segue con incredibile caparbietà la strada segnata dal suo cuore e va a convivere con la bella Inés, dimostrando a tutti, re compreso, che nessuno può dirgli chi amare o come. Anzi, pare che la sposi in segreto, sposando, con lei, però, anche quella parte della sua famiglia che, a ragion veduta, non gode di buona reputazione. I fratelli di Inés, in particolare, Álvaro e Pedro, forti dell’appoggio che avevano dal principe, assumono atteggiamenti spavaldi e violenti, tiranneggiando molti onesti sudditi.

Il re vede e tace, sebbene mediti un intervento risolutore che allontani il principe da quella donna e dai suoi fratelli.

Intanto, l’unione di Don Pedro e di Inés è allietata dalla nascita di tre bambini ed il menage prosegue nella gioia reciproca, nella serenità coniugale. Innegabile che il loro sia vero amore.

Alcuni tra i più influenti ed agguerriti Consiglieri del Re, Álvaro Conçalves, Diogo Lopes Pacheco e Pedro Coelho, da sempre ostili al principe Pedro, fanno pressioni sul Re affinché i due de Castro vengano resi inoffensivi. L’unico passo è togliere loro il favore di Don Pedro, allontanandolo da quella famiglia. I tre consiglieri adombrano l’inettitudine del Re a fare gli interessi del proprio Paese: se non è in grado di tenere le redini della sua stessa famiglia, non è nemmeno in grado, forse, di tenere quelle del Paese. Minaccia non troppo velata. Rischia grosso, Alfonso IV; tanto grosso da prendere una decisione davvero difficile: Inés deve morire. E’ l’unico modo per spezzare il legame tra Don Pedro ed i fratelli di lei. Ancora non sa cosa sta per scatenare.

La falce della Nera Signora

E’ il 7 gennaio 1355. Sono passati dieci anni dalla morte di Costanza. Re Alfonso IV, in compagnia dei tre perfidi Consiglieri e di una guardia armata, si reca personalmente presso la magnifica dimora di campagna che il figlio divide con Inés de Castro, vicino al Convento di Santa Chiara de Coimbra. Devono approfittare dell’assenza di Don Pedro se vogliono eseguire la condanna a morte che è stata decisa.

Inés è al corrente del disegno infame che si sta per compiere: certe notizie godono del favore del vento. Ciononostante accoglie il re con un mesto sorriso, accompagnata dai suoi tre pargoli ed attende che egli pronunci la condanna. Alla vista della delicata e fiera mitezza di quella donna e, soprattutto, di quei fanciulli, Alfonso IV perde il senso delle dure parole che era venuto a pronunciare: lei è amata da suo figlio e, forse, merita davvero tanta devozione; loro sono i suoi nipoti, figli di suo figlio, sangue del suo sangue. All’improvviso pesa enormemente la corona che ha sulla testa; vorrebbe essere semplicemente un nonno, un uomo qualunque che può permettersi di abbracciare i nipoti e, magari, andare a giocare con loro. Pertanto, incapace di far loro del male facendone alla madre, li saluta e lascia la stanza. Come in ogni tragedia che si rispetti, un velo di immobilità cade sui personaggi prima del consumarsi del dramma. Poco dopo tutto precipita.

I Consiglieri rimbrottano il re per essersi rimangiato la parola, per non aver dato inizio, attraverso la pronunzia della condanna, alla concordata esecuzione. Alfonso non ha nemmeno il tempo di rispondere, di spiegarsi, di convincerli a desistere, di dir loro che quei tre nipoti sono suoi nipoti e che nelle loro vene scorre tanto il sangue reale quanto quello di Inés, loro madre; non ha nemmeno il tempo di dir loro che non si deve uccidere nessuno, che non è quello il modo di agire e di risolvere le questioni della Corona. No, non ha il tempo di fare nulla, perché i Consiglieri stessi, coadiuvati dalla guardia armata, afferrano la bella Inés, che, nel frattempo, era uscita in giardino a salutare, e, davanti ai suoi figli, la trucidano a pugnalate, lasciandola affogare nel suo stesso sangue. Un’immagine che verrà perpetuata, in tutto il suo pathos, da molti drammi teatrali ed operistici moderni.

Il ritorno a casa di Don Pedro, quella casa che da luogo di gioia è diventata teatro di morte e che, da allora, sarà conosciuta come Quinta das Lagrimas, è segnato da un urlo disperato, profondo, come solo l’anima può essere, roco, come solo il dolore può risuonare. E, dalla caverna del suo dolore, emerge la più aspra delle vendette.

