Amy Robsart. Vittima di un amore proibito

Amy Robsart

Amy Robsart e l’affascinante Robert Dudley si sposano a 17 anni, entrambi catturati da una passione amorosa adolescenziale. L’amore vero, però, Dudley lo incontra nella Torre di Londra, imprigionato, per ordine di Maria Tudor la Sanguinaria insieme alla giovane Elisabetta, sorellastra della Sovrana e futura regina. Quel matrimonio giovanile tra Dudley e la Robsart diventa improvvisamente scomodo.

 Passione e prigionia

Marzo 1554. Elisabetta Tudor, futura regina, viene imprigionata nella Torre di Londra dalla sorellastra, la famigerata Maria la Sanguinaria, figlia di Enrico VIII e Caterina d’Aragona. La sovrana, cattolica e filo-spagnola, è impegnata a sopprimere il nazionalismo protestante di Thomas Wyatt, il quale volentieri vedrebbe sul trono la piccola Elisabetta, che sembra la sola ad aver ereditato il carisma ed il temperamento di Enrico VIII.

Maria è stanca delle tante rivolte protestanti che le mostrano un Paese in parte disancorato dai suoi principi e dalla sua autorità. Il primo a contestarla tanto apertamente da provocare uno scisma, addirittura proclamando una seconda regina, era stato John Dudley, duca di Northumberland, il quale aveva pubblicamente riconosciuto la sovranità di sua nuora, Jane Grey, pronipote di Enrico VII. Maria era scesa su di loro con la furia di una sovrana spodestata e di una donna offesa: i Dudley erano stati tutti condannati a morte. I primi a cadere sul patibolo erano stati il duca, il figlio sposato con la Grey e, ovviamente, la “falsa” regina. Gli altri figli di Dudley, invece, erano stati imprigionati nella Torre di Londra in attesa di essere giustiziati. E, quando arriva Elisabetta, sono ancora lì.

Sicuramente, non è facile, per la giovane Elisabetta, essere trascinata attraverso la Porta dei Traditori ed imprigionata negli stessi luoghi che avevano visto la prigionia e la morte della madre, Anna Bolena. Quelle celle sono oscure, sporche, affollate di prigionieri.

Uno dei Dudley rinchiusi nella Torre, Robert, ha la stessa età di Elisabetta. E’ attraente, ha un portamento principesco e, soprattutto, ha l’aria di non essere stato piegato dalla sorte avversa che ha colpito la sua famiglia. La sua sicumera e la sua classe innata lo rendono affascinante, soprattutto agli occhi di Elisabetta, egualmente indomita, egualmente fiera. Tra i due nasce un forte legame. A dispetto della tradizione romantica, che vuole si siano conosciuti in quel triste luogo, innamorandosi a prima vista, Elisabetta e Robert si conoscevano sin da piccoli, poiché i Dudley erano i benvenuti alla corte di Enrico VIII. E’ ben possibile, però, che la comune prigionia li abbia avvicinati particolarmente in un vortice di sensazioni in bilico tra amore e solidarietà. Il mal comune, a volte, è ben più che mezzo gaudio.

Robert Dudley

Robert è già sposato quando incontra Elisabetta nella Torre di Londra. Un matrimonio contratto a diciassette anni. La moglie si chiama Amy Robsart ed il suo nome, in qualche modo, resterà a lungo legato a Robert ed Elisabetta con risvolti drammatici.

Robert aveva sposato Amy per amore, su questo non c’è dubbio. Al tempo del matrimonio, Amy era figlia di un benestante signorotto di campagna; i Northumberland, invece, appartenevano ad una schiatta molto facoltosa e titolata. Nulla se non l’amore poteva, dunque, averlo spinto a questa scelta.

Spesso, però, le passioni adolescenziali hanno la prerogativa di bruciare intensamente e con rapidità. Al tempo della prigionia di Robert, tra i due giovani sposi non c’è più nemmeno l’ombra della passione che li aveva condotti all’altare. Amy non si reca più di un paio di volte a trovarlo e Robert non sembra farsene cruccio: nonostante la condanna a morte che grava sulla sua testa, i loro addii non sono segnati da lacrime o disperazione.

