«Il Verri»: la letteratura tra interdisciplinarità, rinnovamento e sperimentazione

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La storia della letteratura è costellata da movimenti e tendenze che nascono da istanze portate da grandi rivolgimenti storici e socio-economici, e che poi, con l’estinguersi degli stessi bisogni da cui sono nate, si esauriscono per lasciare il passo a altre sensibilità. Anche se i messaggi profondi dei classici non scadono mai, le forme e i mezzi espressivi restano inesorabilmente legati al loro tempo. E la letteratura deve rinnovarsi continuamente se vuole continuare a dialogare in modo efficace con la società del presente. Infatti, per quanto Dante e Leopardi siano ancora dei grandi maestri e abbiano tanto da dirci, nessun narratore contemporaneo potrebbe adottare il loro stile senza risultare artificioso e anacronistico. 

1956: crisi della letteratura italiana

A ognuno il suo tempo, dunque. Ed è necessario comprendere quando si affaccia l’esigenza di un cambiamento. Solo in questo modo si può scongiurare lo spettro della sterilità. Questo concetto il filosofo e critico letterario Luciano Anceschi dimostra di averlo capito molto bene, quando nel dibattito tenutosi all’Archiginnasio di Bologna il 6 maggio 1967 — tracciando un bilancio della rivista che ha fondato più di un decennio prima — parla del 1956 come di «un anno sabbatico della letteratura». La stanchezza della letteratura italiana della seconda metà degli anni Cinquanta è dovuta a due fattori fondamentali. Da un lato, Anceschi riscontra l’impossibilità della poesia ermetica di adeguarsi alla «situazione mutata». Nell’Italia postbellica infatti non c’è più spazio per il lirismo soggettivo, evasivo e difficile dei poeti ermetici. 

Per il letterato è il momento di recuperare la sua funzione civile e riprendere contatto con i problemi reali e sociali del Paese. E chi resta attaccato alle forme esauste dell’ermetismo non può che scadere in un’idolatria sterile che il critico definisce «chiusura dogmatica». Dall’altro lato, Anceschi nota che la letteratura neorealista — seppure abbia accolto l’invito all’impegno ritraendo la realtà storico-sociale dell’Italia del secondo dopoguerra — ha già esaurito la propria spinta innovativa. Questo perché essa si è concentrata solo sulla componente sociologica della letteratura. Ciò non significa comunque che le opere ermetiche e neorealiste vadano dimenticate. Vuol dire solo che l’Ermetismo e il Neorealismo non sono più in grado di dare frutti validi come un tempo, pertanto è il momento di passare a qualcosa di nuovo.

Il carattere fenomenologico della nuova letteratura e la nuova avanguardia

A questa situazione di vuoto e chiusura Anceschi risponde con la fondazione di una rivista nuova, «Il Verri», che incarna un’idea «fenomenologica» della letteratura. Con il termine fenomenologia il critico intende il rifiuto di ogni «fondazione metafisica, essenzialistica e dogmatica» della letteratura, la quale deve essere sempre aperta a nuove ricerche e sperimentazioni. Inoltre Anceschi introduce l’idea della letteratura come di una disciplina autonoma ma non isolata. Essa infatti si colloca in un «organico e sempre aperto sistema di rapporti con […] le altre attività umane». 

Tale carattere interdisciplinare è ben rappresentato da «Il Verri». Essa infatti è caratterizzata da una ricerca molto ampia, che abbraccia anche i campi della filosofia, del teatro, del cinema, delle arti figurative e delle scienze umane. Questa rivista dinamica e aperta al rinnovamento è anche la culla del dibattito che ha portato alla formazione della neo-avanguardia di Sanguineti, Pagliarani e Antonio Porta. Letterati che hanno trasmesso il loro impegno attraverso un linguaggio caotico, labirintico e destrutturato, degno della nuova realtà utilitaristica e disorientante che si è profilata intorno a loro. 

Foto di Jill Wellington da Pixabay

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