La rinascita in mezzo al conflitto: la lezione di Ungaretti in “Il porto sepolto”

La rinascita

Il termine Pasqua viene dalla parola ebraica pesah, che significa “passare oltre”. Com’è noto, a Pasqua gli ebrei ricordano l’esodo del popolo ebraico dall’Egitto verso la Terra promessa, mentre per la religione cristiana la Pasqua rappresenta il momento della Resurrezione di Cristo. Un ritorno alla vita che segna la vittoria contro la morte, la redenzione dell’umanità e l’inizio di una nuova esistenza che aspetta gli uomini dopo la vita terrena. 

A qualunque evento sia legata, dunque la Pasqua segna un cambiamento radicale e positivo, un nuovo inizio. Eppure anche quest’anno la sua promessa di pace e serenità arriva accompagnata da notizie angoscianti, che parlano di guerra, di attentati, di divisioni. In un momento in cui i conflitti invece che sopirsi si assommano, in cui le tensioni sociali si rafforzano, in cui siamo sempre più destabilizzati da un clima sregolato e ritmi di vita che rendono le cose ancora nuove già obsolete, riusciamo ancora a credere nella possibilità della rinascita?

Ungaretti e la rinascita nell’orrore della guerra

La risposta possiamo trovarla nella Bellezza. Non nella bellezza comune, ma in quella che «salverà il mondo», come affermava il principe Miškin in L’idiota di Dostoevskij. Si pensi a Il porto sepolto (1916) di Ungaretti: un insieme di pochi componimenti brevi e frammentati composti al fronte durante la prima guerra mondiale, che tuttavia costituisce il nucleo generatore dei miti e della poetica ungarettiana. 

Questa raccolta rappresenta una delle più belle testimonianze letterarie di come davanti all’orrore, se lo sguardo è abbastanza acuto da riuscire a bucare il visibile, sollevarsi al di sopra del muro di trincea e recuperare la memoria del passato, si possa riscoprire la propria voglia di vivere. In Veglia, dopo aver descritto la crudezza della guerra mediante l’immagine del «compagno/massacrato/con la sua bocca/digrignata/volta al plenilunio», Ungaretti si ribella alla sopraffazione della morte sulla vita e afferma «ho scritto lettere piene d’amore», per poi concludere in forma epigrafica: «Non sono mai stato/tanto/attaccato alla vita». 

Il nuovo battesimo e il risveglio

L’attaccamento alla vita risulta evidente anche in I fiumi. Qui, distendendosi nell’«urna d’acqua» rappresentata dall’Isonzo, Ungaretti ricostruisce tutta la sua vicenda biografica ricordando i fiumi che ha incontrato nel corso della sua vita. Egli recupera e riafferma la propria identità attraverso la poesia e la memoria. Lo fa proprio laddove la sua condizione di anonimo soldato, fragile come «d’autunno/sugli alberi/le foglie», avrebbe potuto portarlo allo smarrimento. E tutto ciò accade grazie all’acqua, elemento purificatore per eccellenza, come in un nuovo battesimo. 

La funzione risanatrice della bellezza che si affaccia nei momenti più bui è cantata anche nella poesia Risvegli. Qui «la creatura/ terrificata/sbarra gli occhi/e accoglie/gocciole di stelle/e la pianura muta/e si sente riavere». Quelle «gocciole di stelle» e quella «pianura muta» che sopravvivono a ogni tragico evento particolare, se riusciamo a scorgerle, ci risvegliano e ci fanno approdare a un livello di esistenza superiore, che guarda oltre le lacerazioni dell’esistenza e ci fanno continuare a sperare in una vita nuova.

Foto di svklimkin da Pixabay

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.