Filippo II di Spagna, promesso sposo di Maria Tudor, convince la sovrana inglese a liberare sia la sorellastra, sia i Dudley, pur imponendo loro di non recarsi più a Londra. Le rivolte tentate ai suoi danni vanno perdonate, se davvero Maria vuole vivere secondo i precetti del Cattolicesimo.

Nel mese di maggio 1544, dunque, Elisabetta torna in libertà e si stabilisce nella dimora di Hatfield, conducendo una vita rurale.

Robert Dudley, invece, torna dalla moglie, vivendo accanto a lei stancamente e senza sentimenti. I due scoprono di non avere nulla in comune: lui è stato educato da gentiluomo e si interessa di lettere e di arte; lei sa a stento scrivere. L’assenza di figli, poi, completa il quadro.

Nei quattro anni successivi alla liberazione dei prigionieri, la regina Maria inizia un declino. La sua intransigenza religiosa, la sua crudeltà allontanano il suo sposo e, soprattutto, il popolo, che segretamente inneggia ad Elisabetta regina ed esulta quando finalmente ad essa giunge la corona inglese, come se non vi fosse stato altro sovrano dopo il breve regno di Edoardo VI, figlio di Enrico VIII e della sua terza moglie, Jane Seymour.

La regina dai capelli rossi

Elisabetta I

Dudley è tra i primi a rendere omaggio ad Elisabetta. La raggiunge con fare principesco, montando un cavallo bianco. Elisabetta non può non restarne folgorata. Lo nomina Grande Scudiere e, da quel momento, Dudley la segue come un’ombra: cavalca dietro di lei quando Elisabetta entra trionfante a Londra per l’incoronazione; è accanto alla sua lettiga quando riceve le insegne regali. Amy si cela tra il pubblico festante, forse estranea, nel profondo del suo cuore, ad ogni forma di festosità. Del resto, come avrebbe potuto gioire nel vedere suo marito palesemente affascinato da un’altra donna?

Elisabetta ha venticinque anni. Da tempo avrebbe dovuto prendere marito. Moltissimi i pretendenti che iniziano a farsi avanti; tra costoro, l’arciduca Ferdinando di Praga, Emanuele Filiberto duca di Savoia, Eric di Svezia e Filippo II di Spagna, vedovo di Maria la Sanguinaria. In gioco c’è molto più di un’unione; ci sono la sicurezza e la prosperità dell’Inghilterra. L’ambasciatore spagnolo De Feria scrive, in quei giorni: “Tutto dipende dal marito che questa donna sceglierà”. Per come vanno le cose a quel tempo, non ha torto.

Ciò nonostante, Elisabetta sembra imprigionata nell’eterna indecisione. Forse è timorosa delle conseguenze del matrimonio, del trasferimento di una grande parte del potere nelle mani del marito; o, forse, è determinata ad affermare la propria personalità, la propria capacità di regnante senza intromissioni. Dice di sé: “Sarà una piena soddisfazione per il mio nome ed anche per la mia gloria se, quando morrò, queste parole potranno essere incise nel marmo della mia tomba:qui giace Elisabetta, che regnò vergine e morì vergine”.

Il carattere di Enrico VIII emerge in lei prepotente: deve avere tutto sotto controllo. Più facile gestire gli amanti nell’oscurità complice delle stanze di Palazzo, che sposare un uomo a cui concedere potere sul regno e su se stessa. C’è un che di teatrale, in tutto questo. Forse non è un caso che, in epoca elisabettiana, il teatro assuma un’importanza artistica senza pari.

