“L’ora legale”, la nuova rubrica di InLibertà dedicata ai casi giudiziari di maggiore rilevanza sociale

Parte oggi “L’ora legale”, la rubrica dedicata al commento dei casi giudiziari di maggior rilevanza sociale come la famiglia, il condominio e la responsabilità civile, solo per indicarne i più richiesti e popolari; le questioni verranno analizzate attraverso la lettura di sentenze ed ordinanze della Suprema Corte di Cassazione; queste, pur non essendo una fonte del diritto, costituiscono il frutto dell’interpretazione della legge vigente che vengono poi utilizzate come “precedenti” per la soluzione di casi simili o materie analoghe.

L’avvocato civilista Laura Vasselli che curerà la rubrica risponderà ai vostri quesiti che potrete inviare scrivendo a: loralegale@inliberta.it 

L’argomento d’esordio è sulla dibattuta questione della sussistenza o meno del diritto in favore delle mogli divorziate a percepire ulteriori somme di danaro dall’ex marito; il quesito è il seguente: “Ma perché nonostante la parità di diritti tra uomo e donna, il marito è ancora costretto a mantenere la moglie anche dopo lo scioglimento del matrimonio?”

Focus: Corte di Cassazione a Sezioni Unite 11 luglio 2018 n. 18287 

Con questa importante sentenza sono stati fissati i principali criteri per individuare la sussistenza, che va sempre cercata caso per caso, del diritto in favore del coniuge economicamente più debole a percepire o meno l’assegno di divorzio da parte del proprio ex.

Premesso che in Italia esiste ancora un numero particolarmente elevato di mogli divorziate non per loro scelta che nel corso della loro vita hanno dedicato la maggior parte del loro tempo all’adempimento dei doveri nascenti dal matrimonio, come la dedizione al partner, alla cura dei figli, alla gestione della casa, così rinunciando di fatto alla propria affermazione professionale, lavorativa e sociale al di fuori della famiglia.

Se pur sono in molti a ritenere che questa modalità abbia costituito per la maggior parte delle donne una “scelta di comodo”, ce ne sono altrettanti che continuano ancora oggi a considerare corretta la richiesta alle future mogli di dedicarsi esclusivamente alla vita familiare, con la corrispondente promessa di vedersi garantita la serenità economica attraverso i guadagni del futuro marito.

Spesso questa decisione condivisa viene definita dalle donne come “scelta d’amore” verso l’uomo che promette eterna felicità e il supporto economico vitalizio.

Una promessa che però troppo di frequente viene violata in danno alla sventurata parte femminile del rapporto che dovrà sopportate l’umiliazione del trasferimento altrove di un amore ormai esaurito che poi corrisponde all’annuncio di una penosa povertà nella fase più delicata della vita che è la vecchiaia.

L’importante sentenza sopra indicata in neretto (pronunciata a sezioni unite) ha ribaltato i principi espressi nella precedente sentenza n.115047/2017 (pronunciata a sezioni semplici – quindi con minore efficacia applicativa ai casi successivi) già commentata su questa rivista (“Tenore di Vita e campi di battaglia di Laura Vasselli pubblicata il 17 giugno 2017) con la quale si era tentato di superare il parametro per la determinazione dell’assegno di divorzio offerto dal criterio secondo cui si sarebbe dovuto far riferimento al “tenore di vita al tempo del matrimonio in favore del coniuge più debole”-

Detto criterio, voluto dalla legge istitutiva del divorzio risalente al 1970, col passare del tempo si era rivelato, come ancora oggi si rivela, sempre più difficile sul piano applicativo, anche perché – di fatto – con la separazione (prima) e con il divorzio (dopo), il solo fatto della disgregazione familiare, riduce di per sé la qualità economica del tenore di vita per entrambi i coniugi.

Tuttavia, detta sentenza del 2017 presentava, da un lato, caratteri innovativi volti a conferire modernità all’istituto del divorzio, proprio evidenziando la necessità di rendere i coniugi autonomi l’uno rispetto all’altro in ragione della recuperata libertà di stato civile.

Ma dall’altro lato non teneva conto dei diritti maturati dal coniuge economicamente più debole che aveva investito le proprie risorse personali in favore della famiglia in costanza di matrimonio, senza aver avuto la possibilità materiale di procurarsi i mezzi di sostentamento per il proprio futuro e così garantirsi l’autosufficienza economica.

Questo fondamentale passaggio è stato analizzato a fondo dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 2018 che ha tenuto conto di alcuni fattori oggettivi da considerare ai fini della valutazione della sussistenza di questo particolare assegno da corrispondere.

Non deve mai essere dimenticato innanzitutto che il matrimonio è previsto dalla Costituzione che ne consolida l’aspetto della solidarietà che si esprime attraverso la messa in equilibrio dell’eventuale disparità economico-patrimoniale dei coniugi, nel senso che, qualora sia dipesa da scelte condivise di conduzione della vita familiare che abbiano comportato rinunce professionali e reddituali con sacrificio funzionalizzato dell’assunzione duratura di un chiaro ruolo trainante all’interno della famiglia, in tal caso l’assegno di divorzio sarà dovuto perché assumerà una funzione equilibratrice, perequativa ed assistenziale.

Il lavoro domestico svolto per decenni dalle moglie nei matrimoni di lungo corso, spesso non riconosciuto perché non retribuito, come anche l’apporto personale alla carriera dell’altro coniuge in termini di dedizione, costituiscono fattori che, se pur indirettamente, si rivelano determinanti per la formazione del patrimonio familiare; qualora il coniuge che abbia operato in tal senso non abbia la possibilità o i mezzi adeguati per procurarsi una propria autonomia economica dopo il divorzio, spesso in un’età in cui le energie lavorative sono ormai esaurite o quantomeno fortemente diminuite, avrà certamente il legittimo e pieno diritto a percepire un adeguato assegno divorzile.

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