Cicerone e l’arte della verità

verità giustizia

«E quando [taluno che presenziasse al processo in questo giorno di festa] sapesse che non si tratta né di un attentato, né di un colpo di mano o di una violenza qualsiasi, ma bensì di un giovane noto per splendore d’ingegno, per operosità, per simpatia, accusato dal figlio di colui che per ben due volte egli trasse in giudizio, combattuto con le risorse di una prostituta; egli non condannerà certamente la filiale devozione di lui, ma chiederà che sia represso quell’indegno capriccio di una donna; e vi giudicherà vittime di un esagerato zelo di lavoro, che neppur vi concede quel riposo di cui tutti godono». In queste frasi Marco Tullio Cicerone espone già tutti gli elementi principali della sua linea difensiva nel processo che vede imputato il suo giovane alumno Marco Celio Rufo. 

Siamo in una delle più brillanti orazioni ciceroniane, la Pro Caelio. Un’avventura giuridica difficile perché la lista dei capi d’imputazione a carico del cliente è lunga. Moralità dubbia, familiarità con il congiurante Catilina, corruzione, debiti, violenza. Ma soprattutto, la partecipazione all’attentato contro gli ambasciatori alessandrini a Pozzuoli, nonché la correità nell’omicidio di Dione, capo dell’ambasceria. Un elenco pesante che solo l’abilità oratoria di Cicerone può smontare in direzione dell’assoluzione. 

La vendetta di Clodia 

Come afferma Emanuele Narducci nel saggio introduttivo all’edizione BUR, la difesa messa in campo dall’arpinate lascia in ombra il retroscena politico per giocare sul terreno psicologico-sentimentale. Ritiene che la vera regista dell’attacco contro l’imputato sia «l’amante abbandonata dallo stesso Celio, Clodia, sorella del tribuno che aveva costretto Cicerone all’esilio, e molto probabilmente la stessa donna che Catullo cantò sotto il nome di Lesbia».

Il vero motivo per cui il processo è stato convocato, dunque, sarebbe la vendetta di una donna ferita. Non una donna qualsiasi, ma un personaggio chiave negli eventi che hanno condotto Celio davanti al giudice. Uno dei capi d’accusa del processo è infatti quello per cui il giovane avrebbe preso in prestito dei gioielli d’oro da Clodia per finanziare l’assassinio di Dione; dopodiché avrebbe cercato di avvelenarla per eliminare una testimone pericolosa.

Screditando la matrona romana, queste accuse diventano niente più che calunnie. Clodia viene definita provocatoriamente come «non soltanto notabile, ma assai nota», nel senso più dispregiativo dell’espressione. Oggi viene portata come esempio di emancipazione femminile per la sua intelligenza e la sua apertura alle novità in ambito culturale. Tuttavia nella Roma di fine repubblica è ricordata sopratutto per le sue tante avventure sentimentali. E Cicerone non manca di sottolinearne l’inclinazione lussuriosa: «Tu hai adocchiato un giovinetto, tuo vicino di casa; il suo candore, la sua figura slanciata, il volto, gli occhi ti hanno colpita; l’hai voluto vedere più di frequente, ti sei talvolta trovata con lui nello stesso giardino; donna dell’alta società, ti sei proposta di avvincere a te, con le tue larghezze, questo figlio di famiglia dal padre avaro e spilorcio». 

Il ritratto di Celio

Sulla base del ritratto di una Clodia matura, dissoluta e manipolatrice, l’oratore disegna quello di un Celio ingenuo e quindi facilmente influenzabile. Un giovane che sbaglia perché inesperto della vita, ma che d’ora in poi osserverà certamente i valori del mos maiorum. Di ciò Cicerone si fa addirittura garante: «Questo io prometto a voi, di questo io mi faccio garante verso lo Stato […], che questo giovane non tralignerà mai dalle nostre direttive: e lo prometto, confidando nella nostra familiarità e nell’essersi egli già sottomesso alle più severe norme di vita».

In realtà fonti accreditate presentano Celio come tutt’altro che sprovveduto. È un giovane ambizioso, bravissimo con le parole, amante della vita mondana e capace di cambiare bandiera politica per convenienza. Si tratta di un perfetto rappresentante della «gioventù romana al tempo di Cesare», come dice Gaston Boissier. Brillante con le parole e freddamente utilitarista. Ma non importa ciò che è vero. In un caso in cui le accuse sono tante ma le prove sono poche, l’ars oratoria di Cicerone si dimostra più forte della verità e la sua narrazione si sostituisce ad essa, trionfando.

Foto di Sang Hyun Cho da Pixabay 

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