La fine di Enrico Darnley, il marito scomodo di Maria Stuarda

Morte di DarnleyNell’articolo del mese scorso, abbiamo lasciato Maria Stuarda attonita di fronte al sangue del suo amico e, forse, amante Davide Rizzio, assassinato dai Lords inglesi con la partecipazione del re consorte, lord Darnley. La Regina, però, non si abbandona alla disperazione, ma reagisce con una lucidità ed una spietatezza sorprendenti. Il suo piano di vendetta ha inizio già pochi minuti dopo la morte di Rizzio e condurrà ad un’altra morte eccellente.

L’ombra persistente d’un delitto

Davide Rizzio è morto. Il suo sangue è ancora sparso nella stanza della Stuarda, che ha dovuto assistere impotente alla fine di quell’uomo che le era stato amico, forse amante; un uomo che aveva rischiarato i suoi giorni e parte delle sue notti, portando con sé il senso dell’arte rinascimentale di cui la Scozia era priva e consentendole di parlare l’idioma che ella considerava natìo, il francese.

Il tempo delle invettive è finito. Inizia quello della vendetta, silente e lunga come tradizione vuole.

Mostrando una lucidità eccezionale, Maria finge una minaccia di aborto e si fa condurre in una stanza dove accorrono le dame di compagnia ed il medico personale. Holyrood è circondata dai congiurati, in modo che non possano giungere soccorsi, né alcuno possa scappare. Persino la Regina è sotto stretta sorveglianza. Il medico è l’unica speranza che la Regina ha per inviare informazioni al fedele Bothwell, in modo che le mandi un uomo e due cavalli fuori le mura ad attenderla. Ha già un piano di fuga e, con incredibile lucidità, lo attua.

Ammette il marito al suo capezzale e lo induce a pentirsi d’aver messo in pericolo la vita della moglie e del nascituro. Quindi lo perdona e chiede a sua volta perdono per il suo allontanamento. Darnley, che non ha mai smesso d’essere attratto da Maria, si piega subito al volere di lei. Neppure la Crimilde di Sigfrido sarebbe stata così brava a celare i suoi veri sentimenti! Tanto è l’entusiasmo della ritrovata unione con la moglie che Darnley le confida i nomi di tutti i congiurati. Tuttavia le fa promettere di concedere loro l’impunità in modo che la lascino libera ed ella lo manda a riferire che firmerà un salvacondotto, ma non prima dell’indomani, perché in quel momento è esausta.

Darnley riferisce il messaggio, presentando ai Lords il salvacondotto recante, per ora, solo la sua firma. Meno ingenui di Darnley, i Lords stentano a credere all’improvvisa magnanimità della Regina. E’ una Stuart, in fondo. Tuttavia non possono fare a meno di assecondarla e tolgono il presidio dalle sue stanze.

Darnley li invita a festeggiare il compiuto omicidio ed il perdono della Regina con molto alcol, che, inevitabilmente, li stordisce.

A mezzanotte Maria si prepara alla fuga. Arthur Erskine, capo della sua guardia del corpo, la attende fuori del castello con due cavalli. Lei, il marito ed un servitore, passano attraverso le stanze della servitù e raggiungono la cantina; di lì, un lugubre corridoio interrato li conduce alle catacombe. La luce tremula delle fiaccole illumina cumuli di ossa e bare. L’odore penetrante di umidità rende quel passaggio ancora più macabro. Poco dopo risalgono all’aria aperta ed attraversano il cimitero per raggiungere i cavalli.

Hepburn Bothwell

Hepburn Bothwell

La Regina si ferma mesta e rabbiosa dinanzi al recente tumulo di Rizzio, ma non lascia trapelare il suo odio per quel finto marito che la sta affiancando nella fuga.

Due i cavalli. Darnley, se mai ci fosse stato bisogno di un’ulteriore conferma alla sua pochezza, balza sul primo e si avvia al galoppo verso la salvezza, senza fermarsi ad aiutare la sua sposa, incinta di 5 mesi. Maria sale sull’altro cavallo con Erskine.