Ovviamente, sono molte le voci che la sua indecisione muove nel sottofondo ciarliero della Corte e della vita del popolo. Tra di esse, prende piede quella del suo amore segreto e corrisposto per Robert Dudley, impedito dal preesistente matrimonio di lui. I favori della Regina lo rendono via via più inviso al popolo e, soprattutto, agli uomini di Corte. Elisabetta, quasi divertita dal senso di sfida che le chiacchiere producono in lei, afferma il suo volere al di là di qualunque loro consiglio, investendo Dudley di sempre maggiori onorificenze, come il cavalierato della Giarrettiera; inoltre, trasferisce ben presto l’alloggio di Robert in un confortevole appartamento accanto al suo e si traveste da cameriera pur di mischiarsi alla folla ed applaudirlo durante le sue competizioni di tiro. Le lettere degli ambasciatori diventano quasi dei rotocalchi rosa e tutta Europa tiene gli occhi addosso alla Sovrana ed al suo fedele Scudiere.

Prove di un rapporto intimo tra i due, però, non ce ne sono.

L’infelice matrimonio dei Dudley

Nel frattempo Amy Robsart, la moglie di Robert Dudley, trascorre giornate solitarie nella casa di campagna, allietata dal buon flusso di denaro che gli giunge dal marito; denaro che ella adopera, in gran parte, per acquistare abiti e gioielli da sfoggiare con gli amici che vivono nei limitrofi castelli. I beni materiali, però, non la compensano di un’unione priva di intimità e di amore. E’ sopraffatta dalla tristezza.

L’unica cosa di cui Robert sembra certo è che deve liberarsi di quel matrimonio. Il come è affare delicato. Esiste la possibilità di ripudiare la moglie, ma non è soluzione che collimi con il progetto di sposare Elisabetta in seconde nozze: la Chiesa anglicana, infatti, non vedrebbe di buon occhio le nozze della Sovrana con un divorziato. L’alternativa è la morte della povera Amy. Lei stessa non può non pensarlo: né i Tudor, né i Dudley, del resto, hanno mai rifiutato il delitto, se utile ai loro interessi. Deve sentirsi sola e profondamente vulnerabile, soprattutto dopo la morte del padre, che rappresentava una vigorosa ala protettrice, per lei.

Decide di trasferirsi a Cummor Hall, un’antica badia nei pressi di Oxford, dove risiede anche Anthony Forster, amministratore dei Dudley. Porta con sé due parenti povere come dame di compagnia.

L’8 settembre 1560, Amy insiste affinché le sue dame di compagnia e tutti i servitori si rechino  alla fiera di Abingdon. E’ domenica è vuole che si prendano il giorno libero. Non sente ragioni. Lei può ben cavarsela anche da sola.

La sera, però, la tranquilla quiete di Cummor Hall viene squarciata da un urlo corale. Tornati dalla fiera, con il sorriso ancora sulle labbra ed una lieve ebbrezza che accompagna i loro passi, le dame di lady Amy ed i servitori di casa sono costretti a fermarsi, impietriti dall’orrore, ai piedi di una scala interna, dove trovano il corpo privo di vita della loro signora. Ella giace riversa in un lago di sangue. La posa scomposta ed innaturale degli arti la fanno assomigliare ad un fantoccio di pezza. Appare subito chiaro che è caduta dalle scale. Si è trattato di una disgrazia, di un suicidio, oppure è stata la mano di un assassino a spingerla giù, verso quel vuoto fatto di gradini spigolosi che l’hanno uccisa?

Una vita spezzata, quella di Amy Robsart, per la quale inorridisce non solo il paese in cui la donna viveva, ma anche l’Inghilterra stessa, che fa immediatamente i conti con i vantaggi che quella morte distribuisce ed i sospetti che ne conseguono.

Tenuto conto che Dudley, quando era ancora in vita la moglie, sembrava convinto che presto avrebbe sposato la Regina, convinzione condivisa dal popolo tutto, non è peregrina l’ipotesi che, in qualche modo, sia coinvolto con la morte della moglie e che, dunque, quella morte non sia affatto accidentale.

