Protesta lavoratori agricoli. Migliaia di agricoltori sono scesi in piazza a Verona per manifestare il loro dissenso in occasione di “Fieragricola”, il massimo evento italiano del settore. Il presidio segue i blocchi stradali organizzati sulla A1, in entrambe le direzioni, all’altezza di Orte. Nonché i grandi raduni in varie zone della Lombardia, di Toscana e Sardegna.
Sembra di essere tornati alle manifestazioni di alcuni anni fa, quelle dei cosiddetti “forconi”. Gli odierni sit in hanno in comune con quelle azioni la “spontaneità” o presunta tale. Anche oggi, infatti, la protesta non è indirizzata soltanto contro le politiche governative ma contro le tradizionali organizzazioni sindacali di riferimento. Come, ad esempio, la “Coldiretti” o la “Confagricoltura”.
I manifestanti sono di gruppi di centinaia di contadini, provenienti da tutte le province italiane che interagiscono tra loro e si autoconvocano via social. A Verona sono giunti in alcune migliaia con al seguito circa 500 trattori. Dopo essersi accampati nei pressi del mercato ortofrutticolo, non hanno comunicato quando intendono sgomberare. Sicuramente – hanno detto – non si faranno scrupolo di manifestare anche senza autorizzazione.
Protesta lavoratori agricoli, non è un fenomeno soltanto italiano
Rispetto alla protesta dei “forconi”, però, quella odierna trova un contraltare nelle analoghe manifestazioni che stanno infiammando mezza Europa. A partire dagli Stati più potenti, e non soltanto dal punto di vista agricolo, come la Francia e la Germania. Filo conduttore, quindi, non è soltanto il dissenso verso le politiche statali. Ma, soprattutto, verso una politica europea troppo orientata al Green Deal e, per questo, ritenuta penalizzante.
Una delle linee della politica agricolo-ambientale europea è quella della protezione della fauna selvatica. Ciò ha provocato la proliferazione delle nutrie nei corsi d’acqua e dei gamberi giganti che si nutrono di mitili di allevamento. Per non parlare dei cinghiali, dei lupi che attaccano le greggi e, recentemente anche degli orsi. Tale politica ambientale sta provocando ingenti danni agli operatori e, spesso, anche agli ignari escursionisti.
La protesta esprime il dissenso degli operatori verso il ‘Green Deal’
I manifestanti vogliono sfatare l’opinione che gli agricoltori inquinino, ritenendosi i veri custodi dell’ambiente. Inoltre, sono del parere che le norme europee ostacolino la “giusta remunerazione” della loro attività. Questo perché gran parte degli introiti – a loro parere – si spalma nella filiera e ai produttori ne resta poco o nulla.
Una delle norme più ingiuste è ritenuta quella sull’obbligo di lasciare “a riposo” almeno il 4% dei terreni. Per i lattiero-caseari tali norme non riescono ad impedire, ad esempio, che il latte estero – ancorché più a buon mercato – venga contrabbandato per italiano. Per essere poi venduto al prezzo di quello nazionale. Infine, temono la revoca delle agevolazioni sull’acquisto dei carburanti, conseguenti alla crisi energetica.
La protesta è una conseguenza della globalizzazione
L’agricoltura è sempre stata una materia quasi esclusivamente affidata alla competenza dell’Unione Europea. Negli anni sessanta l’allora CEE aveva gli strumenti per controllare i prezzi senza problemi. Il famoso piano dell’olandese Sicco Mansholt finanziava addirittura i produttori che lasciavano incolti i propri terreni. Oppure distruggevano i surplus di produzione. In tal modo i prezzi si mantenevano remunerativi (a spese del consumatore).
Di conseguenza, il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali agricole si ridusse considerevolmente. Poi, con la globalizzazione il mondo è nuovamente cambiato. Il mondo occidentale ha perso il controllo sui costi energetici che sono divenuti appannaggio dei paesi produttori. L’abbattimento dei costi di refrigerazione per le carni e il pesce ha consentito il rifornimento dall’estero di tali prodotti. A discapito degli allevatori e dei pescatori italiani, che sono divenuti meno competitivi.
Unica soluzione, caricare ancor più i costi agricoli sulle spalle dei consumatori
L’importazione di prodotti esteri a prezzi notevolmente inferiore ha messo sul lastrico decine di categorie di produttori agricoli. A tale fenomeno si è tentato di porre riparo con l’introduzione dei marchi DOP, IGT e DOC ai più pregiati – e costosi – prodotti europei. L’Italia, in tal senso, ha tratto beneficio più di altri Stati, per la qualità (e la remunerazione) della propria produzione agricola.
Ma per ottenere un marchio DOP o IGT, il coltivatore ha dovuto trasformarsi in imprenditore. Così anche per reggere alla concorrenza dei prodotti extraeuropei. La trasformazione dell’agricoltura in un’attività para-industriale ha avuto come conseguenza la sparizione dei consorzi agrari e delle cantine sociali. Nonché la riduzione del numero delle cooperative agricole. Clamoroso fu il fallimento della “FederConsorzi”, all’inizio degli anni novanta. Con tutte le conseguenze per la sopravvivenza dei più piccoli e tradizionali.
Questa è, per grandi linee, la situazione attuale, per la quale – sinceramente – non si vede una via d’uscita facilmente percorribile. Se non quella di caricare ancor più sui consumatori, come per il passato, il costo della produzione agricola.
Foto di Shary Reeves da Pixabay
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