Dopo aver percorso un miglio, si fermano al castello del fedele Lord Seton, dove anche a Maria viene dato un cavallo con 200 uomini di scorta. E’ di nuovo la regina di Scozia.

All’alba raggiunge il castello di Dunbar dove l’attende Bothwell, il quale ha già organizzato la difesa di tutta la zona.

Amaro risveglio delle belve dormienti

Il risveglio dei congiurati, il mattino dopo, non è dei migliori: la Regina è scappata, Darnley l’ha seguita, ergo li ha traditi, e non hanno il salvacondotto richiesto, per reclamare il quale inviano a Dunbar lord Sempill come messaggero. La Regina lo lascia attendere tre giorni senza riceverlo. A Holyrood serpeggia tensione ed il gruppo, lentamente, prende a sfaldarsi. Molti sono coloro che si staccano per chiedere perdono; molti tranne Ruthven e Fawdonside, i più colpevoli, coloro che si erano in prima persona impegnati nell’ideare e nel mettere in pratica la congiura; Ruthven irrompendo per primo nella sala della Regina e catturando Rizzio, Fawdonside minacciando di morte la stessa Maria Stuarda. Costoro lasciano la Scozia, come fa anche John Knox, che aveva esaltato l’assassinio di Rizzio in un suo sermone.

La priorità di Mary, ora, è quella di avere il figlio senza altri rischi di perderlo. Una guerra con i Lords traditori non le gioverebbe. Per il momento le basta aver riconquistato il potere; alla vendetta penserà poi.

Al momento, dunque, non emette condanne neppure nei confronti del consorte, che, tuttavia, affinché il suo disprezzo sia condiviso anche dal popolo, fa dichiarare pubblicamente d’essere estraneo alla congiura. Il popolo, infatti, sa che non è vero, sa che è sua una delle firme sul bond per l’uccisione di Rizzio e che è suo il pugnale, prestato a Ruthven, con il quale Rizzio era stato ucciso e che era rimasto nel corpo della vittima. Nessun processo avrebbe potuto renderlo più colpevole ed inviso di quel falso proclama.

Mary, dunque, attende la nascita dell’erede al trono cercando di evitare problemi. Presagi di morte la attanagliano. Fa testamento, non dimenticando un lascito a favore di Giuseppe Rizzio, fratello di Davide.

Il 9 luglio nasce l’erede, Giacomo. Il dubbio che possa essere figlio di Rizzio è un’arma potente nelle mani dei ribelli: non avrebbero potuto sperare di meglio per invalidare, un giorno, il suo diritto al trono. A malincuore, dunque, la Regina proclama ufficialmente che è figlio del marito, sebbene provveda con altrettanta solerzia a trasferire il corpo di Rizzio nella cappella reale.

Melville, fidato messaggero della Stuarda, parte quello stesso giorno verso l’Inghilterra per dare la lieta notizia ad Elisabetta. Trova la sovrana intenta a danzare in un convivio festoso a Greenwich. Accompagnato da Cecil, segretario di Stato di Elisabetta, Melville entra in sala. E’ Cecil, però, ad accostarsi alla Regina per darle la notizia in un sussurro. Alle sue parole il volto di Elisabetta scolorisce e l’espressione diventa dura, granitica. Con un gesto brusco ferma la musica e si reca nelle sue stanze dove si abbandona al furore dettato dall’invidia. Il giorno seguente, recuperata la forza di ricevere con apparente letizia la novella, accoglie Melville e si dichiara disposta ad essere madrina del pargolo ed, ove possibile, a presenziare al battesimo.

Solitudine, cattiva consigliera

Nei mesi successivi alla nascita, onde sottrarsi alle pressanti richieste coniugali di Darnley, la Stuarda è sempre in giro, ospite in vari castelli ove il consorte è indesiderato.

Separarsi poco dopo la nascita del piccolo sarebbe stato come avvalorare il dubbio che non fosse suo figlio; far finta di niente e concedersi a lui, però, era impensabile. L’assenza da casa, dunque, era l’unica chance, sebbene inevitabilmente temporanea.

