Il PIL: un mostro sacro

PIL

Il PIL come si sa è la somma dei beni e servizi prodotti nell’anno da uno Stato espressa in termini monetari calcolati per lo più in base ai costi.

Se aumenta tutti si rallegrano, se diminuisce tutti si abbattono.

Nel primo caso una nazione è considerata più ricca, nel secondo più povera.

L’UE in base al rapporto PIL/debito pubblico misura benefici ed aiuti. 

Quale realtà effettuale (il termine è di Machiavelli) si celi dietro il dato numerico non si dice e forse non si considera.

Le Obiezioni

Contro questo mito finanziario erano insorti gli economisti di area ambientalista contrapponendo la qualità dei beni alla qualità della vita.

Era una tesi radical-poetica del tutto insostenibile, ma indicava la necessità di trovare un diverso approccio al problema.

Più tecnica e realistica l’obiezione di altri studiosi.

Ricordo due datati ma originali articoli di Giorgio Ruffolo (su Repubblica) che pur ribadendo le critiche al sistema vigente, così fermo nell’escludere dal conteggio i beni ambientali, la salute, la sicurezza, la cultura, l’equità distributiva, non trascuravano l’aspetto strettamente tecnico contabile.

È vero che   uno dei due articoli si intitolava provocatoriamente “la misura della felicità” ma poi suggeriva correttivi più concreti, come quello di collegare gli indici prodotto-prezzo all’indice valore-importanza.

Torno sull’argomento con minore autorità ma col desiderio di approfondire il tema, suggerendo altri indici similari, soprattutto due; l’utilità, per i beni, e l’efficacia, per i servizi.

L’utilità dei beni

Nella parte della Polonia annessa dopo l’invasione sovietica (i territori detti Kresy), per rispettare i canoni del piano metallurgico, risulta che gli operai producessero il prescritto peso complessivo di chiodi, ma li facevano tutti di grossa misura: chiodi da cantiere, da travi, da barre…

Per il produttore era un vantaggio: a parità di ricavi il minor numero di pezzi comportava meno lavoro e un trasporto più facile.

Per l’utente tutt’altra era la prospettiva: non poteva appendere un quadro, fissare una parete di legno, riparare un tavolino.

In sostanza una produzione gigantesca ma inutile che però entrava trionfalmente nel PIL.

Da quel ricordo storico passando al presente mi domando: si può veramente dire che la ricchezza d’un paese è cresciuta perché è aumentato a dismisura il numero dei cellulari, o quello delle bibite gassate, o quello dei prodotti (fraudolenti) per dimagrire.?

E’ indice di ricchezza l’aumento dei consumi alimentari dovuto a cattive abitudini e causa della diffusa obesità?

Lo è la pubblicazione di riviste di gossip o di informazione spazzatura?

Si può obiettare che l’argomento è etico, sociale, psicologico, ma non economico.

Più telefonini, più bottigliette e merendine significano più aziende produttrici, più venditori, più posti di lavoro.

E’ un discorso grossolano; è vero che l’economia dei paesi industrializzati è basata largamente sulla produzione dell’inutile, ma è pur vero che, a furia di beni inutili, l’economia si autolimita e si involve, non crea competenze né capacità, non sopperisce ai bisogni primari, sottrae diponibilità al mercato delle cose che contano.

Spendendo denaro per comprare telefonini e cure dimagranti non ne avanza più per comprare libri e medicine salvavita.

L’efficacia dei servizi

Parliamo dei servizi.

Il PIL si calcola secondo costi e prezzi di mercato.

Ma è possibile che servizi inefficienti e disastrati valgano quanto servizi eccellenti?

Il Fascismo, dimentico dei disastri culturali e politici, si vantava del fatto che i treni viaggiassero in orario.

C’era “del metodo in quella follia” perché treni in orario avvantaggiano il lavoro fuorisede e il turismo.

Una Scuola scadente, una Università che fabbrica disoccupati intellettuali, una Sanità poco accessibile, una burocrazia ostacolante sono servizi valutabili alla pari con altri di miglior livello?

Qui non si tratta di paragonare soggettive soddisfazioni dei cittadini, si tratta di mettere sul piatto della bilancia fattori di produzione e crescita.

Correttamente il Ministro Severino osservava che una diminuzione dei tempi processuali farebbe aumentare il PIL di due punti.

La sintesi

Forse dal conteggio del PIL alcuni beni inutili e servizi inservibili andrebbero eliminati come fa l’ISTAT quando configura il cosiddetto “paniere”.

Una misurazione del valore aggiunto inteso come contributo del bene o servizio all’ economia generale potrebbe integrare o correggere il mero dato contabile.

Un PIL siffatto potrebbe assumere un compito indicativo più realistico, divenire strumento di valutazione dell’affidabilità del mercato, giustificare un aumento della circolazione monetaria, rendere più significativo l’apprezzamento del debito pubblico.

E Governi ed Imprese avrebbero materia di interventi salutari senza l’ossessione di produrre semplicemente di più anziché produrre di meglio, senza inondare il mercato di grossi inutili chiodi, come nella Polonia del ‘39.

Foto di Nattanan Kanchanaprat da Pixabay

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