Radunato, tra i suoi fedelissimi, un esercito, Pedro scatena una guerra civile senza pari, spaccando in due il Paese. Ormai il Portogallo è un campo di battaglia: figlio contro padre. L’avanzata di Don Pedro assomiglia a quella della dea egizia Sekhmet scatenata da Ra: non si ferma davanti a niente. Distrugge, travolge, annienta luoghi e persone. Una valanga, una colata lavica, uno tsunami. Una voce solo potrebbe fermarlo e lo ferma, in realtà, quella della madre, Beatrice di Castiglia. Sono le sue parole a lenire il dolore bruciante del figlio ed a farlo desistere dal distruggere il suo stesso Paese, dall’annientare i suoi stessi sudditi, incolpevoli di tanto orrore. E’ così che, davanti all’arcivescovo di Braga, Don Pedro stipula una tregua con il padre, mai abbandonando il proposito, però, di vendicarsi degli infami Consiglieri una volta che fosse diventato re. E non deve attendere molto.

Nel 1357 Alfonso IV se ne va al cospetto dell’Altissimo con il suo carico di colpe, con la debolezza mostrata, prima nel volere la morte di Inés e, poi, mutato avviso, nel non impedirla.

Il potere che uccide, il cuore che ama

Il trono è ora del figlio, che regna col nome di Pedro I. Alla notizia della morte di Alfonso, i tre assassini di Inés fuggono, è ovvio. Sanno che saranno i prossimi a morire e tentano di farsi proteggere dal Re di Castiglia. Pedro gioca d’astuzia. Fa arrestare alcuni rifugiati politici castigliani e propone uno scambio. Anche il re castigliano si chiama Pedro I, ed anche lui sarà noto alla storia come Pedro il Crudele, al pari del suo omonimo portoghese. Il perché sia stato dato un soprannome simile al Re del Portogallo è presto svelato.

Castiglia accetta lo scambio viene accettato senza indugio. Álvaro Conçalves e Pedro Coelho cadono nelle mani di Pedro del Portogallo; Diego Lopes Pacheco, avvisato in tempo dell’accordo, riesce a sottrarsi all’arresto. I due vengono reclusi nelle prigioni di Santarem, nella Estremadura lusitana, e lì restano per lungo tempo, sapendo bene che sarebbero stati uccisi, ma non immaginando come.

Il Sovrano portoghese assiste personalmente all’esecuzione. I due prigionieri vengono condotti al suo cospetto ed egli li condanna a morire mediante asportazione del cuore. Al supplizio del primo, Pedro Coelho, assiste anche l’altro: le gambe gli tremano e l’orrore lo porta più volte sull’orlo dello svenimento. Il boia affonda il coltello nel petto del condannato, allarga la ferita e vi introduce la mano; quindi afferra il cuore ancora pulsante e lo strappa, portandolo al cospetto del Re. Pedro I non è ancora soddisfatto e stabilisce che la seconda esecuzione debba avvenire meno velocemente, in modo che la sofferenza sia amplificata: il boia dovrà strappare il cuore aprendosi un varco dalla schiena. Una simile sanguinaria, atroce, crudele vendetta non rende, certo, onore all’amore provato per la sua Inés, ma lascia comunque capire quanto profonda sia la sua ferita, quanto faccia male l’amputazione da lui subìta di una parte della sua stessa anima che, appare chiaro, albergava nel corpo della donna amata.

Placata la sua sete di sangue, Pedro comunica ai suoi sudditi di aver sposato in segreto, anni prima, Inés de Castro dinanzi al vescovo di Guarda, casualmente morto qualche giorno prima della dichiarazione e, dunque, impossibilitato a smentire. Inés, pertanto, era sua legittima sposa al momento della morte. In base a ciò ne annuncia l’incoronamento. Il popolo applaude la sua decisione, aspettandosi giorni di festa, sempre ben graditi a tutti, ed un’incoronazione della Regina in effige. I giorni di festa ci saranno, ma l’incoronazione avrà una sua macabra peculiarità.

Dal giardino della Quinta das Lagrimas, re Pedro fa disseppellire il corpo di Inés, uno scheletro vestito con abiti laceri, ordina di ripulirlo dalla terra e dalle larve che ancora lo abitano, di ricostruire artificialmente i legamenti e puntellarlo in modo da darle unità ed armonia, di vestirlo sontuosamente. Appare commosso. Nel suo sguardo innamorato non c’è più nulla dell’uomo che ha assistito imperturbabile all’atroce esecuzione di Coelho e Conçalves. Sembra quasi che i suoi occhi vedano, in quello scheletro, il vecchio splendore, il passato fascino, i delicati lineamenti che l’avevano fatto perdutamente innamorare.

