Piccoli equivoci senza importanza e enormi equivoci senza rimedio

piccoli equivoci

Nel racconto di Antonio Tabucchi Piccoli equivoci senza importanza (inserito nella raccolta omonima pubblicata per la prima volta nel 1985) l’imprevisto prende la forma di un banale equivoco capace di ridisegnare un intero destino. Come spesso accade nelle storie di Tabucchi, i piani spaziali e temporali si mescolano. Nel giro di poche pagine scivoliamo da un’aula di tribunale a un intimo salotto stile impero. Da un triste corridoio d’ospedale a un locale che si chiama Caffé Goliardico. Dal presente amaro a un passato pieno di passi di danza, amori e progetti per il futuro. 

La memoria involontaria e la divisione dei ruoli

Il sottofondo di questo continuo scivolare è una Strada anfosa: canzone riemersa come un fiume carsico dal passato per attivare la memoria involontaria del narratore. A un tratto il tempo prende a srotolarsi dall’alto verso il basso, nell’abisso della memoria, come il filo di un gomitolo che sfugge dalle mani. «E così è cominciato il processo, con il Leo e Federico che ballavano a turno con la Grande Tragica guardandola perdutamente negli occhi, entrambi facendo finta che non erano affatto rivali, che di quella ragazza dai capelli rossi non gliene importava molto, lo facevano così per ballare, e invece spasimavano per lei, io compreso, naturalmente, che mettevo il disco come se niente fosse». 

In questa scena del passato ognuno sta già interpretando in maniera giocosa il ruolo che poi dovrà drammaticamente sostenere da grande. Leo e Federico sono sempre divisi da qualcuno o qualcosa che li mette in contrapposizione, ieri la bella Maddalena oggi il banco di un tribunale. Maddalena — descritta come la Grande Tragica grazie a una sua magistrale interpretazione di Antigone — è una ragazza che la tragedia ce l’ha inscritta nel destino. Tonino, il narratore, è sempre destinato a essere colui che guarda e che fa partire il disco, ieri della musica e oggi del racconto. 

Le conseguenze dei piccoli equivoci senza importanza

Tonino, Leo, Federico, Maddalena sono parti di un gruppo che negli anni si è sfaldato a causa di tanti piccoli equivoci senza importanza che poi sono diventati «enormi piccoli equivoci senza rimedio». Il primo è quello per cui a Federico, che voleva fare Lettere classiche, viene consegnato per sbaglio il libretto di matricola di Giurisprudenza. «Per confortarlo lo accompagnammo alle segreterie, ci attese un impiegato gentile e noncurante […]. Esaminò il libretto di Federico e la sua aria preoccupata: è un piccolo equivoco senza rimedio, disse […]. Federico lo guardò allibito[…]. Il vecchietto non si scompose, mi scusi, disse, è stato un lapsus, volevo dire un piccolo equivoco senza importanza». 

Questo equivoco porta Federico a scegliere davvero di laurearsi in Giurisprudenza. Diventerà un giudice, proprio come — a causa di un altro «piccolo equivoco che lui credeva senza importanza» — Leo diventerà un rivoluzionario esecutore di attentati a sfondo politico. È per questo che un giorno, anni dopo, i due si ritrovano nella stessa aula di tribunale. Federico a giudicare e Leo a essere giudicato. È presente anche Tonino, che è diventato cronista e si ritrova ad assistere al processo senza poter fare più niente per cambiare le cose. Si scopre a sua volta attore di quella tragedia piena di equivoci e dai ruoli rigidamente codificati che è la vita. E inorridisce perché ciò significa che anche lui prende parte senza ribellarsi al gioco crudele dell’esistenza che si porta via tutte le cose belle.

La colpa dello stare al gioco

Alla fine del racconto, pensando alla sorte dei due amici, Tonino afferma: «Ma cosa potevo dirgli? Che si trattava di un piccolo equivoco senza rimedio? Perché mentre pensavo questo ho proprio pensato che tutto era davvero un enorme piccolo equivoco senza rimedio che la vita si stava portando via, ormai le parti erano assegnate ed era impossibile non recitarle; e anch’io, che ero venuto col mio blocchetto per per gli appunti, anche il mio semplice guardare loro che recitavano la loro parte, anche questa era una parte, e in questo consisteva la mia colpa, nello stare al gioco».

Foto di Dim Hou da Pixabay

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