C’è anche da evidenziare, però, l’insistenza di Amy a rimanere sola, il giorno della sua scomparsa, cosa che renderebbe credibile il suicidio, giustificato, forse, dalla sua triste esistenza sentimentale.

L’esito incerto di una caduta dalle scale, però, indurrebbe ad abbandonare entrambe le ipotesi: ci si potrebbe anche far male senza morire e chi decide di suicidarsi o di uccidere qualcuno è propenso a scegliere un modo che renda certo l’evento esiziale.

Forse si è trattato davvero di una disgrazia.

Ciò non toglie che il vociferare attorno a quella morte non cessa un attimo, investendo inevitabilmente anche il Palazzo Reale.

Da Maria Stuarda, cugina di Elisabetta ed allora sposa di Francesco II di Francia, escono parole affilate come lame, che sottolineano come la “fortunata circostanza” consenta alla cugina di sposare al fine il suo scudiere.

Anche Alvarez de Quadra, ambasciatore di Spagna succeduto a De Feria, sembra convinto della tesi del complotto omicidiario attuato da Dudley con il beneplacito di Elisabetta. Egli, infatti, afferma che, prima della morte della Robsart, la Sovrana inglese gli avrebbe confidato che costei stava per morire. In realtà non esce mai un riferimento temporale preciso, in ordine a questa dichiarazione, né alcuna prova che sia stata davvero resa. Elisabetta può ben trincerarsi dietro il distico coniato durante la sua prigionia e che l’accompagna lungo tutta la sua esistenza, soprattutto in quelle decisioni politiche occulte di cui la sua Inghilterra fa largo uso, come l’appoggio alla guerra corsara: “Much suspected of me, nothing proved can be” (molte cose sospettano di me, ma non possono provarne alcuna). Non si dimentichi, del resto, che l’ambasciatore spagnolo, chiamato ad agire nell’interesse della propria Nazione, la Spagna, ha tutto l’interesse a gettare discredito sulla Corona inglese.

Quella morte più ingombrante della vita

Onde evitare che i pettegolezzi travolgano la sua credibilità, Elisabetta spedisce Robert Dudley a Kew fino alla chiusura dell’inchiesta sulla morte della moglie. Scelta improntata ad una saggezza che la caratterizza in ogni frangente.

Di sicuro, la presenza di Amy Robsart tra Robert ed Elisabetta è più ingombrante ora di quanto non fosse quando era viva. La sua morte li sta separando.

Robert accetta malvolentieri l’allontanamento da Corte. Non che possa dirsi una prigionia. E’, più che altro, un limbo dorato, quello di Kew, ma la lontananza da Londra e dalla sua Elisabetta lo affliggono. Al fine di abbreviare i tempi di indagine, intrattiene fitti rapporti epistolari con un suo parente, Christopher Blount, chiedendogli di indagare privatamente sulla morte della moglie; morte che grava sulle sue spalle a causa del pregiudizio generale. La necessità di affidare ad un suo uomo la supervisione dell’attività investigativa, implica poca sicurezza e, anzi, il dubbio che Elisabetta possa tradirlo; che egli possa essere giudicato colpevole di omicidio. Non spende una parola di rammarico per la spenta vita della consorte. Le sue lettere di quel periodo fanno trasparire solo la preoccupazione di essere coinvolto, quand’anche solo nelle chiacchiere salottiere della Londra bene: “Siccome non ho altro modo per mettermi al riparo dai discorsi maligni, se non facendo luce sulla piena ed intera verità, io vi prego … che usiate ogni mezzo per scoprirla, senza rispetto di chicchessia”. Un marito davvero prostrato dal dolore!

