Le novelle di Boccaccio e la censura nell’età della Controriforma 

Boccaccio

Nel 1559, per decreto del pontefice Paolo IV, il tribunale ecclesiastico del Sant’Uffizio pubblica per la prima volta l’Indice dei libri proibiti. Si tratta di un lungo elenco di letture ritenute pericolose perché non in linea con i principi e la morale della Controriforma. Questa lista nera non si arricchisce solo di opere cinquecentesche, ma presenta anche titoli di spicco della tradizione letteraria precedente. Si pensi al De monarchia di Dante, a Il principe di Machiavelli o addirittura al Decameron di Boccaccio. 

Mentre però l’opera di Dante e quella di Machiavelli vengono proibite senza appello, il Decameron — in cui pure non sono rare critiche alla cattiva condotta di certe figure religiose — ha una sorte diversa. Viene inserito nell’Indice fin dal 1559 con la formula: «Boccacci Decades seu Novellae centum quae hactenus cum intollerabilibus erroribus impressae sunt et quae posterum cum eisdem erroribus imprimentur». Ma essendo  un testo già troppo diffuso in epoca rinascimentale, nel 1564 può di nuovo circolare a patto di essere rimaneggiato. 

La prima “rassettatura” del Decameron

Si opta per la “rassettatura”, ovvero la correzione e la ripulitura delle parti ritenute sconvenienti. Come afferma l’erudito benedettino Vincenzio Borghini in una delle sue carte relative alla correzione del Decameron: «Certe novelle delle notate dal Maestro del Sacro Palazzo, sarà forse meglio levarle via tutte, […] certe poi si possono accomodare molto facilmente. Cert’altre, perché hanno di molta lingua, sebbene vi sarà qualche difficoltà, fia bene pensare qualche modo d’accomodarle». Questo processo che punta a “accomodare”  risparmia l’opera dalla cancellazione, ma ne altera il senso, seppellendo l’originale sotto un testo simile ma di fatto nuovo.

Inoltre i risultati non sempre sono esenti da critiche o rifiuti. È il caso dell’edizione dei “Deputati” promossa dal granduca di Toscana Cosimo I. È la prima versione censurata del Decameron. Viene pubblicata a Firenze dall’editore Giunti e a curarla è una commissione presieduta dallo stesso Borghini. In realtà l’intervento di Borghini si limita solo all’aspetto linguistico e filologico perché i tagli e le correzioni vengono imposti direttamente dal cardinal Manrique del Sant’Uffizio. 

Salviati e il vero Decameron della Controriforma

L’edizione presenta sotto il titolo la dicitura «ricorretto a Roma et emendato secondo l’ordine del Sacro Concilio di Trento». Tuttavia la ripulitura dei “Deputati” non risulta sufficiente agli occhi dei chierici. C’è bisogno di un intervento più deciso sul testo. Pertanto la versione di Borghini non va oltre la prima edizione e i lavori passano nelle mani del massimo promotore della fondazione dell’Accademia della Crusca: Lionardo Salviati. La “rassettatura” di Salviati esce per la prima volta nel 1582 e viene considerata tutt’ora il vero Decameron della Controriforma. Emblematico è l’intervento sulla novella di Frate Cipolla (VI,10). 

Nella versione originale il protagonista è un religioso che inganna i suoi fedeli mediante un uso sapiente dell’arte oratoria. Nell’edizione dei “Deputati” il personaggio viene semplicemente laicizzato. In quella di Salviati si trasforma in un impostore che si traveste da frate e inganna i parrocchiani per soldi. L’obiettivo di tale rassettatura è ristabilire un rapporto di totale fiducia tra Chiesa e credenti, dissociando il cattivo esempio dalla figura religiosa. Per  questo Salviati sente il bisogno di commentare a margine della novella: «L’Autore ne vuol mostrare, che non si vuol così credere a ognuno, e che, sì come i veri religiosi son degni d’ogni fede, e d’ogni reverenza così quelli che fingendosi religiosi vanno ingannando le semplici persone, si deono abborrire». Ma in questo modo invece di chiarire le intenzioni dell’autore le tradisce, consegnando ai posteri una versione scorretta.

Foto di Michal Jarmoluk da Pixabay

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