Nel frattempo, come ogni donna che porta il peso della responsabilità della propria forza, cerca un uomo con cui essere semplicemente donna e dal quale poter essere protetta, sentendosi finalmente sicura. Si avvicina molto, quindi, a Bothwell, l’unico di cui possa fidarsi. Egli incarna l’ideale di uomo di intelletto e di armi, che, peraltro, è sempre stato temerariamente al suo fianco per proteggerla. E’ sposato con una donna che la stessa Regina ha scelto per lui; una donna che tollera le scappatelle del marito, ma che non si può dire non sia da questi amata, sebbene in uno strano, fedifrago modo. Maria si innamora, però, e, come sempre accade quando è preda della propria passionalità, non considera quel matrimonio un ostacolo.

Vanson Lord Darnley

Vanson Lord Darnley

Darnley, intanto, stretto nel suo ruolo di reietto, tenta di reagire prendendo contatti con Filippo II, re della cattolica Spagna, al quale denunzia un vacillamento nella fede della consorte; quindi progetta un viaggio a Parigi ed in Inghilterra. E’ una mina vagante. Maria Stuarda non può, certo, permettergli di andare da Caterina de’ Medici e da Elisabetta I a mostrare i panni sporchi della corte di Scozia, quelli veri e quelli inventati. A fine settembre, quindi, Maria fa pervenire a Caterina de’ Medici un documento nel quale le narra la verità sul consorte traditore, minando, in modo preventivo, la sua credibilità. Dopo di che riammette lo stolto nel proprio talamo al fine di ammansirlo e distoglierlo dal suo progetto. Ancora una volta, attraverso il loro forte legame fisico, riesce a dominarlo ed a punirlo al contempo. Infatti, dopo averlo rassicurato sul loro rapporto, convoca i Lords e l’ambasciatore di Francia e lo mette pubblicamente sotto accusa, chiedendogli for God’s Sake il motivo per cui aveva progettato di abbandonare lei, il loro figlio neonato ed il regno di Scozia. Lui, dapprima, si chiude nel più ostinato silenzio; infine cede e si lascia estorcere la frase che Maria aspetta: la moglie non gli ha mai dato motivo di allontanarsi dalla famiglia e dal regno. L’onore e la credibilità della Regina sono salvi; un po’ meno quelli del suo debole consorte. E’ pubblicamente suo, infatti, il torto legato all’improvviso abbandono che stava progettando. Il “proud fool”, come viene soprannominato, esce dalla sala senza salutare nessuno, con sdegno e vergogna, rivolgendo alla moglie solo quella che lui percepisce come minaccia e che alla Regina suona, invece, come una lieta prospettiva: “Madonna, non mi rivedrete tanto presto”.

Il 16 dicembre, nel castello di Stirling, si celebra il battesimo del piccolo Giacomo. L’occasione, sempre onde fugare dicerie scomode, richiede la presenza di Darnley, il quale, però, in un ultimo guizzo di autoaffermazione, decide di non partecipare. Giunge a Stirling, sì, ma si chiude nelle sue stanze e non scende né per la cerimonia, né per i fastosi festeggiamenti. E’ Bothwell a ricevere gli ospiti accanto alla Regina.

La regina Elisabetta, come promesso, assolve al ruolo di madrina, ma per procura, inviando un dono senza dubbio inusuale per la sua nota spilorceria: un bacile da battesimo in oro massiccio lavorato a mano, con bordo tempestato di gemme preziose.

L’inizio della fine

Il giorno di Natale la Stuarda mette in atto la sua vendetta: riammette in Scozia i Lords che avevano partecipato all’omicidio di Rizzio, traditi da Darnley. E’ come se avesse messo una taglia sulla testa del marito. Darnley, non stupido fino a questo punto, capisce d’essere in pericolo e si rifugia a Glasgow, nel castello del padre, il conte di Lennox. E’ il principio della fine, per lui, considerato che, a quel tempo, contrariamente a quanto accade oggi, i morti riescono quasi sempre a farsi accompagnare nella tomba dagli artefici della loro dipartita. Vendetta, atroce vendetta!

