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Comunicazione e cronaca nera, c’è un nesso? Intervista al criminologo Francesco Bruno

Enzo Di Stasio
14 Settembre 2018
HomePage, L’intervista

Quello attuale è un periodo storico imperniato molto sulla fiction e sulla comunicazione. Se cerchiamo di trovare un nesso tra i fatti di cronaca nera più rilevanti, che sembrano essere anche più frequenti rispetto al passato, si ha la sensazione di una diversa percezione degli ideali e dei valori come erano vissuti negli anni precedenti.

Ne parliamo con il Prof. Francesco Bruno (foto), docente universitario, psichiatra forense e criminologo.  

Questa è una considerazione che ci si pone spesso come domanda, nel senso che ogni periodo storico modifica in qualche modo i valori sociali precedenti, e quindi c’è chi pensa che erano migliori quelli del passato, e chi al contrario giudica positivi quelli contemporanei. Anche rispetto alla percezione della criminalità questo è un sentire comune. Il cambiamento provoca sempre una certa inquietudine, un affievolimento delle certezze personali. Ad esempio per molti è difficile riconoscersi in questi mutamenti economici sociali culturali, generando un senso di profonda insicurezza verso il futuro. E qui entra un elemento importantissimo quello della comunicazione.

Parliamo dei mass media?

Parliamo della comunicazione in senso generale. I grandi cambiamenti storici hanno sempre avuto il bisogno della comunicazione. La storia dell’uomo è legata alla comunicazione, al passaggio di informazioni, che in molti casi sono diventati patrimonio culturale per centinaia di anni. La comunicazione è il mezzo fondamentale per la trasmissione del pensiero, della cultura, della vita delle comunità. Basti pensare all’evoluzione della scrittura, che ha permesso non solo di “fissare” il pensiero l’evento o anche le leggi. Le Tavole di Mosè, o i Codici di Hammurabi ne sono i più grandi esempi.

Quindi una evoluzione continua della comunicazione?  

Esatto. La comunicazione si evolve continuamente, e a questa sono connessi grandi eventi storici con cambiamenti epocali. La nascita della stampa, nel 1500, ha coinciso con la rivoluzione protestante, che ha mutato gli equilibri non solo religiosi, ma anche politici in Europa e nel mondo. La stampa di migliaia di Bibbie diede la possibilità di raggiungere molta più gente e quindi di dare una grande spinta al pensiero protestante. Alla fine  del 700 nascono i primi giornali, che diventano un ulteriore strumento di comunicazione, e nello stesso periodo scoppia la rivoluzione francese.

Nel 900 arriva la radio che come si sa fu “sapientemente” utilizzata dalle dittature per ottenere il primo grande consenso delle masse. Uno strumento importantissimo che “parla” per tutto il giorno, anche la notte. In qualsiasi luogo ci si trovi si può ascoltare la radio.

Poi arriva la televisione…  

Ecco la televisione ci accompagna nella comunicazione durante gli ultimi cinquanta anni del secolo scorso. Porta le immagini, anche le più distanti da noi. Basti pensare all’utilizzo dei satelliti dedicati alla comunicazione. Ci fa sentire partecipi “visivamente” agli eventi. Si riduce lo spazio del “racconto scritto” per iniziare “il racconto visivo”.  Nascono le prime sit com, i serial. Inizia l’era della fiction.

Adesso siamo alla comunicazione tramite internet. Cosa cambia?

Qui va fatta però una considerazione importante. La comunicazione prima dell’era internet era “identificativa” nel senso che era più facile riconoscersi nel modello di comunicazione, e per questo si poteva accettare più o meno certi messaggi. Si dava credito alla “fonte” fosse essa la televisione o il giornale che venivano riconosciuti come unici strumenti di comunicazione. Si poteva facilmente risalire alla fonte comunicativa, per esempio un certo tipo di giornale o un canale televisivo, e quindi trovare nella comunicazione la conferma del proprio pensiero e della propria realtà. Con la rete ed internet questo sistema cambia completamente.

Internet non aumenta la comunicazione?  

