Il Paradiso di Dante: è la cantica più bella?

paradiso

Nell’immensa opera di Dante, l’Inferno, il Purgatorio, e il Paradiso si svelano come tre canti diversi di un’unica sinfonia dell’anima umana. Molti, forse tratti in inganno dall’oscura magnificenza dell’Inferno, credono che sia il regno più poetico, mentre il Purgatorio risplende di una luce meno intensa e il Paradiso, apparentemente, cede a una sorta di oscurità. Ma in realtà, il contrario la verità è nascosta dietro il velo delle apparenze.

Il Paradiso rivela la sua complessità solo a coloro che lo scrutano con occhi penetranti 

Paradiso, Purgatorio e Inferno. Il poema dantesco, un’epopea magistralmente orchestrata, è oltre la mera narrativa. Si estende al di là delle barriere del credo e offre una visione metafisica che abbraccia l’intero spettro dell’umanità: passato, presente e futuro, l’essenza stessa dell’essere umano.

Dante si erge come l’artefice supremo, tessendo con maestria un affresco delle passioni umane. Il Sommo Poeta scava profondamente, raggiunge il cuore delle emozioni, svelando la propria anima e la nostra con una risonanza universale. 

La Divina Commedia, così, si svela come un poema che abbraccia l’interezza dell’umano, dalla disperazione infernale al pentimento purgatoriale alla beatitudine paradisiaca. 

Analizzando il Paradiso, vediamo che Dante rivela gradazioni di beatitudine che si innalzano come vette di luce crescente. Questo canto, compatto e coeso, supera la natura episodica delle altre due cantiche? Alcuni grandi del passato ritengono di sì.

La visione di Thomas Elliot e Umberto Eco

Sebbene, per comprendere la maestosità dell’opera sia necessario comprenderla come un tutto unico, il Paradiso, almeno secondo alcuni illustri pensatori, è la cantica più bella.

A pensarla in questo modo, Thomas Elliot e Umberto Eco, che nel loro sostegno alla superiorità del Paradiso si basarono su un’analisi profonda delle dimensioni filosofiche, spirituali e poetiche del poema dantesco.

Umberto Eco (5 gennaio 1932, Alessandria-19 febbraio 2016, Milano), scriveva «il Paradiso è la più bella delle cantiche della Commedia» sottolineando il fatto che la poesia di Dante fosse un’opera di alta filosofia. Ma c’è di più. 

Per il semiologo e saggista di Alessandria, nel Paradiso Dante sarebbe riuscito a trasformare concetti filosofici in visioni poetiche, superando l’antitesi tra logica e poesia.

Thomas Elliot (26 settembre 1888, St. Louis, Missouri, Stati Uniti- 4 gennaio 1965, Londra, Regno Unito), a sua volta, affermava che la fatica del filosofo che cerca di trattare le pure idee non può coesistere contemporaneamente con la poesia, ma che la poesia può essere in un certo senso “filosofica”, in quanto il poeta può presentare i concetti come visioni. E nel Paradiso, Dante sarebbe stato ancor più capace di trasmutare i concetti in qualcosa di diverso, sublimandoli alla massima potenza. Ma ripercorriamo qualche passo che ci aiuta a comprendere la maestosità dell’ultima cantica.

L’allegoria di Dante dall’Inferno al Paradiso

Quanto alle numerose allegorie presenti nella Divina commedia, Umberto Eco, rifacendosi a Benedetto Croce, affermava che essa trasforma i concetti in visioni, rendendo l’idea espressa in modo immaginifico e offrendo così al lettore una visione potente e suggestiva. 

L’esempio più noto di allegoria nel poema è l’immagine della lonza, del leone e della lupa che Dante incontra all’inizio della sua discesa nell’Inferno. Queste creature rappresentano rispettivamente lussuria, superbia e avarizia, ma al contempo sono figure che evocano immagini vivide nella mente del lettore. 

Nel Paradiso, l’allegoria assume un ruolo ancora più profondo. Le immagini luminose e colorate (tipiche della concezione medievale), il crescente splendore delle sfere celestiali e la progressiva beatitudine dei beati rappresentano concetti filosofici e teologici, ma lo fanno attraverso una lente poetica e visiva. La luce, ad esempio, non è solo un concetto astratto di conoscenza o illuminazione, ma diventa una realtà tangibile e viscerale, che trasporta il lettore in un viaggio di esperienze sensoriali e spirituali. 

Nell’ultima cantica l’allegoria, quindi, si trasforma in una visione ancora più completa e coerente dell’umanità e della fede. E’ capace di far vivere al lettore l’esperienza di comprendere il divino e il terreno in un modo unico e coinvolgente. In questo modo, diventa una porta d’accesso alla profondità della sua visione, un modo di vedere le cose che va oltre il mero concetto, abbracciando l’immaginazione e la totalità dell’esperienza umana.

La crescita continua della beatitudine

Ma dimmi: voi che siete qui felici,

desiderate voi più alto loco

per più vedere e per più farvi amici?”

La domanda terribile posta da Dante a Piccarda Donati, primo personaggio che incontra nel Paradiso, rivela una verità universale, intrinseca in ogni essere umano, anche in un contesto paradisiaco. La curiosità del poeta si rivolge ai beati che già godono della beatitudine eterna, chiedendo se desiderino un luogo più alto per vedere e fare amicizia.