Inutile dirlo, l’Inghilterra è inchiodata sul caso Dudley. Non si parla d’altro. L’ipotesi della disgrazia, forse la più plausibile, viene accantonata. C’è sete di sangue. L’opinione pubblica desidera un colpevole. Anche Dudley ne vuole uno, ma non per la curiosità morbosa che nutre il popolo, bensì per salvare se stesso: se il Coroner avesse concluso per il suicidio o la disgrazia, la colpa morale lo avrebbe comunque infangato. In fondo, aveva di fatto abbandonato la povera Amy, causandone indirettamente la fine. L’unica cosa che Dudley ritiene utile, in quel momento, è che Blount focalizzi la sua attenzione di investigatore su qualcuno, un potenziale assassino da crocifiggere pubblicamente, da dare in pasto al popolo, da usare per lavarsi la coscienza.

Inizialmente, il capro espiatorio perfetto sembra la cameriera personale di Amy. Lei insiste che deve essersi trattato di disgrazia. E’ una fervente cattolica e rifugge l’idea del suicidio, dalla quale vuole mettere al riparo anche la memoria della sua padrona, cui è molto affezionata. La sua insistenza viene presa come una scientifica intenzione di allontanare dagli inquirenti il sospetto che si sia trattato d’altro. La sua bontà e la sua devozione, però, rendono pressoché impossibile costruire la sua colpa.

Blount continua i suoi interrogatori, le sue indagini. Riesce ad avvicinare anche i membri della giuria e scopre che sono tutti campagnoli ingenui ed onesti, assolutamente ostili ad Anthony Forster, il padrone della casa in cui Amy aveva dimora, l’amministratore dei beni dei Dudley. Robert ha una folgorazione: è lui l’uomo perfetto. Ha avuto l’opportunità di commettere il delitto ed anche il movente. E’ il tipo d’uomo, infatti, che, per conquistare le simpatie dei potenti farebbe qualunque cosa ed è innegabile che la morte di Amy avrebbe fatto molto piacere alla sovrana, innamorata di Dudley.

Il raggiro dei giurati da parte di Blount, però, non funziona un gran che. Forse sono meno sempliciotti di quanto Robert pensi. Il verdetto è morte accidentale.

Il 22 settembre Amy viene finalmente sepolta nella chiesa di Maria Vergine, ad Oxford. Il verdetto non convince tutti. Robert Dudley chiede insistentemente di riaprire il caso: vuole uscirne completamente pulito, vuole un colpevole che allontani da sé il sospetto dei ciarlieri di Corte. Nulla da fare.

Accuse ritrattate ed un nuovo amore

Poco dopo il processo, Dudley rientra a Corte e torna a rivestire un ruolo preminente al fianco di Elisabetta. Ormai nessun ostacolo sembra impedire le nozze tra i due, eppure nulla accade. Elisabetta, probabilmente, è ben consapevole del fatto che, sposando Dudley, avrebbe vergato agli occhi del suo popolo e della storia, il suo coinvolgimento nella morte di Amy; coinvolgimento che, ancorché indiretto, avrebbe gettato un’ombra pesante sulla Corona, facendole perdere il rispetto del popolo.

Nel 1567, però, accade qualcosa di inaspettato. Il fratellastro di Amy, sir John Appleyard, lancia accuse contro Robert Dudley, affermando che sia lui il responsabile della morte di Amy. Recuperata ormai la sua forte posizione a Corte, Dudley costringe Appleyard a ritrattare.

Nel frattempo, allontanatasi definitivamente la prospettiva del matrimonio con la Regina, Dudley si dedica all’arte amatoria con altre donne, mantenendo assoluto riserbo per non suscitare le violente crisi di gelosia di Elisabetta.

In totale segreto ha un figlio da Douglass Sheffield, la quale, più tardi, affermerà, non creduta, d’essere sua moglie, fatto categoricamente smentito da Dudley. Dopo di che sposa Lettice Knollys, biscugina di Elisabetta e sua dama di Corte. La loro attrazione risaliva a molto tempo prima che morisse la Robsart, ma era sempre rimasta latente: Dudley non l’aveva fomentata perché ancora credeva di poter sposare la Regina e Lettice, avendo capito che la prospettiva di un matrimonio regale non avrebbe potuto essere spazzata via neppure dall’amore vero, si era sposata con Walter Devereux. La passione, però, è come uno tsunami: all’inizio sembra un’onda sulla quale poter navigare in tutta tranquillità e poi si trasforma in una furia travolgente. Quando Devereux viene mandato in Irlanda per affari di Stato, l’attrazione tra Lettice e Robert Dudley esplode e diventano amanti. In assoluta segretezza, è ovvio. “Segretezza”, tuttavia, è un sostantivo inusuale in una Corte come quella inglese del Cinquecento. Elisabetta, infatti, sospetta fortemente ed allontana da Corte Lettice. Sforzi inutili.

