«Senza di lui, non solo non vedremmo tante cose a cui non badiamo per il solito, ma non potremmo nemmeno pensarle e ridirle, perché egli è l’Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente» scrive Giovanni Pascoli nel suo saggio Il fanciullino, pubblicato sulla rivista Il Marzocco nel 1897. Il soggetto è proprio il «fanciullino» che sopravvive al fondo di ogni uomo e che vede tutte le cose come per la prima volta. La sua capacità di meravigliarsi è come quella di Adamo all’alba della Creazione o degli uomini primitivi davanti ai fenomeni della natura. Un senso di stupore che consente di cogliere la bellezza della realtà e di colorarla con la fantasia.
Scoprire e nominare
Ogni cosa che si presenta agli occhi del fanciullino è inaspettata e viene accolta come un bellissimo imprevisto tutto da scoprire. Scoprire più che indagare, perché l’indagine presuppone quella capacità di ragionamento logico tipica degli adulti. Qui invece siamo davanti a un bambino «che ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccare la selce che riluce». Come ogni bambino, il fanciullino si rapporta al mondo in modo istintivo e fantasioso. Vi esercita la capacità innata di riscoprire le cose nella loro freschezza originaria e di identificarle con il nome. Non un nome qualsiasi, ma quello che senza mediazioni logiche rimanda subito al senso più profondo della cosa che nomina.
«Fanciullo, che non sai ragionare se non a modo tuo, un modo fanciullesco che si chiama profondo, perché d’un tratto, senza farci scendere a uno a uno i gradini del pensiero, ci trasporta nell’abisso della verità» afferma infatti Pascoli nel saggio. Questo non significa che la conoscenza di chi ha esperienza del mondo (gli adulti, i dotti, gli uomini contemporanei rispetto ai primitivi…) abbia un valore negativo. Semplicemente, non serve per fare poesia. Infatti, per Pascoli la parola poetica corrisponde al nome dato dal fanciullino: si sottrae ai meccanismi mortificanti della comunicazione abituale e arriva subito all’intimo delle cose.
La poesia nel quotidiano
Restare a contatto con il fanciullino che è dentro di noi, dunque, è fondamentale per essere poeti («Poesia è trovare nelle cose […] il loro sorriso e la loro lacrima; e ciò si fa da due occhi infantili che guardano semplicemente e serenamente di tra l’oscuro tumulto della nostra anima»). Non importa andare lontano per trovare un oggetto o un’esperienza che valga la pena trattare. Chi sa osservare con gli occhi di un bambino trova il sentimento poetico anche in ciò che lo circonda, nelle cose più umili e semplici del quotidiano.
Pascoli parla spesso con il suo fanciullino, ma la maggior parte degli uomini ha smesso di sentire il proprio da tempo. Colpa soprattutto della vita frenetica che soffoca la voce interiore sotto una montagna di occupazioni. A questi uomini il poeta dice: «Forse il fanciullo tace in voi, professore, perché voi avete troppo cipiglio, e voi non lo udite, o banchiere, tra il vostro invisibile e assiduo conteggio. Fa il broncio in te, o contadino, che zappi e vanghi, e non ti puoi fermare un poco; dorme coi pugni chiusi in te, operaio, che devi stare chiuso tutto il giorno nell’officina piena di fracasso e senza sole». E si duole per loro perché insieme al fanciullo hanno perso la capacità di stupirsi, quindi l’opportunità di cogliere il bello che c’è al di là della consuetudine.
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