Divina Commedia, Paradiso, canto VIII. Beatrice conduce Dante nel terzo cielo, quello di Venere, presieduto dalla schiera angelica dei Principati. Le luci dei beati danzano in cerchio. Poi, come spesso accade nella Commedia, una luce si stacca dalle altre e va incontro a Dante. È Carlo Martello, il figlio saggio e giusto di Carlo d’Angiò. Incalzato dal Sommo Poeta si presenta. Incoronato re d’Ungheria, è morto prematuramente prima di ereditare i possedimenti paterni in Provenza e in Italia meridionale. Una vera e propria sciagura dato che, come afferma lo stesso Carlo Martello: «Il mondo m’ebbe/ giù poco tempo; e se più fosse stato,/molto sarà di mal, che non sarebbe».
Carlo Martello pronuncia anche critiche aspre sul malgoverno degli Angioini nell’Italia meridionale. Dopo un riferimento esplicito ai Vespri siciliani, parla del fratello Roberto d’Angiò, la cui indole «che discese avara da una stirpe generosa, avrebbe bisogno di funzionari che non pensino solo ad incassare». Allora l’ennesima domanda di Dante sorge spontanea: «com’esser può, di dolce seme, amaro»?. Parafrasando, come è possibile che da una stirpe liberale possano nascere figli avari?
Le inclinazioni umane e l’ordine del mondo
A questo punto si apre la questione delle diverse inclinazioni umane. Discorso estremamente affascinante perché tocca il tasto della responsabilità di cercare il proprio posto nel mondo. La questione, trattata nel solco di un’incrollabile fede nella Provvidenza, tiene insieme i temi dell’origine, del libero arbitrio, del desiderio e della destinazione dell’uomo. Afferma Carlo Martello: «Lo ben che tutto il regno che tu scandi/volge e contenta fa esser virtute/sua provedenza in questi corpi grandi./E non pur le nature provedute/sono in la mente ch’è da sé perfetta,/ma esse insieme con la lor salute:/per che quantunque quest’arco saetta/disposto cade a proveduto fine,/sì come cosa in suo segno diretta».
Il concetto espresso dall’angioino è piuttosto complesso. Lo spiega bene il professor Franco Nembrini nell’introduzione al canto VIII dell’edizione del Paradiso da lui commentata: «Dio trasmette la Sua capacità ordinatrice ai pianeti, che poi a loro volta trasmettono con i loro influssi l’azione divina al mondo sottostante. E dato che nella […] mente di Dio ogni creatura è pensata insieme al suo compito nel mondo […] tutto quello che esce dalla mente di Dio è destinato a raggiungere […] lo scopo cui Egli l’ha destinato, esattamente come una freccia raggiunge il suo bersaglio».
Talento, volontà e destinazione
Nell’Empireo ogni beato ha il suo posto e per la legge della Carità — espressa da Piccarda Donati nel canto III del Paradiso — non può desiderarne un altro. Allo stesso modo Carlo Martello ci dice che ogni uomo ha il proprio posto nel mondo. Non è detto che ogni individuo lo persegua poiché esiste la possibilità di sovvertire la propria natura e votarla al Male. Tuttavia Dante tende a chiarire che non c’è altro luogo in cui l’uomo possa trovare il completamento di sé e contribuire alla realizzazione dell’ordine disposto da Dio. Ovvero l’ordine più naturale e più giusto. L’unica strada per la felicità individuale e collettiva.
Il percorso che ognuno deve intraprendere per arrivare a disposizione è segnalato dai talenti e dalle attitudini individuali, indipendenti dal contesto e dalla famiglia d’origine. La direzione è già inscritta nel cuore dei singoli, ma le predisposizioni non bastano. Serve anche la volontà di impiegare questi talenti e queste attitudini in modo che siano utili nel contesto di riferimento. E la società, se agisse in modo razionale, dovrebbe sempre assecondare i talenti e favorire la volontà di applicarli in modo fruttuoso. Ma spesso non è così, e soprattutto non lo era in una società rigidamente strutturata come quella medievale.
Da qui l’amara e splendida constatazione di Carlo Martello che conclude il canto VIII: «E se ‘l mondo là giù ponesse mente/al fondamento che natura pone,/seguendo lui, avria buona la gente./Ma voi torcete a la religione tal che fia nato a cignersi la spada,/e fate re di tal ch’è da sermone; onde la traccia vostra è fuor di strada».
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