Si, ovvio, ma di fatto la anonimizza. La rete che sottostà ad internet e a tutti gli strumenti che consentono l’accesso, rende la comunicazione continua, che se da un lato oscuro è un bene dall’altro ne svuota l’identità. Basti pensare ai social network in cui si scambiano milioni di contatti, di comunicazioni, di giudizi ma di fatto solo una infinitesima parte dei partecipanti ha una conoscenza personale dell’altra persona con cui scambia i commenti. Si fa parte di una “realtà virtuale di gruppo”. Anche le comunicazioni affettive tra due persone, passano tramite la rete. Si inviano “messaggi” si “chatta” senza vedersi in faccia, senza sentire la voce.  E questo a livello psicologico è molto importante soprattutto nelle giovani generazioni. Ci si rappresenta sulla rete spesso con degli “Avatar” una rappresentazione virtuale. Quindi in questo mondo virtuale che vengono filtrati tutti i comportamenti umani da quelli affettivi, a quelli di informazione, la cultura,  di politica, e ovviamente tutto ciò che riguarda il crimine e la criminalità. Si crea sempre di più quel fenomeno di massa che io chiamo “identità collettiva”.

Identità Collettiva?  

Esatto. Tutti sappiamo di far parte di un mondo di comunicazione, ci viviamo a stretto contatto. Controlliamo continuamente la rete per le notizie, ma si riduce sempre di più la possibilità di selezionare, di analizzare, di oggettivizzare l’evento, di comprenderne le cause. Spesso non sappiamo se la notizia sia vera o falsa, il luogo dove sia avvenuta. In breve tempo la notizia sparisce, e questo ci lascia un dubbio di fondo sulla  reale verità di quello che abbiamo saputo o letto. Secondo me questo aumenta l’incertezza, presupponiamo che certi eventi avvengano ne diamo una spiegazione, ma di fatto non siamo in grado di comprenderne a fondo le problematiche e soprattutto trovare le soluzioni. Questa “identità collettiva” invece di renderci più sicuri, produce l’effetto contrario rischiamo di non sapere più qual è realtà e quale la finzione. Pensiamo che le cose vadano in un certo modo, ma non ne siamo poi tanto sicuri. E’ in questo contesto che la comunicazione si sovrappone alla fiction. Qual è la verità?

Quindi la cronaca nera diventa parte di questo mondo? 

Assolutamente si. I noti casi di cronaca nera ad esempio, sono raccontati come fiction, tenendo conto dell’audience se parliamo di televisione, o di contatti se parliamo del web. Se guardiamo bene molte trasmissioni sono “costruite” solo su alcuni casi di cronaca, dove alla fine la vittima, l’autore perdono di identità a favore di una comunicazione spasmodica che parli di  scena del crimine, di prova scientifica es. DNA,  che ci riporta alla nota fiction americana CSI.

Nei casi di Yara Gambiraso e quello di Chiara Poggi si parla di DNA come prova schiacciante. Se il DNA è sicuramente la firma di ciascuno di noi, perché questa incertezza?  

Il DNA, sempre che sia stato repertato in maniera corretta, stabilisce la presenza di un soggetto in un dato luogo, e quindi è facile pensare che trovato il DNA sia stato trovato l’eventuale autore del reato. Il problema si pone se il soggetto per esempio frequentava, come nel caso di Stasi, la casa della vittima e quindi la sua presenza era normale. Il DNA in questo caso non aggiunge niente verso la colpevolezza o l’innocenza del soggetto. Diverso è il caso di Yara dove il presunto colpevole non aveva contatti con la vittima. La spasmodica ricerca del DNA, pare che ne siano stati analizzati centinaia, in questo caso ha portato all’arresto di un soggetto che però si dichiara innocente. Sappiamo che c’è qualcosa di lui sui vestiti di Yara , ma non sappiamo qual è stato il suo ruolo, e se lui è il vero assassino o ad esempio stia coprendo qualcun altro. Mancano altri elementi investigativi e questo come nel caso di Stasi rende la prova scientifica non definitiva per una condanna.

L’interesse del pubblico su queste trasmissioni da cosa è dato? 

Un interesse su queste cose c’è sempre stato. I grandi casi di cronaca hanno sempre avuto un grande seguito. Si vendevano più copie dei giornali, uscivano memoriali veri o presunti, si creavano partiti di innocentisti o colpevolisti. Le vecchie immagini televisive mostravano come le aule dei tribunali erano prese d’assalto da chi voleva assistere ai processi. Adesso è lo stesso, solo che tutto passa per la televisione o per internet.  Il perché’ di questo interesse? Sicuramente un movente è dato da una partecipazione collettiva nel bisogno di vedere la giustizia trionfare. Di avere una certezza che comunque chi uccide un essere umano verrà condannato. Di una sorta di esorcizzazione del male. Una liberazione dalle angosce e dalle paure profonde, inconsce che ognuno di noi ha.

Chiara Poggicriminologiacriminologocronaca neradocente universitarioFrancesco Brunoidentità collettivaintenetMass mediapsichiatra forenseYara Gambiraso

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