Nell’anno 1225, in un’epoca di dispute fra Impero e Papato, a Roccasecca, vicino a Montecassino, nacque un giovane che ad oggi, rappresenta una delle colonne del pensiero filosofico occidentale: San Tommaso D’Aquino. Un uomo che non solo ha rivoluzionato il messaggio cristiano ma che ha sfidato le convenzioni
Tommaso e Aristotele
Giunto a Napoli per studiare, Tommaso entrò in contatto con due grandi novità dell’epoca: le opere di Aristotele, considerato un “eretico” e l’Ordine domenicano.
Si trovò quindi di fronte a una sfida intellettuale e spirituale senza precedenti.
Le opere di Aristotele, sebbene vecchie di più di un millennio, apparivano “nuove” agli intellettuali del tempo, che le riscoprivano dopo secoli di oblio. Allo stesso modo, l’Ordine domenicano, appena fondato, rappresentava un’innovazione radicale nell’ambito monastico, votato alla predicazione e alla povertà.
In un certo senso, Tommaso abbracciò entrambe le novità, diventando uno dei principali pensatori della Scolastica. Ovviamente non si limitò a seguire in maniera pedissequa i precetti.
Attraverso l’interpretazione del pensiero aristotelico, Tommaso riuscì a rivoluzionare il modo di concepire e raccontare il cristianesimo con un nuovo alfabeto logico. Obiettivo? Accompagnare le persone verso una consapevolezza più profonda della verità.
Conciliare il pensiero dell’eretico Aristotele…
Una delle sfide più pressanti per Tommaso fu conciliare la filosofia pagana di Aristotele con la teologia cristiana, cioè con il dogma della fede pura.
E se la fede consiste nel credere senza vedere, poiché è impossibile per la mente umana comprendere il mistero della Rivelazione, egli sostenne che fosse possibile utilizzare gli strumenti concettuali e le argomentazioni della filosofia aristotelica per chiarirla. In che modo?
Mentre filosofi precedenti, come Anselmo d’Aosta, si erano basati su argomenti ontologici o concettuali, Tommaso attinse alla fisica aristotelica. Partendo dal principio aristotelico, Tommaso affermò che la ragione non è capace di comprendere tutto; ad un certo punto la fede supera la ragione, ma senza annullarla. Accettare la fede dunque non significa diventare irrazionali…
Superarlo
Nonostante la sua profonda affinità con la filosofia di Aristotele, Tommaso non aderì completamente pensiero del filosofo di Stagira. Il Dio di cui parlava non era solo un principio motore, ma il Dio cristiano che crea il mondo e conferisce essere.
Quanto al discorso sulla felicità, Tommaso concordava con Aristotele sul fatto che essa risieda nell’attività intellettuale, ma sosteneva che la contemplazione di Dio dopo la morte costituisca l’apice di tale attività.
Altro punto significativo di confronto con il greco fu la rielaborazione della distinzione aristotelica tra Essere ed Essenza che Tommaso adattò alla teologia cristiana. Per farlo, introdusse la distinzione tra ens per essentiam , cioè l’ente in senso primario è la sostanza (che è sinonimo di essenza) ed ens per participationem, “si potranno chiamare «dei» coloro che partecipano un qualche cosa di divino a modo di somiglianza”.
Ma cosa vuole insegnarci realmente Tommaso?
Quando la diversità è opportunità
In questo viaggio verso la verità, Tommaso ci insegna che l’eresia non è un nemico da combattere, ma un’opportunità per crescere e scoprire nuove dimensioni della propria identità. La diversità diventa il terreno fertile per la nostra crescita interiore, poiché ci spinge a confrontarci con ciò che è diverso da noi stessi e a trovare il nostro vero sé.
Ma la ricerca della verità non si esaurisce nella comprensione razionale. Tommaso ci invita anche a entrare in contatto con la realtà, a esplorare il mondo esterno e ad abbracciare la vita in tutta la sua complessità. Solo attraverso questo contatto diretto con la realtà possiamo scoprire la verità che risiede al di là delle nostre convinzioni preconcette.
Tuttavia, la ricerca della verità e della realtà non è sufficiente per soddisfare appieno il nostro spirito. Ognuno di noi è alla ricerca di un senso più profondo, di qualcosa che dia significato alla nostra esistenza. Questo senso non si trova solo nella comprensione intellettuale o nell’esperienza esteriore, ma anche nell’interiorità, nel contatto con la parte più profonda di noi stessi. Cosa che spesso temiamo di affrontare.
Infine, nella nostra ricerca del senso, ci accorgiamo che c’è qualcosa di più grande di noi stessi, qualcosa che va al di là delle nostre capacità finite. È qui che entriamo in contatto con l’infinito, con il divino, con ciò che ci trascende e ci dona un senso di appartenenza e significato universale.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
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