Il dilemma della gratitudine per il benefattore che troppo vuole e nulla stringe

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Come è noto, ‘chi troppo vuole nulla stringe’ è un proverbio che suggerisce di accontentarsi di quello che si ha perché a volere troppo si rischia di rimanere con un pugno di mosche. Tuttavia pochi sanno che questo è anche il titolo di uno dei racconti giovanili di Anton Čechov scritti tra il 1880 e il 1884. Una storia di sei pagine scarse che parla di quanto sia amara eppure comica la debolezza umana, e lo fa per mezzo di una sorta di parabola incentrata sul concetto di avidità, tematica propria degli uomini di ogni luogo e di ogni tempo. 

Dice la nota del curatore dell’edizione Einaudi dei Racconti (1880-1884): «Čechov sembra rilanciare a ogni epoca, a ogni generazione i grandi interrogativi sulla vita, sul suo senso, sul suo futuro, che egli affida, sommessamente, ma talora con disperata lucidità, ai suoi personaggi e alle loro storie». In questo caso, tra i tanti interrogativi che la vicenda può porre, il più interessante è: quando le buone azioni vengono compiute con secondi fini meritano comunque gratitudine, oppure l’avidità le trasforma automaticamente in cattive azioni? 

Il proprietario e l’orgoglio ferito

Anche se il racconto è all’apparenza semplice, la questione è complessa e trova il suo centro nel ‘chi troppo vuole’ più che nel ‘nulla stringe’. Il primo personaggio che compare sulla scena è il maggiore Ščelkolobov, presentato subito come il «proprietario di più di mille ettari di terra» che si ritiene “proprietario” anche «di una giovane moglie». La donna in questione è Karolina Karlovna, che però l’ha sposato solo per interesse in quanto non lo ama né lo stima. Il maggiore l’ha scoperto per caso, per questo quando il lettore lo incontra, lo coglie nell’atto di imprecare. Il giorno prima, passando vicino a un chiosco, ha sentito la sua Karolina dargli dell’asino, del pazzo e del villano. Soprattutto, lo ha paragonato a un contadino, etichetta che — tronfio com’è il maggiore — lede il suo orgoglio in maniera insopportabile.

Non potendo imporre la sua volontà sui pensieri e sulle opinioni più intime della moglie, decide di punirla. Sceglie di farlo nel modo più barbaro. Si arma di frusta e sale con Karolina su una barca. Ferma la barca in mezzo al lago e si adopera per frustare la moglie, ma succede un parapiglia e la barca si capovolge. Dato che né lui né la moglie sanno nuotare, rischiano entrambi di affogare. È a questo punto che subentra lo scrivano della volost’ Ivan Pavlovič. Un personaggio che inizialmente sembra secondario, ma che poi si dimostra essere la vera chiave di lettura della morale della favola. 

Il salvataggio di Pavlovič

Pavlovič, che era stato a servizio di Ščelkolobov in passato, lo riconosce e si tuffa nel lago per salvare i coniugi. Tuttavia le forze gli consentono di portare a riva solo uno dei due. Karolina gli promette che lo sposerà se salverà lei. Il marito esclama: «Salva me, fratello! Un rublo per la vodka! […] Ti coprirò d’oro dalla testa ai piedi […]. Sposerò tua sorella Maria…». Pavlovič trova entrambe le proposte interessanti e non volendo rinunciare a niente, decide di provare a salvare entrambi anche al rischio di affogare tutti. La fortuna lo assiste, tutti e tre arrivano a riva sani e salvi. È solo a questo punto che lo scrivano si rende conto che salvando sia il maggiore che la moglie nessuna delle promesse che gli hanno fatto verrà mantenuta. 

L’opportunismo e l’avidità di Pavlovič hanno determinato la sua sconfitta, nonché la successiva perdita del posto nell’amministrazione del volost’ per ingerenza del maggiore. Viene da dire che se lo sia meritato. Tuttavia l’ottuso e violento Ščelkolobov e la falsa Karolina meritavano di aver salva la vita e di non dover offrire nulla in cambio? Qual è dunque la vera morale di Chi troppo vuole nulla stringe? Semplicemente che non bisogna essere ingordi o che chi è più debole è destinato a pagare più a caro prezzo gli sbagli? La questione resta aperta, e non è un caso che il racconto termini proprio con una domanda su quel ‘grazie’ mancato: «O uomini, o uomini! — esclamava a voce alta Ivan Pavlovič, passeggiando sulla riva dell’infausto lago, — che cosa intendete voi per gratitudine?».

Foto di Joe da Pixabay

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