“Notturno indiano”: viaggio circolare alla ricerca dell’altro sé

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«È un pellegrinaggio? chiese lui. Dissi di no. O meglio sì, ma non nel senso religioso del termine. Semmai era un itinerario privato, come dire?, cercavo solo delle tracce». Il viaggio che disegna Antonio Tabucchi in Notturno indiano è un viaggio esistenziale che si snoda sulla linea di confine tra realtà e sogno. Un itinerario in una terra controversa, caotica e spirituale, a tratti surreale, immersa in un’atmosfera costantemente allucinata. Notti insonni che diventano tempo di avvenimenti, di incontri, di ricerca. Ma ricerca di chi? Apparentemente dell’amico Xavier, in realtà del proprio alter-ego perso in un altrove concepito come altro tempo e altro luogo.

Tracce e incontri

I romanzi di Tabucchi sono pieni di viaggi, di treni, di incontri con personaggi enigmatici che appaiono dal nulla e nel nulla si dissolvono. Il misterioso Xavier muove la storia con la sua assenza. Di lui si hanno poche notizie. Le labili tracce che ha lasciato sono sparse in una topografia scomposta e disordinata che collega Bombay (oggi Mumbai), Madras (oggi Chennai) e Goa. Tra una traccia e l’altra ci sono dei personaggi che — indipendentemente dal fatto che Roux li incontri in sogno, in un albergo o o alla stazione — si pongono come spettri parlanti che esistono solo nel momento in cui incrociano la sua strada.

Alcuni sono incontri casuali, come quello con il jainista alla stazione di Bombay o il ragazzino diretto al tempio di Chandranath. Altri  — come quello con la prostituta Vimala Sar — sono voluti perché funzionali al ritrovamento di Xavier. Eppure ognuno di essi è come un appuntamento che la vita fissa per Roux a seconda dei suoi tempi e delle sue scelte. Sono quei piccoli viaggi nel grande viaggio dell’esistenza di cui Tabucchi parla in Rebus: «La vita è un appuntamento […] solo che noi non sappiamo mai il quando, il chi, il come, il dove. E allora uno pensa: se avessi detto questo invece di quello, e quello invece di questo, se mi fossi alzato tardi invece di presto, o presto invece che tardi, oggi sarei impercettibilmente differente, e forse tutto il mondo sarebbe impercettibilmente differente».  

La ricerca dell’altro io

Ogni appuntamento, ogni incontro, rappresentano una possibilità che si è verificata e l’esclusione di tutte le altre. Piccola conquista e grande perdita imposta dalla limitatezza della vita. Ma Tabucchi a questa limitatezza non si rassegna. Anche in Notturno indiano procede per riflessi, sdoppiamenti, pseudonimi e ribaltamenti. Dilata l’io a dismisura, lo scompone e alla fine ci rivela che chi si è perso, chi lo cerca e chi racconta la storia sono la stessa persona: tre diverse possibilità della stessa esistenza che tuttavia non possono convivere in un solo corpo, in un solo momento. 

Xavier rappresenta qualcosa che Roux ha perduto, oppure una domanda a cui non riesce a trovare risposta. Lo stesso accade viceversa, stando alla prospettiva ribaltata che Tabucchi ci regala nell’ultimo capitolo del libro. Nel dialogo che il protagonista intrattiene con la fotografa Christine tutto il viaggio di Roux si trasforma nella trama di un romanzo che si suppone egli stia scrivendo. Non un romanzo dalla struttura unitaria, ma un insieme di frammenti con molti vuoti in cui è Roux che si è perso in India e viene cercato da un vecchio amico. «E lui perché la sta cercando con tanta insistenza?» chiede Christine. Roux — dando voce a una sorta di dichiarazione di poetica — risponde: «questo non lo so neppure io che scrivo. […] Forse vorrebbe afferrare qualcosa che un tempo gli sfuggì. In qualche modo sta cercando se stesso, cercando me: nei libri succede spesso, è letteratura».

Foto di Sharath Su da Pixabay

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