Scontri in Bosnia: manifestanti in piazza contro la disoccupazione

bosniaLaStampa_itTorna l’incubo – mai troppo latente – della violenza in Bosnia ed Erzegovina. Negli ultimi giorni nelle piazze delle principali città bosniache si sono susseguiti degli scontri tra manifestanti scesi in piazza e polizia. La folla urla “Rivoluzione!” e protesta violentemente contro la disastrosa situazione politico-economica che si è venuta creare negli ultimi tempi nel paese balcanico.

Il tutto è iniziato mercoledì scorso a Tuzla, città industriale del nord, dove la maggior parte dei cittadini lavora in alcune industrie statali che sono finite in bancarotta e non pagano gli stipendi da mesi. La protesta si è poi allargata anche alle città di Zenica, Travnik, Mostar e Sarajevo. A Tuzla i manifestanti hanno dato alle fiamme l’edificio governativo, e così è stato fatto anche nella capitale, dove ad essere stato incendiato è stato il palazzo presidenziale.

La risposta della polizia non si è fatta attendere: in alcuni casi la folla è stata caricata, in altri sono stati usati proiettili di gomma ad altezza uomo. Centinaia i feriti tra forze dell’ordine e manifestanti.

All’origine dei disordini ci sarebbe la gravissima crisi occupazionale che ha messo in ginocchio la Bosnia: secondo le stime più recenti, il 44,5% dei bosniaci non ha un lavoro. Alla mancanza di occupazione va sommata l’accusa nei confronti del governo di nepotismo e corruzione: dalla piazza sono state infatti chieste le dimissioni del presidente della Federazione di Bosnia, Nermin Niksic.

Negli ultimi giorni si sono uniti alla protesta anche i cittadini di Banja Luka, capitale della Republika Srpska, la regione bosniaca a maggioranza serba. Dei disordini stupisce proprio questo aspetto. Per la prima volta, dalla fine della guerra che ha devastato i Paesi della ex Jugoslavia dal 1992 al 1995, la popolazione scende in piazza unita chiedendo pane e lavoro, dimenticandosi della divisione etnica. Nel dramma e nella disperazione, si scorge forse un piccolo passo in avanti. Serbi bosniaci, bosgnacchi (i bosniaci musulmani)  e croati protestano fianco a fianco e non si fanno – per ora – la guerra tra loro.

A distanza di quasi vent’anni dalla fine della guerra, la Bosnia non ha ancora superato queste lotte tra diverse etnie. Il Paese è diviso fondamentalmente in due entità, la Republika Srpska con capitale Banja Luka a maggioranza serba e la Federazione di Bosnia con capitale Sarajevo a maggioranza musulmana, ognuna con un proprio governo locale e dei propri rappresentanti. L’astio fra serbi e bosgnacchi si fa ancora sentire. Basti pensare che a Banja Luka in pochi anni furono distrutte 15 moschee, alcune anche molto antiche e in pochi sembrano voler superare quelle drammatiche vicende. Oltre alle divisioni etniche, da quando è diventato indipendente, il Paese ha stentato nel rilanciare l’economia e la crisi economico finanziaria degli ultimi anni lo ha travolto in modo disastroso. Gli scontri di questi giorni non stupiscono, sono solo il culmine di una situazione che mantiene un equilibrio instabile e che potrebbe esplodere da un momento all’altro.

La protesta dilaga anche sui social network come Facebook e Twitter, dove è nato l’ashtag #bosnianspring, primavera bosniaca, quasi a paragonare gli eventi alla ben nota primavera araba, che è riuscita solo in parte a portare a termine gli obiettivi che si era prefissa.

di Francesco Galli

foto: lastampa.it

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