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Cultura

L’islandese in fuga dalla Natura

Vanessa Lucarini
15 Maggio 2022
Cultura, HomePage, L'imprevisto letterario, Libri
islandese

«Sono un povero Islandese, che vo fuggendo la Natura; e fuggitala quasi tutto il tempo della mia vita per cento parti della terra, la fuggo adesso per questa» afferma il protagonista della più famosa delle Operette morali di Leopardi: Dialogo della Natura e di un islandese (composta nel maggio del 1824). Il passaggio dal pessimismo storico al pessimismo cosmico è già avvenuto e nella concezione esistenziale del poeta la Natura, da fonte di consolazione al dolore umano, è già diventata madre terribile e indifferente alle sorti dei propri figli. 

L’islandese — qui portavoce di Leopardi — ha compreso che la Natura espone continuamente gli uomini a pericoli e sofferenze atroci. È per questo che cerca di scappare da lei. Un’operazione impossibile, dato che essa governa l’universo, e dall’universo non si può fuggire. Questa fuga lo conduce nel cuore dell’Africa, proprio dove il paesaggio naturale è più selvaggio e tempestoso. Qui si ritrova al cospetto di una «forma smisurata di donna», grande come gli ermi dell’isola di Pasqua, con il «volto mezzo tra bello e terribile». Sembra una creatura mitologica, in realtà — ironia della sorte — è proprio la personificazione della Natura.

La fuga dell’Islandese e l’incontro con la Natura

«Ma che era che ti moveva a fuggirmi?» chiede la donna gigantesca. E l’islandese risponde: «Tu dei sapere che io fino alla prima gioventù, a poche esperienze, fui persuaso e chiaro della vanità della vita, e della stoltezza degli uomini; i quali combattendo continuamente gli uni cogli altri […]; sopportando e cagionandosi scambievolmente infinite sollecitudini, e infiniti mali […]; tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano». Più gli uomini cercano la felicità più se ne allontanano, così come più l’islandese cerca di fuggire dalla Natura per sottrarsi alla sua crudeltà più le si avvicina, fino a trovarla in uno dei luoghi più inaccessibili della terra.

Dopo aver abbandonato la vita sociale per tenersi lontano dai patimenti che gli uomini si infliggono a vicenda, l’islandese narra di aver sperimentato il dolore sotto molte altre forme. Si pensi alle affermazioni: «l’intensità del freddo, e l’ardore estremo della state […] mi travagliavano di continuo»; «le tempeste spaventevoli di mare e di terra, i ruggiti e le minacce del monte Ecla […] non intermettevano mai di turbarmi»; «sono stato arso dal caldo dei tropici, rappreso dal freddo dei poli, afflitto nei climi più temperati dall’incostanza dell’aria, infestato dalle commozioni». 

La Natura matrigna e la domanda senza risposta

La ricerca della felicità e l’imprescindibilità del dolore sono tematiche legate a doppio filo nel pensiero leopardiano. Già dagli anni giovanili l’autore crede fermamente che la vita umana sia tutta all’insegna del dolore poiché alimentata da un desiderio inappagabile: quello di un piacere eterno e sconfinato. Nei piccoli idilli (si pensi all’Infinito) l’immaginazione suscitata dalla Natura consente una pausa dalla consapevolezza dell’entità della condizione umana. Nelle Operette morali invece ci si scontra con l’«arido vero». Un’infelicità senza consolazione inflitta da una Natura che si preoccupa soltanto di preservare il mondo e il suo movimento meccanico che alterna vita e morte, senza tenere conto delle sofferenze che provoca agli esseri viventi. 

Dalle accuse di reità che l’islandese le muove, la Natura si difende dicendo: «Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benedico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei». A questo punto è naturale che l’islandese le domandi a chi possa giovare questa «vita infelicissima dell’universo». Ma la domanda resta senza risposta perché la morte lo raggiunge improvvisamente. E allora ecco che il quesito sul senso della vita resta aperto, nel Dialogo come nella mente del poeta. 

Foto di 0fjd125gk87 da Pixabay

dialogofugaGiacomo Leopardiimprevisto letterarionatura

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