Partirò da una citazione. Il professor Bagnai sul suo blog scrive: “Io non sono eretico (sono inquisitore) e non sono eterodosso (sono ortodosso), ma sono eclettico: non ho alcun motivo particolare per ritenere che nel mondo ci siano solo la domanda, o solo l’offerta. Questo tipo di spiegazioni le lascio ai pasdaran. Nel mio mondo il mercato ha due lati”.
Dal lato dell’offerta, l’insieme delle politiche possibili sono eterogenee e, in genere, si tende a identificarle con la diminuzione del peso tributario per le imprese, l’incentivazione della ricerca e dell’innovazione di prodotto e processo, la riduzione della burocrazia, etc. In particolare, la supply side economics, affermatasi nel corso degli anni ottanta, guardava al ruolo della tassazione quale elemento determinante: riducendola, secondo i suoi sostenitori, si sarebbe alimentato un circolo virtuoso capace di innescare la crescita economica di un paese.
Dal lato della domanda, la questione è invece relativa agli aspetti concernenti la distribuzione del reddito e, soprattutto, al ruolo del settore pubblico nello stimolare la domanda per investimenti e quella dei consumi attraverso un meccanismo noto in letteratura come moltiplicatore.
Bene, fatta questa premessa si può senza ogni ombra di dubbio notare come in Europa le politiche volte a sostenere la domanda stiano latitando da tempo, e ciò a causa di quelle che sembrano essere le fobie tedesche. La prima è concernente l’inflazione e ha quale visibile effetto quello di tenere costantemente a freno gli interventi della banca centrale in relazione alla politica monetaria. Secondo alcuni autorevoli autori, questa paranoia, costituirebbe un imprinting incancellabile connesso alla brutta avventura occorsa durante gli anni della Repubblica di Weimar.
Ciò ha alla fine condotto a disegnare l’architettura della Banca Centrale Europea sul modello della Bundesbank tedesca: in pratica, lo statuto della prima, tra i cui compiti vi è quasi esclusivamente quello della difesa dall’inflazione, sembra fatto col metodo del “copia e incolla” applicato allo statuto della seconda. Ma non tutto. Nel modello monetarista un po’ sui generis alla tedesca ha preso piede un indicatore un po’ particolare, noto con l’acronimo di NAIRU ovverosia Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment. Tradotto in termini comprensibili, si tratta di quel tasso di disoccupazione “naturale” olre il quale l’inflazione comincia ad accelerare. Sotto il profilo tecnico, ci sono molte perplessità sulla possibilità di stimare una simile relazione, ovverosia che sia tale da isolare, con riguardo all’inflazione, i meri effetti del livello occupazionale e che, soprattutto, tenda a rimanere stabile nel tempo. Insomma, una specie di chimera. Prestate tuttavia attenzione all’aggettivo naturale, che nel linguaggio dell’economia è sinonimo di fisiologico, connaturato al sistema.
Ora, tra le tante stime disponibili abbiamo scelto quella di CES ifo di Monaco, che per il 2015 parla di un Nairu per l’Italia pari al 10,1%. Se si guarda in rete, si trovano riferimenti anche a stime superiori e anche un inquietante articolo di Valerio Valentini su articolo21.org dal titolo “E se ridurre la disoccupazione non ci fosse permesso?”. Noi ci fermiamo qui, senza azzardare ipotesi. Ma la coincidenza tra l’attuale livello di disoccupazione del nostro paese ed il correlativo Nairu riportato in tante stime è davvero curiosa.
La prima paranoia si correla con un’altra ben più rilevante: quella per l’austerità e il soffocamento dell’intervento pubblico, opzione questa volta a riattivare il circuito della domanda aggregata attraverso appropriati livelli di investimento. Gli effetti di tali politiche nei paesi che dell’austerità se ne sono infischiati sembrano essere interessanti. Li vediamo per esempio in Giappone, dove il pil dell’ultimo trimestre è cresciuto del 2,4% e, parzialmente, negli Usa e Regno Unito. Quest’ultimo paese, è bene ricordarlo, si è tenuto alla larga dall’Euro proprio per evitare di non avere alcuno strumento di politica fiscale e monetaria a disposizione per dare una scossa all’economia nei momenti più difficile.
Come Bagnai, tuttavia, anche noi siamo però sostanzialmente eclettici e non vogliamo parlare solo di domanda: esiste anche l’offerta, ovverosia il sistema di imprese. Su questo punto si deve far notare che dover competere con paesi i cui livelli salariali, rispetto ai nostri, sono enormemente più bassi è una guerra persa e che si può combattere solo con un negoziato a livello globale. Sarà difficile che ciò avvenga e, per il nostro paese, ciò si aggiunge al carcere speciale chiamato Area Euro che, di recente, ci ha comunicato la nostra pena: l’ergastolo. Tradotto in linguaggio economico, ciò significa irreversibilità della moneta unica.
Un ultimo aspetto, tanto per capire come spesso economia, ideologia e politica si confondano. La Grecia, piccolo paese dal pil insignificante e dal debito relativamente modesto, è sotto i riflettori da tempo, tartassata di continuo. Il nostro governo, invece, piace molto, nonostante in un anno di governo il debito italiano sia passato da 2.119 a 2.184,5 con un aumento del 3% e questo malgrado la bonaccia sul fronte dello spread. L’economia diventa “cosa” sempre più oscura e medievale.
di Joe Di Baggio
foto: ilmessaggero.it
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