L’ultima sigaretta di Zeno

La coscienza di Zeno si apre con il Dottor S. che spiega di voler divulgare le memorie del paziente Zeno Cosini come punizione per non aver portato a termine il compito che gli aveva assegnato: un’autobiografia da scrivere per rileggere se stesso. Ma come ci si poteva aspettare un’opera finita da un personaggio frammentato e inconcludente?

Chi conosce Italo Svevo sa quanto si sia concentrato sui concetti di malattia e inettitudine, e sa anche che il suo Zeno è l’inetto per eccellenza. La sua inettitudine non consiste in un semplice “essere buoni a nulla”, ma è una vera e propria nevrosi che paralizza e annulla la forza di volontà. Una malattia dell’anima, una convinzione che porta il soggetto affetto a crearsi degli alibi per non ammettere di essere il primo responsabile della propria insoddisfazione.

Il vizio e la nevrosi

L’alibi privilegiato di Zeno è la dipendenza da fumo. Egli percepisce la presenza di nicotina nel sangue come la causa clinica dell’eccitazione che lo porta a desiderare tutte le donne che vede, nonché della distrazione che ostacola lo studio e dell’insonnia. Una malattia nervosa ma fisica che Zeno si auto-diagnostica e che lo porta a ricorrere all’elettroterapia nonostante il dottore l’abbia dichiarato «sanamente costituito». 

Quando descrive la malattia al medico Zeno afferma: «Non posso studiare e anche le rare volte in cui vado a letto per tempo, resto insonne fino ai primi rintocchi delle campane. È perciò che tentenno tra la legge e la chimica perché ambedue queste scienze hanno l’esigenza di un lavoro che comincia ad un’ora fissa mentre io non so mai a che ora potrò essere alzato». Dato che alla fine dell’Ottocento si pensava ancora che l’elettricità fosse un rimedio efficace per l’insonnia, Zeno riesce a farsi prescrivere la cura. Ma il suo vero intento è un altro: spera che il dottore gli proibisca il fumo.

La negazione della responsabilità

Per non riconoscere la propria mancanza di forza di volontà il personaggio sveviano cerca la liberazione dal vizio al di fuori di se stesso. Spera in un buon consiglio o in un’imposizione. Abbandonata l’elettroterapia si affida alla saggezza di un amico a sua volta malato, ma che riesce a curarsi con costanza. Il consiglio è quello di smettere con i buoni propositi e dare un taglio netto al vizio, poiché a suo avviso la malattia consiste più nei propositi traditi che nella sigaretta in sé. Niente da fare: «essendo riuscito con grande sforzo a eliminare dal mio animo ogni proposito, riuscii a non fumare per varie ore, ma quando la bocca fu nettata […] mi venne il desiderio di una sigaretta e quando la fumai ne ebbi il rimorso da cui rinnovai il proposito che avevo voluto abolire».

Fallito anche questo tentativo Zeno prova con la scommessa: «Quella canaglia dell’Olivi mi diede un giorno un’idea: fortificare  il mio proposito con una scommessa. […] Scommettemmo! Il primo che avrebbe fumato avrebbe pagato e poi ambedue avrebbero recuperato la propria libertà». Ma l’idea di essere schiavo della scommessa e dell’Olivi lo porta a sottrarvisi. Inizialmente ricomincia a fumare di nascosto, poi la piccola infrazione accentua la nevrosi al punto da costringerlo a confessare per liberarsi.

Insicurezze e inettitudine

Così non resta che rinchiudersi in una casa di salute. Ma la lontananza dalla moglie e il confronto schiacciante con l’elegante medico che lo ha in cura (tipico esempio di “uomo sano”) lo porta a immaginare una tresca tra i due. Un’ipotesi remota che nella sua mente malata diventa una certezza. «Una folle, amara gelosia per il giovine dottore. Lui bello, lui libero! […] Perché mia moglie non l’avrebbe amato? Seguendola, quando se ne erano andati, egli le aveva guardato i piedi elegantemente calzati. Era la prima volta che mi sentivo geloso dacché ero sposato».

La gelosia di Zeno in realtà non è altro che invidia e senso d’inferiorità nei confronti dell’uomo sano. Non ha paura di perdere sua moglie, ma solo della prospettiva che qualcuno venga preferito a lui. È l’atteggiamento tipico dell’insicuro, lo stesso che da ragazzo lo portava a pensare che l’amico Giuseppe offrisse di nascosto più sigarette a suo fratello che a lui. Il solito che gli impedisce di decidere di quali persone contornarsi, lasciandosi sempre scegliere.

L’ultima sigaretta

Il vizio del fumo dunque, non è solo una dipendenza che annerisce i polmoni, ma il segnale più concreto di un malessere psichico e esistenziale. L’unico nemico visibile contro cui può pensare di fare qualcosa. Da qui – oltre ai tentativi sopraelencati – i tanti appuntamenti con l’ultima sigaretta. Tutti sistematicamente fallimentari, legati a date annotate ovunque e con colori sempre più intensi («Le date sulle pareti della mia stanza erano impresse coi colori più varii ed anche ad olio. Il proponimento, rifatto con la fede più ingenua, trovava adeguata espressione nella forza del colore che doveva far impallidire quello dedicato al proponimento anteriore»).

Fumare sigarette pensando sempre che si tratti dell’ultima è come affacciarsi ogni volta su un burrone con l’intenzione di buttarsi e poi tornare sempre indietro. E se è vero che l’ultima sigaretta è speciale perché «acquista in suo sapore dal sentimento della vittoria su sé stesso e la speranza di un prossimo futuro di forza e salute», il continuo rimandare fa sospettare che Zeno rifugga questa vittoria, poiché nel suo caso implicherebbe la caduta di ogni alibi e ma non della nevrosi.  

Sdoppiamento

Questa lotta con se stesso fa di Zeno Cosini il tipico anti-eroe postmoderno dilaniato da un conflitto interiore: quello tra un Super-Io che veste i panni di un padrone assennato e un Es che si comporta come uno schiavo ribelle, che appena il padrone volta le spalle ne approfitta per lasciarsi andare alle pulsioni.

Eppure tra tanti alibi e bugie ogni tanto il dubbio che tutte le sue debolezze non dipendano dalla nicotina affiora, stratificando ulteriormente il personaggio e distinguendo gli alibi dello Zeno giovane dalle nuove considerazioni dello Zeno maturo: «Adesso che sono qui, ad analizzarmi, sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente». 

Foto di S. Hermann & F. Richter da Pixabay

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