Nel 1576 Devereux muore e, due anni dopo, Lettice sposa Dudley. Elisabetta ne viene a conoscenza due mesi dopo e reagisce come un leone ferito. Dapprima bandisce entrambi da Corte, ma, poi, pensando di fare, così, il loro gioco, lasciando che vivano la loro unione in tutta tranquillità, richiama a Corte Dudley, affidandogli pericolose missioni all’estero.

Nel 1585, un anno dopo la morte del figlio treenne di Lettice e Robert, Elisabetta ordina a quest’ultimo di recarsi nei Paesi Bassi a combattere gli spagnoli sotto l’egida della Repubblica delle Sette Province Unite. Qui, l’anno seguente, Dudley accetta la carica di Governatore. Il timore di Elisabetta che egli porti nei Paesi Bassi la moglie e viva lì con lei, negli agi e nella felicità coniugale, non si trasforma in realtà. Ciò nonostante, Robert ha forte nostalgia della moglie, alla quale è legato da un amore profondo. A dicembre 1586 torna a casa. Elisabetta non sopporta la loro felicità ed ancora una volta fa in modo che si rechi nei Paesi Bassi. A dicembre 1587, compreso il fatto che non avrebbe mai potuto stare con la moglie se avesse continuato ad essere Governatore, Dudley rinuncia alla carica, ma gode poco della ritrovata unione coniugale, poiché nove mesi dopo muore di malaria.

La vendetta di Elisabetta nei confronti di Lettice, la donna che le ha sottratto il grande amore, non è ancora finita, però. Nel 1599 spedisce il figlio maggiore di Lettice, Robert Devereux II conte di Essex, in Irlanda, dove si sta combattendo la Guerra dei Nove Anni. Robert fallisce nel sedare la rivolta e, senza il permesso della Corona, torna in Inghilterra, di fatto disertando. Viene, dunque, arrestato. Lettice si umilia davanti alla biscugina pur di negoziare il rilascio del figlio. Forse inebriata dallo ius vitae ac necis che in tal modo sta esercitando, Elisabetta lo libera.

Nel 1601, però, il giovane Robert, amareggiato per il trattamento subìto, organizza una rivolta contro la Regina, coinvolgendo anche il patrigno, Christopher Blount, l’amico investigatore di Dudley che, nel frattempo, era diventato il terzo marito di Lettice. La rivolta viene soppressa sul nascere ed Elisabetta, col gusto di una vendetta che, finalmente, si completa, manda alla forca sia Robert, sia Christopher. Lettice in un solo colpo perde il figlio ed il marito.

La Morte, però, non conosce classi sociali, né si lascia influenzare dalla miseria dei poteri terreni: due anni dopo si prende anche Elisabetta. Il suo successore, Giacomo IV, riabilita Lettice, la riammette a Corte, le restituisce molti dei denari che Elisabetta le aveva sottratto. Non può restituirle il figlio, ma le restituisce senza dubbio la dignità.

Al contrario di Elisabetta, Lettice morirà novantunenne e porterà con sé le drammatiche ed incredibili vicende che hanno legato il suo nome a quello di Robert Dudley e, indirettamente, a quello di Amy Robsart, la sfortunata prima moglie di Dudley caduta dalle scale per sua stessa volontà, o forse per disgrazia, o forse per mano di un assassino che la storia ha cancellato. Un dramma elisabettiano in piena regola.

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