Anche per Maria Stuarda inizia un periodo infelice, però. Passa spesso da un castello all’altro, sospinta da inquietudine e pensieri funesti. Appena può si isola, al buio, e piange angosciata. Forse le pesa una vita senza amore, senza appigli concreti; una vita di doveri e di apparente sicumera. Forse le manca Rizzio. Forse teme se stessa e la sua passionalità, ora che prova sentimenti per Bothwell, una storia d’amore che non può dignitosamente essere vissuta alla luce del sole finché resteranno sposati ad altre persone. Forse dubita del fatto che Bothwell voglia realmente lasciare la moglie. E’ certa del suo amore e ha avuto, da lui, temerarie prove di grande fedeltà e coraggio, ma ama anche sua moglie. Inoltre non è uomo dai sentimenti duraturi. Più facile che consumi fugaci passioni. Orbene, colui che ha detto che in amore vince chi fugge deve aver vissuto alla Corte di Scozia nella seconda metà del Cinquecento: Maria Stuarda si sottrae al marito e questi impazzisce per lei, al punto di diventare un giocattolo nelle sue mani; al contempo ella si innamora di Bothwell, che le sfugge, ed è, dunque, pronta a perdersi per lui.

Maria sembra un’adolescente al primo amore: non fa altro che scrivere al bel tenebroso Bothwell lettere appassionate, custodite in una cassetta d’argento. Saranno, poi, rese pubbliche ed infine bruciate da Giacomo VI, il figlio di Maria.

La Regina si rende ben presto conto che l’unico modo per avere Bothwell è promettergli il titolo di re. Ed è ciò che fa. Perché ciò si realizzi, però, Darnley deve uscire dalla sua vita. Con il divorzio? Certo, è una possibilità, ma produrrebbe scandalo, soprattutto per il cattolicesimo che informa la politica regia; inoltre c’è sempre la diceria sui natali del figlio che non deve essere in alcun modo alimentata.

Ienone Bothwell è presente alla riunione che Maria fa con i Lords ribelli, all’esito della quale ella si impegna ad accoglierli tutti nuovamente in Patria, compreso Ruthven, purché la liberino dal marito, “making her quit of him” è quanto si conviene. Non si parla apertamente di uccisione, ma, a ben vedere, in quale altro modo l’avrebbero potuta “liberare” da lui?

Bothwell è il più determinato ad usare la violenza. La trama necessariamente oscura di tale disegno impedisce di conoscere con esattezza l’identità dei Lords suoi alleati.

Darnley, ovviamente, presago dell’aleggiare di un qualcosa di molto spiacevole sul suo destino, continua a tenersi ben lontano da Holyrood. Ai primi di gennaio, poi, non deve nemmeno usare scuse per rimanere nella casa paterna, visto che si ammala di vaiolo. A quel punto è difficile che qualcuno, soprattutto uno dei suoi ex amici di congiura, possa stanarlo di lì. L’unica che può riuscirci, ancora una volta usando la seduzione per ridurlo in schiavitù d’amore, è la Regina, la quale, dunque, entra in pieno nel disegno criminoso.

Morte di un Re

Il 22 gennaio va a trovarlo. Che il suo sia il gesto di una Clitemnestra e non quello di una devota moglie sembra chiaro leggendo la lettera che, il giorno prima di recarsi da lui, Maria invia all’arcivescovo di Beaton: “Per quanto riguarda il re, nostro consorte, sa Iddio come noi sempre ci siamo comportate verso di lui, e non meno sono note a Dio ed al mondo le sue menzogne e le sue gesta contro di noi; tutti i nostri sudditi vi hanno assistito e noi non dubitiamo che di certo lo condannino nei loro cuori”. Non c’era, dunque, pietas nei suoi intenti, né voglia di riconciliazione.

Ovviamente, avendo in progetto di trasportare il marito in altro luogo dove più facilmente possa essere aggredito, va a trovarlo recando con sé un carro aperto allestito con una barella: di certo non la condizione migliore per trasportare un malato di vaiolo febbricitante nei due lunghi giorni di viaggio occorrenti per tornare ad Edimburgo.

