NYU e la libertà di pensiero

NYU

«Il Congresso non promulgherà alcuna legge per il riconoscimento ufficiale di una religione o per proibirne il libero culto, o che limiti la libertà di parola o di stampa o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente e di presentare al governo una richiesta di risarcimento”. Evviva un paese che si fonda su questi sacrosanti principi, che sancisce nella sua carta costituzionale la libertà di pensiero e di parola, di riunioni in forma pacifica, di manifestare le proprie opinioni. 

Sì, evviva l’America, dove si è liberi di pensare e di esprimersi.

Così, nel rispetto del primo emendamento, la scorsa settimana centinaia di persone si sono potute riunire ad Union Square Park, a New York, attratte dalla lettura di alcuni manifesti apparsi per le strade: si annunciava una esibizione straordinaria, quella dell’uomo che mangia quasi un chilo di patatine in pochi minuti.

Come promesso, alle 15 di un assolato pomeriggio, una persona dal volto mascherato è salita su di uno sgabello e, in poco più di dieci minuti, incitata dalla folla, ha trangugiato circa un chilo di “puff”, le palline di patate che in America hanno un sinistro colore arancione ma vengono indicate come prive di grassi saturi, di colesterolo, di glutine e sono anche certificate kosher. C’è da domandarsi perché non vengano inserite d’obbligo nella dieta di tutti. 

Per quanto sane possano essere, ingoiare un chilo di puff in un quarto d’ora non deve far bene alla salute e in uno Stato dove l’assistenza sanitaria non è garantita ci sarebbe da fare attenzione. Ma qui, nel paese del primo emendamento, il mangiatore è libero di fare quel che vuole, anche uno spettacolo tutt’altro che salutare. Che bello potersi esibire così, forse manifestando un disagio psichiatrico ma nella piena libertà di esprimersi e condividere! Prova a farla, che so, in Cina o in Russia, una cosa così: è un attimo che ti ritrovi in arresto, altro che libertà!

All’incirca nello stesso momento in cui il mangiatore travisato dava spettacolo, alcuni studenti della NYU, l’università privata più grande d’America, si radunavano di fronte ad un ingresso laterale dell’ateneo per manifestare in favore della popolazione di Gaza.

In luoghi come le università è naturale che le discussioni si accendano: le università sono, o dovrebbero essere, centri di cultura, di confronto, di dibattiti. 

Di fronte ad una tragedia umanitaria come quella che si sta consumando a Gaza dove, secondo stime dell’Unicef, oltre la metà delle abitazioni è stata distrutta, dove funzionano e solo parzialmente 10 ospedali su 36 e dove manca tutto, dai medicinali all’acqua, fa piacere che gli studenti delle università americane, ragazzi il più delle volte ricchi e fortunati, provenienti da famiglie tanto agiate da potersi permettersi rette di oltre 70 mila dollari l’anno, sentano il dovere manifestare in favore di una popolazione martoriata. 

Questo non significa affatto essere antisemiti; semmai, come Robert Cohen, docente ebreo della NYU, ha scritto, può significare essere antisionisti ed è tutta un’altra cosa: non c’è razzismo nel contestare le scelte del governo israeliano, c’è libertà di pensiero e di espressione. Non a caso tra i manifestanti c’erano ragazzi e professori ebrei. 

Il raduno di protesta alla NYU è durato mezza giornata: la rettrice, dicendosi allarmata dal clima intimidatorio della piazza e dai “tanti episodi di antisemitismo” (episodi, va precisato, dei quali non è stata data prova alcuna) ha chiesto l’intervento della polizia.

Così, con il garbo che notoriamente contraddistingue la polizia americana, studenti e docenti che avevano rifiutato di allontanarsi sono stati spintonanti, ammanettati ed arrestati. Li si accusa di aver invaso una proprietà privata, quella della NYU, dove, in realtà, studenti e professori avevano titolo per stare.

“Abito vicino e stavo facendo i compiti insieme a mia figlia quando ho visto arrivare la polizia in tenuta anti sommossa.” ci dice uno dei docenti arrestati, “Allora ho preso il tesserino della NYU e sono sceso di corsa, per proteggere i ragazzi. Eravamo diversi docenti, ci siamo messi tra la polizia ed i nostri studenti, abbiamo cercato di spiegare che avevano diritto a star lì, che non c’era stata alcuna azione violenta ma siamo stati ammanettati ed arrestati. Non ci credevamo.”

Per un professore che non ci crede ce n’è uno che invece ritiene “Dovrebbero essere  impiccati in piazza e lasciati lì. Adesso debbono essere condannati a pagare e  diventare poveri”, e questa, in America, è peggio di una minaccia di morte. “Hamas va distrutta completamente” conclude il docente e non si può che condividere il suo desiderio che un’organizzazione terroristica venga debellata; peccato solo che lui confonda Hamas con tutta la popolazione di Gaza: come a dire che, siccome in Italia c’è un governo di destra, gli italiani sono tutti di destra. Per non dire, poi, che la striscia è popolata da circa 2 milioni di individui il 40% dei quali ha un’età compresa tra zero e 14 anni: vabbè che le nuove generazioni sono più precoci ma immaginare un terrorista bambino è davvero difficile.

Alla rettrice della NYU si chiede, adesso, di ritirare le accuse verso i ragazzi ed i professori; lei, però, forte delle rivolte violente accadute in altri atenei, pretende che i “rivoltosi” chiedano scusa. Intanto gli avvocati della scuola di legge della NYU si preparano a difendere, gratuitamente, i loro colleghi e gli studenti; questo, almeno, limiterà i danni per coloro che hanno avuto la colpa di pensare e di protestare contro il governo israeliano, in favore di un popolo allo stremo.

Sì, bella la libertà di pensiero e di parola, di riunirsi in forma pacifica e di manifestare per le proprie idee, però, forse, è meglio continuare a mangiare chili di patatine in pubblico: non sarà salutare ma è di certo meno rischioso.

1 risposta

  1. ciconsenta

    Secondo noi: patatine, le palline di patate è fuorviante per un lettore d’Italia. Quelli sono Cheese Balls, non contengono solanum tuberosum. Il colore arancio è per imitare il formaggio cheddar, con gli additivi yellow 5 e yellow 6.

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