Dante e i suoi riferimenti ai Templari nella Divina Commedia

Dante Alighieri. Ricorre quest’anno il settimo centenario della morte. Per quanto la sua opera sia stata analizzata e commentata in ogni parte, il personaggio è ancora in gran parte oscuro. Tra i suoi biografi c’è anche chi suppone che sia appartenuto all’Ordine dei Templari. Tra costoro il francese René Guenon, in: L’Ésoterisme de Dante, Gallimard, 1957. Recentemente ha sposato questa tesi Renato Ariano, in: Dante templare segreto. I misteri della Commedia svelati dalla massoneria scozzese, BookShopOnLine, 2016.

Dopo lo straordinario successo ottenuto dai libri di Dan Brown i Templari, in quanto predecessori degli “Illuminati” sono diventati di moda. Lo scrittore statunitense ne ha trattato soprattutto in: Angeli e demoni (2000). Ma anche Inferno (2013), di classico argomento dantesco, tratta della setta degli “Illuminati”. I film che ne sono stati tratti hanno sbancato ai botteghini.

L’Ordine dei Templari nacque nel 1118 con il compito di difendere con le armi i luoghi sacri e i pellegrini in viaggio verso la Terra Santa. Nel 1129 San Bernardo di Chiaravalle gli conferì una regola monastica. Nel 1147-1150 presero parte alla seconda crociata, per liberare Edessa. Poi acquisirono un potere finanziario enorme, gestendo le stazioni di riposo dei pellegrinaggi e reimpiegandone i proventi. Per questo si fecero numerosi nemici. Nel 1313 il loro ordine fu soppresso da Papa Clemente V. In Francia, furono mandati al rogo da Filippo il Bello.

Dante mette all’inferno i persecutori dei Templari Filippo il Bello e Clemente V

La Divina Commedia ha però sorprendenti particolari. Il Santo che riveste il ruolo più importante di tutto il poema è proprio Bernardo di Chiaravalle. L’autore della regola dei templari. È lui la terza guida di Dante con il compito di accompagnarlo nell’ultima parte del viaggio. Solo grazie alla sua presenza il poeta, giunto nel punto più alto del paradiso, può accedere alla vista di Dio. I persecutori dell’ordine dei Templari, Filippo il Bello e Papa Clemente V, morti entrambi mentre Dante scrive, sono invece condannati alle fiamme dell’inferno.

Un altro importante personaggio, che possiamo affiancare a Virgilio e Beatrice, è Cacciaguida. Questi era il trisavolo di Dante. Aveva partecipato alla seconda crociata e probabilmente era un templare. Nel Paradiso appare tra le anime dei combattenti per la fede e la sua figura è protagonista di ben tre canti. Per salvare l’umanità Cacciaguida affida a Dante la missione di rivelare la volontà di Dio.  Un compito che potrebbe apparire addirittura eretico, tenuto conto che è già stato svolto da Gesù. Ebbene, una delle accuse rivolte ai Templari sarebbe stata quella di non riconoscere la divinità di Gesù.

Anche la massoneria, pur credendo in un “Grande architetto dell’Universo” non riconosce la divinità di Gesù. Un riferimento esplicito ai templari, nella Commedia, sembra essere inoltre la protezione offerta a Beatrice, nell’empireo, dal “convento de le bianche stole”. I templari, infatti, vestivano un mantello bianco, con una croce rossa a otto punte sulla spalla.

Un’indagine resa difficoltosa da un antico vincolo di segretezza

Se questi sono i riferimenti storici, i contenuti simbolici della Commedia sono altrettanto sorprendenti.  Il poema infatti è un’opera dove il simbolismo è essenziale. È lo stesso Dante a precisarlo nel nono canto dell’Inferno quando declama: «O voi che avete gl’intelletti sani, mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani!».

Investigare sull’affinità o meno del simbolismo dantesco con quello dell’Ordine dei Templari, però, non è affatto semplice. I cavalieri, infatti, erano legati a un vincolo di segretezza. Per questo Ariano, nel libro citato, va ad investigare il simbolismo massonico. I massoni individuano il fondatore della loro istituzione nell’architetto Hiram, mitico costruttore del tempio di Gerusalemme. Ciò li avvicina ideologicamente ai Templari. I cavalieri, come detto, avevano il compito di difendere il tempio. Inoltre, proprio le Costituzioni massoniche di Anderson (1723) fanno riferimento al simbolismo templare.

Uno dei numeri cardine del simbolismo massonico è il 33. Il 33° è infatti il massimo grado del rito massonico scozzese. Ebbene sia l’Inferno che il Purgatorio e il Paradiso sono composti da 33 canti (più uno introduttivo). Altri riferimenti numerologici sono contenuti nel libro di Ariano, al quale si rimanda.

Forse Dante apparteneva a un’associazione affiliata all’Ordine dei Templari

Nella documentazione sopravvissuta, tuttavia, non risulta esplicitamente l’appartenenza di Dante all’Ordine dei Templari. Il suo stato laicale era però compatibile con l’appartenenza all’Ordine. Ad esso erano infatti ammessi anche i laici e non solo i monaci. Tale assenza di notizie, tuttavia, può dipendere dal fatto che i Templari – come i massoni – erano tenuti al vincolo di segretezza.

Sia Ariano che Guenon fanno però riferimento a un indizio che potrebbe aver valore di prova. Nel museo di Vienna si trovano due medaglie. Una di esse raffigura Dante, l’altra il contemporaneo pittore Pietro da Pisa. Entrambe contengono un’iscrizione che indicherebbe l’appartenenza dei due artisti all’Associazione della Santa Fede. Era questo un sodalizio affiliato all’Ordine dei Templari.

La medaglia avrebbe conferito loro la qualifica di cavaliere Kadosh. Un grado di iniziazione che si ritrova anche nell’odierna massoneria. La convergenza di tali indizi, dunque, indicherebbe l’appartenenza di Dante ad un sodalizio “satellite” del templarismo. Un’associazione che ne condivideva la simbologia e, soprattutto, la missione di combattere per la fede.

Foto di copertina di Nadine Doerlé da Pixabay

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