Umberto Saba e la navigazione infinita nella terra di nessuno

umberto saba

Nella poesia Ulisse, Umberto Saba usa l’espressione «non domato spirito» per definire la sua voglia inesauribile di esperire e conoscere la vita. Vuole testimoniarne il «doloroso amore», ovvero l’amore che si manifesta in tutte le forme dell’esistenza, la cui esperienza continua porta con sé il dolore della solitudine e dell’isolamento. Nemmeno il passare del tempo è capace di sopire questo impulso. In gioventù come nella maturità il Saba poeta resta incapace di “ancorarsi a un porto definitivo”, di adattarsi a un unico pacchetto di circostanze. 

Il poeta e l’uomo di sempre nella terra di nessuno 

Preferisce riconoscere come proprio regno la «terra di nessuno» e vivere costantemente al largo, nell’inquieta ricerca di una verità così profonda da non avere limiti. In Ulisse l’immensità del segreto della vita prende la forma del mare, da sempre simbolo dell’ignoto. Non a caso si tratta della poesia conclusiva della sezione del Canzoniere che si intitola Mediterranee e porta il nome del più grande navigatore della classicità; colui che il Mediterraneo l’ha percorso in lungo e in largo, prima per raggiungere la sua Itaca poi per varcare i confini del mondo conosciuto.

Questa volta Ulisse è Saba, ma è anche tutti coloro che condividono l’inquietudine morale e filosofica tipica dell’uomo contemporaneo. Come suo solito, l’autore parte da un’esperienza autobiografica («Nella mia giovinezza ho navigato lungo le coste dalmate»). Ma l’elemento autobiografico nasconde un significato più profondo e rimanda a una regola universale. Saba parla di sé per parlare di tutti. Come afferma il critico Mengaldo, egli coglie: «il senso del dispiegarsi dell’esperienza individuale come ripetizione di un’esperienza già vissuta, individualmente nel proprio passato, archetipicamente nella vicenda dell’uomo di sempre».

L’inquietudine del navigatore e la serenità del conformista 

Il mondo è pieno di Ulisse. Lo sapevano bene anche James Joyce e Dante Alighieri, tanto che hanno sentito l’esigenza di ridisegnarlo nelle proprie opere, facendone il simbolo di una determinata condizione esistenziale. Anche l’Ulisse che il Dante personaggio incontra all’Inferno è un uomo che non riesce a vincere la tensione di «divenir esperto» del mondo. Nonostante sia stato lontano da casa vent’anni e abbia superato innumerevoli avversità per tornare a Itaca, una volta ricongiuntosi con i suoi cari sente che «né dolcezza di figlio, né la pietà del vecchio padre, né ’l debito amore» verso la moglie gli bastano per avere una vita piena. 

Allora salpa con i fedeli compagni verso l’ignoto e intraprende il viaggio che si conclude con il «folle volo», laddove non ci sono più porti e anche il mare finisce. Non si sa se l’Ulisse di Saba incorrerà nello stesso destino, certo è che nel presente della narrazione «il porto accende ad altri i suoi lumi». Chi sono questi altri? Nient’altro che i conformisti: coloro che si chiudono nelle proprie abitudini e in cambio di un po’ di tranquillità accettano passivamente le proprie condizioni. Tutto il contrario dell’eterno navigatore, che invece sacrifica la propria porzione di serenità in nome di una verità che spera lo renda libero.

Foto di Youssef Jheir da Pixabay

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