Il Paese è in festa. Molti i nobili giunti da lontano per assistere all’incoronazione. Nessuno si aspetta di vedere quel che sta per vedere: lo scheletro di Inés de Castro avanza lungo il sagrato della cattedrale su una portantina circondata da una scorta d’onore. Indossa il mantello regale ed è circondata di fiori, decorazione scelta per la bellezza, ma, forse, anche per il profumo, adatto a coprire l’odore di morte che, nonostante tutto, segue quelle spoglie.

L’Arcivescovo, pallido e titubante, incorona il Re e la Regina del Portogallo, apponendo la corona sul teschio di quest’ultima, sotto l’assente sguardo delle sue orbite vuote, impietrito di fronte alla mandibola tenuta ferma da un gioco di legacci, affinché i denti appaiano stretti in un inquietante sorriso. Segue l’applauso della folla. Il macabro rito, però, non è ancora concluso: assisa sul trono, la Regina deve ricevere gli omaggi dei nobili e dei cortigiani. Lo impone il protocollo, ma soprattutto lo impone il Re e nessuno vuole mettersi contro quel Re. Iniziano, dunque, a sfilare verso la silenziosa Sovrana, inchinandosi a baciarle il mantello e l’anello che adorna la sua scheletrica mano. Nei loro occhi si legge non già l’orrore, ché nel medioevo si è avvezzi alla vista del sangue o delle ossa, ma la paura della morte trionfante, assisa sul trono.

Scende la sera. La Regina deve tornare al suo sonno eterno. Paludata con il manto regale, viene nuovamente deposta nella tomba, non già nell’avello scavato nella terra della Quinta des Lagrimas, ma in uno splendido sepolcro nell’abbazia cistercense di Alcobaça, ove una fine mano d’artista l’aveva scolpita in tutta la sua giovanile magnificenza, elegantemente vestita ed incoronata. Anche Pedro I dormirà il suo sonno eterno in quell’abbazia. Il suo sepolcro, che lo vedrà con le mani sull’elsa della spada, sorretto da sei leoni, simbolo della sua rabbia e della sua ferocia, sarà esattamente di fronte a quello della moglie, piedi contro piedi, come da lui voluto, in modo che allo squillo delle trombe della resurrezione, alzandosi, si troveranno l’uno di fronte all’altra, per sempre uniti.

Di certo, una storia d’amore tanto tormentata non può non muovere commozione; non può non alimentare la romantica speranza che Pedro ed Inés siano ora insieme in un qualunque altrove, finalmente in pace, perché, al di là della violenza, al di là dell’orrore, il loro legame è stato così forte che è davvero difficile pensare che non trovi la via per essere eterno.

 

10 Risposte

  1. Rocco Di Fiore

    La Dottoressa Raffaella Bonsignori , si è soffermata a descrivere di più il sarcofago lapideo finemente istoriato e decorato di Pedro I, però non si è soffermata su quello del personaggio centrale di questa tragica storia Ines de Castro, che è altrettanto lezioso non sarà sorretto fieramente dalle schiene di sei leoni ( di solito se ne mettevano quattro) ma schiaccerà le teste e i corpi deformi di sei monaci… E’ evidente che la fattura della sepoltura del Re sia condizionata da quella della Regina postuma, riesumata e tumulata di nuovo, prima del Re, allora vi chiedo: Perché il sarcofago è sorretto da sei personaggi schiacciati? Grazie!

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    • Raffaella Bonsignori

      Salve, mi scuso per il lungo tempo trascorso, ma devo aver perduto la notifica del suo commento e lo vedo oggi che me ne è stato notificato un altro. Ha ragione: il sarcofago della regina è altrettanto bello. Io non ho avuto la fortuna di vederli personalmente, ma le foto sono eloquenti. Sulle teste dei monaci credo gravino gli incrinati rapporti di Pedro con la Chiesa, il suo impegno a tenerla sotto controllo, addirittura a sottoporre le disposizioni papali ad approvazione regia, se non erro. Ma forse c’è di più. Io non lo so, ma sarei lieta se lei volesse parlarmene.

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  2. Salvatore Statello

    La scrittura è bella e di piacevole lettura, ma, mi dispiace dover evidenziare tante inesattezze storiche. Prima di scrivere e di pubblicare consiglierei di documentarsi bene..