In pratica, Dante riconosce che l’animo umano ha una sete inestinguibile di conoscenza e connessione. Attenzione: la ricerca di un “più alto loco” non è solo una ricerca di posizione fisica, ma simboleggia un desiderio di approfondire la comprensione e di allargare il cerchio delle relazioni.

L’uso di parole come “felici” e “desiderate” sottolinea pertanto il contrasto tra la felicità già raggiunta dai beati e il desiderio incessante di crescita e conoscenza che caratterizza l’umanità. Dante sta implicando che anche nella beatitudine eterna, l’anima umana mantiene la sua innata ricerca di comprensione e amore?

La domanda non è solo un interrogativo ai beati, ma un richiamo per il lettore a riflettere sul proprio desiderio di conoscenza e connessione. 

La magnifica risposta di Piccarda

Frate, la nostra volontà quieta 

virtù di carità, che fa volerne

sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta...”

La risposta di Piccarda, pervasa da un profondo senso di contentezza, svela la saggezza essenziale alla felicità umana. La domanda sulla desiderabilità di un gradino più alto nella scala di beatitudine colpisce nel segno, poiché la verità che emerge riflette l’infelicità di molti esseri umani che resistono ad accettarsi come sono. Essere contenti di sé stessi, gestirsi con saggezza, è il cuore della vera felicità, apre le porte alla pace interiore. La differenza nei gradi di beatitudine, voluti da Dio e graditi alle anime, si manifesta dunque nella pace che deriva dall’accettare ciò che la divina volontà ordina.

La fede: “sostanzia di cose sperate” 

Nel luminoso tessuto della Commedia di Dante, la fede emerge come una linfa vitale, una forza in grado di plasmare la realtà più profondamente di quanto la ragione possa penetrare. Dante, con la maestria di un alchimista delle parole, scrive che la fede è “sostanzia di cose sperate”, una dichiarazione che apre le porte a un mondo dove il tangibile si fonde con l’invisibile, dove l’ardente speranza assume la concretezza di una realtà più vasta.

La fede, quindi, non è solo un atto di speranza, ma un elemento che conferisce sostanza a ciò che altrimenti rimarrebbe nel regno dell’incertezza. In questo misterioso alveo, Dante insegna che la fede attinge a qualcosa che sfugge alla visione razionale, ma che trova fondamento in argomenti forti, in una verità sussurrata dall’anima.

Aristotele e Dante. Amore greco e amore cristiano: altro punto altissimo della poetica nel Paradiso

A l’alta fantasia qui mancò possa;

ma già volgeva il mio disio e ’l velle,

sì come rota ch’igualmente è mossa,

l’amor che move il sole e l’altre stelle

Nel finale della Commedia, Dante attinge alla Metafisica di Aristotele per plasmare una visione profondamente filosofica e poetica del Primo Motore, cioè un “pensiero immobile“, in grado di muovere gli altri cieli senza alcun contatto fisico. E se nel pensiero greco, l’amore è spesso inteso come la ricerca di ciò che manca, un desiderio di colmare vuoti, Dante, con raffinata maestria, rielabora questo concetto aristotelico nella sua concezione del divino. Il Sommo infonde vita al concetto aristotelico, plasmandolo attraverso una lente poetica che trasforma la divinità in un “amante” che muove il mondo con la forza dell’amore.

Dante, sottolinea infatti che il Dio cristiano, il Primo Motore, non manca di nulla. Dio non è in cerca, ma è il completo, l’assoluto. In questo modo, crea dunque una sintesi tra il pensiero aristotelico e la sua percezione del divino, conferendo alla sua opera un carattere profondamente originale e ispirato.

La fede riconcilia ogni contraddizione  

Le terzine che ritornano al Purgatorio evidenziano la critica di Dante nei confronti di filosofi e teologi, accusati di eccessive pretese e di non accontentarsi di ciò che è possibile.

La terzina “Matto è chi spera...” affronta il tentativo folle di trasformare il dogma della Trinità in concetti comprensibili, sottolineando che la ragione umana dovrebbe accontentarsi di ciò che è capace di percepire, evitando l’errore di negare ciò che la ragione non può abbracciare completamente.

In uno splendore di visione, la terzina rivela la magnificenza del Dio uno e trino, un’apparizione che Dante, con la sua potenza di visionario, attinge all’invisibile, creando un’esperienza divina che va oltre le parole.

La fede, diversa dalla ragione, è dunque la chiave della contentezza umana. 

Qui, il nucleo pulsante di tutto il Paradiso, è rivelato con una chiarezza illuminante.

La fede, dunque, diventa il filo conduttore che guida l’anima attraverso il labirinto delle contraddizioni, rendendo la Commedia di Dante un inno alla potenza trascendente della speranza e della fede, che superano ogni limite della ragione.

Conclusioni 

La percezione del Paradiso come monotono è sfatata, rivelando una varietà poetica della beatitudine che cresce. Il crescere di luci e colori, medievale nel modo di percepire la bellezza, è trasformato da Dante in un simbolo del manifestarsi del bello, del vero e del bene, distante dalla concezione concettuale. Il Paradiso unisce magistralmente poesia, filosofia, ermeneutica religiosa e suggestione poetica. Tutte caratteristiche che fanno del Paradiso un capolavoro senza tempo, capace di affascinare e ispirare anche chi non condivide la fede del poeta.

Ecco perché Elliot, Eco e molti altri, la considerarono la più bella cantica della Divina Commedia.

Foto di 652234 da Pixabay

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