NYC: inferno o paradiso?

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Amare o non amare una città è una questione soggettiva: c’è chi adora Parigi e chi le preferisce Londra; c’è chi trova Roma incantevole e chi mai e poi mai vivrebbe in quella (meravigliosa) città incasinata. Nella varietà di opinioni e gusti, New York City è forse quella che attrae maggiori consensi: sarà perché in essa si vede la speranza di realizzare qualsiasi sogno, sarà perché è uno dei luoghi più ritratti al mondo, l’idea di poter vivere a New York City, e soprattutto a Manhattan, affascina molto più che immaginare di vivere a Londra o a Sydney.

Come sa chi mi legge e segue la rubrica London Eye, non sono un’amante di NYC , dove per tre mesi l’anno soggiorno piuttosto malvolentieri. Magari nel mio cuore già innamorato di Roma e di Londra non c’è spazio per un terzo amore, magari sono io che la prendo storta, fatto sta che a NYC mi sento sempre scomoda e fuori luogo principalmente per tre ragioni.

Per prima cosa, il rumore

Ogni città ha una sua voce e quella di NYC nasce dalla fusione del rumore di traffico, sirene di ambulanze e mezzi di soccorso unito a quello degli elicotteri (la città ne è sorvolata di continuo) e tutto si mescola in un incessante rombo di fondo, percepibile giorno e notte. È come una vibrazione a nota bassa che rimbalza tra le parete dei palazzi e che il vento spande per le strade, senza sosta e senza riparo. Non c’è possibilità di scampo: è un brusio perenne che penetra anche in casa, filtrando attraverso le finestre e che, una volta dentro, si mischia con i circa 100 decibel prodotti dai frigoriferi domestici (un frigo, in Italia, ne emette 40) e non lascia mai un attimo di silenzio. 

I ristoranti, poi, sono luoghi infernali: alle voci degli avventori (per solito accalcati in spazi troppo angusti) si unisce il suono della musica e più urla la gente più si alza la musica, in una gara all’ultimo grido in cui non ci sono vincitori ma solo un vinto: l’udito. 

La seconda cosa che non mi piace è il panorama.

C’è chi adora affacciarsi alla finestra e vedere file di edifici alti e altissimi, dai colori che sfumano dal grigio al beige, intervallati da muraglioni specchiati che, dietro i vetri, celano uffici o appartamenti. C’è chi trova incantevole alzare il naso e scorgere in lontananza, su su nel cielo, le cime di grattacieli che si contendono lo spazio con gli uccelli. E c’è chi non percepisce l’assenza di verde come un fastidio. Ecco, io no: io soffro. E soffro anche per la scarsa, se non inesistente, eleganza della città. 

A NYC, che ha poco più di 400 anni, non ci si può certo aspettare di trovare lo charme delle città europee e l’assenza di eleganza le potrebbe essere perdonata; il problema è che qui l’eleganza viene confusa con la “ricchezza”. Gli appartamenti considerati “eleganti” sono, in realtà, solo più costosi di altri; i palazzi “eleganti” sono quelli economicamente inaccessibili ai più; anche l’eleganza di un ristorante  è dovuta al conto salatissimo più che all’ambiente, nella erronea percezione che ciò che costa tanto sia elegante e che anche l’eleganza possa essere comprata.

E veniamo alla terza ragione per la quale non mi piace New York City: il denaro.

New York è una città costosissima: 5000 dollari è il costo medio per l’affitto di un appartamentino a Manhattan; una pizza (bevande a parte) non costa meno di 20 dollari; una colazione con cappuccino e cornetto 15/20 dollari; una cena decente non meno di 80 dollari; tagliare i capelli può costare 140 dollari ad un uomo mentre una donna ne spende circa 300. Tutti prezzi ai quali vanno aggiunte tasse e mancia e che quindi aumentano del 30% circa. Per non parlare del costo per le cure sanitarie, che senza assicurazione medica non sono accessibili.

“NYC non ti piace perché non sei abbastanza ricca per viverci” pensano molti di coloro cui esprimo la mia mancanza di amore per la città. Invece è peggio: io mi sento economicamente inadeguata, troppo povera rispetto al costo della vita eppure troppo ricca a fronte dei tanti, tantissimi poveri veri che si vedono per le strade. 

Vedere gente che “abita” sui marciapiedi, dorme accanto ai portoni o vive all’ingresso delle metropolitane proprio qui, nel cuore ultra ricco dell’Occidente, dovrebbe spaventare: qual è il futuro di un paese che abbandona chi non ha abbastanza denaro e che dimentica chi ha la colpa di non avercela fatta ad essere all’altezza della vita? Far finta che questi derelitti non esistano, passando loro davanti senza vederli, non è la soluzione e non lo sono nemmeno i pochi dollari che qualche “povero ricco” come me può condividere con chi è povero davvero.

Eppure NYC continua ad accendere sogni e speranze: ma davvero qui ogni sogno è realizzabile? È proprio vero che ci sono infinite opportunità per tutti? Insomma, cos’ha di straordinario questa città, che a me sembra più vicina all’inferno che al paradiso?

Mentre cerco qualcuno che possa rispondere a queste domande, passeggio per Central Park e qui, solo qui, mi sembra quasi di essere in un posto normale. 

Foto di greips da Pixabay

3 Risposte

  1. Lorenzo Spina

    Carissima, sono d’accordo con te. Vedo che anche a distanza di anni N.Y.C non è cambiata in nulla. Anche io provo quasi un senso di rigetto ( al contrario di altri che conosciamo molto bene!) quando devo parlare di quest città. In ogni discussione io sostengo sempre che N.Y.C. va vista come fatto culturale con una visita molto breve per poi interrompere, potendolo fare, ogni rapporto con la città.
    Un abbraccione
    Lorenzo

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