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    • Raffaella Bonsignori

      Prendo atto della sua opinione e, siccome nessuno è perfetto e tutti possono sbagliare, sia io che lei, invece di fare il leone da tastiera e dare per scontato che non mi sono documentata, mi dica gli errori. Dal canto mio, sono ben lieta che le stesse cose che ho scritto io furono scritte nel 1958 da un famoso storico universitario, Leonardo Donati in un bell’articolo su Storia Illustrata. Certo, non ho consultato Wikipedia, ma la Storia del Portogallo sì. Ovviamente il tenore di un articolo online non può essere lo stesso di un saggio o di un trattato, ma sarei ben lieta di imparare qualcosa di nuovo. Da buona studiosa, non parto mai dal presupposto di sapere più degli altri. Anzi. Non smetto di imparare. La ringrazio per l’attenzione.

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    • Raffaella Bonsignori

      Ho ricontrollato le mie fonti e l’unico errore che trovo nel mio articolo, grande mia distrazione che provvederò a far correggere, è aver attribuito il rapporto di parentela di Ines a Costanza e non all’Infante, di cui era cugina di secondo grado perché figlia di Fernandez de Castro. Poi c’è un refuso su un verbo. Il resto fa parte delle fonti consultate e di quella che lei stesso, in una sua breve galoppata sulla storia di Ines nel sito del suo editore, definisce “tragica vicenda umana non scevra da elementi fantastici e leggendari”! Si scrive anche di questo.

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  3. salvatore statello

    Mi dispiace che ella parla senza conoscere i miei saggi. Non leggo Wikipedia, e gli articoli on line, come Ella ha messo, non faccia la saccente! Mi dispiace dover essere così come Ella è stata! Non conosco questo ch.mo prof. Donati, che ha pubblicato su Storia illustrata (forse rivista per le ‘buone fanciulle’. Ma ho tanto studiato le opere di Antonio de Vasconcelos (1928), il testo (proprio in questi giorni ripubblicato) di Maria Leonor Machado de Sousa, io ho studiato la prima edizione del 1987. Infine, se proprio vuole documentarsi bene, “studi” i miei testi rintracciabili in molte biblioteche italiane e straniere, non scrivo i titoli per non farmi pubblicità, evidentemente. Anch’io, da povero studioso, sto preparando un altro saggio, ma non confondo la Storia con l’opera lirica, narrativa o teatrale. Cordialmente.

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  4. Raffaella Bonsignori

    Sinceramente non conosco quelle che lei chiama “riviste da buone fanciulle”, ma, visto che lei ne parla, evidentemente le conosce bene, dunque prendo atto della loro esistenza. Di sicuro “Storia Illustrata” non è tra queste.
    Quel che non riesce a capire – e la trovo una cosa triste – è che un articolo divulgativo scritto su un quotidiano e non su una rivista storica può ben contenere riferimenti ad opere liriche e narrativa, perché non è uno studio accademico. A dire il vero, certi riferimenti io li inserisco anche nelle mie pubblicazioni universitarie di diritto. In questo ho preso dal mio Maestro Franco Cordero.
    Mi dispiace che lei si sia sentito chiamato in causa quando ho parlato di Wikipedia e che, peraltro, abbia interpretato il mio riferimento come un fatto negativo: anche in questo caso ha completamente frainteso quello che ho scritto. Rilegga con attenzione. Non sono avvezza ad offendere i miei interlocutori, al contrario di lei che, sin dal suo primo messaggio, mi ha attaccata con una supponenza indegna di uno studioso.
    Oltre a quello che ho letto on line, leggerò anche gli altri suoi scritti, con attenzione e senza preconcetti. A differenza sua, non sparo a zero su quello che scrivono gli altri solo per sembrare migliore. Certo, però, che, se nei suoi scritti l’uso del congiuntivo dovesse risultare disinvolto come quello del suo commento qui pubblicato, sin d’ora posso dirle che mi risulterà ostica la lettura!
    Ora replichi come e quanto vuole, se questo può aiutarla a sentirsi meglio. Per quanto mi riguarda la conversazione si chiude qui: non sono interessata a simili scambi dialettici.

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      • Catrina

        Ciccio, non prendertela. Non tutti possono essere saccenti e sgarbati come te. Riprova quando avrai studiato meglio l’italiano.

  5. Salvatore Statello

    Mi fa piacere notare che l’avvocato ha bisogno d’un altro avvocato dal nome molto fantasioso. Quando si è deboli si ricorre all’aiuto e agli insulti.

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