C’è, poi, il misterioso incontro con Archibald Douglas a Glasgow, il quale le chiede aperto appoggio per l’omicidio del consorte. Lei nega il suo consenso, ma non si perizia di avvisare il marito del progetto che grava sulla sua testa. Questa infamia non la abbandonerà mai.

Al capezzale del marito ammalato, ella trascorre un’intera notte a scrivere una lunghissima lettera d’amore a Bothwell, manifestandogli un’alternanza di amore e paura, eccitazione e depressione, soprattutto di infinita solitudine; una disperata confessione che nemmeno Dostoevskij avrebbe saputo scrivere così bene. Gli racconta la semplice gioia del marito nell’averla accanto, cosa che le rende ancora più penoso il tradimento. Poi lenisce i suoi stessi sensi di colpa, affermando che, per se stessa, ella non avrebbe mai tradito: è l’amore per Bothwell a spingerla. “Tu mi costringi a tanto dissimulare, che io stessa ne ho orrore e spavento, e mi fai sostenere la parte del traditore. Ma rammentati, se non fosse per obbedire a te, preferirei essere morta. Il mio cuore ne sanguina”.

E’ completamente soggiogata da Bothwell e combattuta, timorosa persino d’essere dallo stesso disistimata per il tradimento che sta perpetrando ai danni del marito.

La coppia regale, infine, compie il viaggio verso Edimburgo. Tuttavia Darnley non viene ospitato a Holyrood od a Stirling, né in nessun’altra dimora reale, poiché potrebbe ancora essere contagioso. Viene condotto in una casa di campagna a Kirk o’ Field, sobborgo rurale molto malfamato. Ovviamente, la modesta dimora viene arredata sontuosamente. La stessa Maria, dal 4 al 7 febbraio, vi dorme, in altra stanza, è chiaro, per l’occasione fa portare il suo prezioso letto.

Il 7 febbraio Darnley sta decisamente meglio e felicemente scrive al padre che la regressione del male è dovuta alla sua amorevole moglie. Inoltre annuncia che, di lì a qualche giorno, sarebbe tornato a Holyrood. Il suo trasferimento, infatti, è fissato per il 10 febbraio, ma la sera prima muore in circostanze misteriose.

E’ il 9 febbraio. A Holyrood si festeggiano le nozze di due tra i più fedeli ed affezionati servi di Maria. Ella non può mancare ai festeggiamenti. Abbandona, dunque, la casa di Kirk o’ Field, ordinando che anche il suo letto, i suoi arazzi e le sue suppellettili vengano riportate al castello.

Sono le 23. Poco prima che i festeggiamenti si spostino dal castello alle strade della città, Maria torna dal marito per un saluto. Un addio che non può chiamare tale se non nel suo cuore. Al suo ritorno al castello incontra il corteo nuziale in strada. Alibi perfetto. La Regina è, dunque, al castello prima che il coniuge venga ucciso.

Ore due del mattino. Tutto è compiuto. Un gigantesco boato giunge fino in città. Il chiarore delle fiamme rischiara l’orizzonte. La casa del re è stata attaccata.

Maria Stuarda

Maria Stuarda

Bothwell, che, per crearsi un alibi, non si era mai allontanato dal castello ed aveva gioiosamente partecipato ai festeggiamenti, è nella sua stanza, a Holyrood, e finge di svegliarsi di soprassalto, precipitandosi, poco dopo, come il suo ruolo di ammiraglio richiede, a Kirk o’ Field con una scorta armata. Arrivato sul posto constata che la casa che ospitava il re era crollata a seguito di un’esplosione; tra le macerie rinviene il corpo del re e quello del suo servitore, che dormiva nella stanza accanto.

Bothwell torna al castello a dare il triste annuncio alla regina: il re è stato ucciso per mano di ignoti assassini.

Ora Maria Stuarda può piangere: lacrime liberatorie, ma anche lacrime macchiate da un’atroce colpa. Ora è vedova. Il suo progetto matrimoniale con Bothwell non ha più ostacoli. Diverrà suo marito, in effetti, ma sarà solo un altro capitolo della sua infelicità.

di Raffaella Bonsignori

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