La patata: alimento universale

alimento universale

Se si domandasse qual è l’alimento universale per eccellenza ben pochi, probabilmente, indicherebbero le patate.

Eppure il Solanum tuberosum, nome scientifico di questo tubero originario delle Ande, è da considerarsi a buon diritto, tra tutti gli alimenti, quello che è stato capace di entrare in tutte le culture culinarie, recentemente anche in quella della Cina che prima le produceva solo per l’esportazione,  e di trasformarsi da cibo delle classi più povere ad alimento che, a seconda di come viene preparato,  si può gustare in una cena ufficiale come comodamente seduti su di un divano a guardare un film.

Un esempio dell’interclassismo delle patate sono i menù della prima, della seconda e della terza classe dell’R.M.S. Titanic nell’ultima cena consumata a bordo della nave il 14 aprile 1912 in cui figurano diversamente preparate. 

Nel Mondo rappresentano la terza coltura alimentare dopo il grano ed il riso e ne  vengono prodotte ogni anno circa 341 milioni di tonnellate su una superficie di circa 20 milioni di ettari: le patate sono consumate ogni anno da oltre un miliardo di persone.

Tolti coloro che sono intolleranti agli alcaloidi (solanina e chaconina)  presenti in massima parte nella buccia, non conoscono ostacoli né di tipo religioso, né di regime alimentare potendo essere mangiate sia dai celiaci sia dai vegani e, pur avendo un indice glicemico elevato, che peraltro le rende un alimento particolarmente energetico, possono essere moderatamente assunte, con alcuni accorgimenti, anche dai diabetici. 

Protagoniste di sfiziosi antipasti come le crocchette, di primi come  le minestre  e gli gnocchi, di secondi come le svariate torte e frittate, i gattò e le insalate,  fino ai dolci, dove entrano  grazie alle proprietà addensanti e alleggerenti della loro fecola.

Si gustano prevalentemente bollite e sbucciate, semplicemente condite con l’olio extravergine d’oliva, unite ai formaggi o con burro e latte come nei purè, ma le  preparazioni in cui eccellono sono fritte o al forno: da sole come snack, o come contorno, non v’è occasione in cui, con una spesa relativamente modesta, non facciano la loro figura perché in fondo piacciono a tutti.

Capaci sia di unirsi alle carni di ogni specie, sia di formare con le cozze, col baccalà o nei fish and chips binomi ormai proverbiali nella cucina di mare, si prestano ad ogni condimento: dalle  spezie alle  erbe aromatiche, dai grassi di origine animale (lardo, strutto, burro) a quelli  vegetali come l’olio extravergine d’oliva o le diverse varietà di oli di semi.

Unite alla farina di grano danno vita a molte varietà di pane e di focacce  e dalla loro fermentazione si produce la Vodka: insomma sono un alimento decisamente poliedrico.

Il loro abbinamento più equilibrato è con le proteine, ma moderatamente possono essere assunte anche da sole.

L’iniziale diffusione  delle patate in Europa

Le patate, che originariamente in Italia si chiamavano pomi di terra (dal francese pommes de terre), giunsero  in Europa, come la maggior parte dei prodotti americani, al seguito dei Conquistadores, ma essendo tossici (appartiene alle solanacee) sia le foglie, sia i frutti, nei Paesi ad influenza franco-spagnola vennero inzialmente considerate poco più che piante ornamentali anche se i botanici studiarono le proprietà nutritive dei tuberi e tentarono di diffonderne la coltivazione come alternativa ai cereali (grano, mais, orzo, avena).

In Italia, come tubero commestibile, furono introdotte in Toscana sotto Cosimo III de’ Medici, ma fu  nei Paesi del Nord-Europa (Irlanda, Inghilterra, Paesi Bassi, nei quali rappresentano ancora la principale coltura a seminativo,  Prussia e Russia) che esse conobbero il loro primo successo come vegetale facile da coltivare anche nei climi freddi e instabili e di agevole consumo visto che, a differenza del pane,  non richiedono  né il mulino, né il forno.

Le patate ed il destino dell’Irlanda

In Irlanda, come in Inghilterra, le patate furono portate, alla fine del 1500, dal corsaro inglese John Hawkins, sodale di Francis Drake, che le sottrasse agli spagnoli, e per la loro resa agricola e  le loro caratteristiche nutritive  (oltre che carboidrati contengono anche vitamine, tra cui la C, e sali minerali) si diffusero rapidamente tra gl’irlandesi come monocoltura: nel 1750 erano coltivate in tutto il Paese di cui divennero rapidamente l’alimento nazionale.

Nel 1845 Friedrich Engels, descrivendo gl’immigrati irlandesi in Inghilterra, scriveva ne «La situazione della classe operaia in Inghilterra»: «il loro nutrimento è di patate e soltanto di patate».

Lo stesso Engels, nella Prefazione al secondo libro de «Il Capitale» di Karl Marx, individuava nel consumo delle patate, che peraltro riteneva strategico per il successo dell’industrializzazione, una forma di sfruttamento delle classi lavoratrici affermando: «Se il lavoratore può essere portato fino al punto di nutrirsi di patate anziché di pane, è incontestabilmente esatto che dal suo lavoro si possa guadagnare di più».

Tra il 1845 ed il 1849, tuttavia, si verificò in Irlanda un evento catastrofico: a causa di un parassita, la peronospora delle patate, i raccolti di patate andarono completamente distrutti determinando la Carestia delle patate o Grande Carestia, che falcidiò migliaia di persone e ne costrinse altrettante ad emigrare nella vicina Inghilterra, nei Stati Uniti, in Canada ed in Australia cambiando completamente il destino dell’Irlanda.

La progressiva affermazione delle patate nell’alimentazione europea

Se la prima edizione del 1751 dell’Encyclopédie trattava con sufficienza le patate, definite insipide, farinose e ventose, e quindi buone al massimo per operai e contadini, fu Antoine Augustin Parmentier, farmacista e agronomo, che ne aveva appreso le proprietà nutritive nel corso della sua prigionia in Prussia, a convincere anche il mondo accademico, con una dissertazione presentata nel  1771 ad un concorso indetto dal Comune di Besançon, delle loro virtù come alimento in grado di fronteggiare le periodiche carestie.

Ai primi dell’800, col loro nome francese di pommes de terre, iniziarono ad essere ospitate anche nei testi di cucina: Antoin Caréme, ne «Le cuisinier parisien» del 1828 ne sdoganò, con le ricette de la Purée de pommes de terre, la salade a la parisienne e le  croquette de pomme de terre a la vanille, l’utilizzo anche nelle classi abbienti, ma il suo contemporaneo Anthelme Brillat-Savarin, ne «La Fisiologia del gusto» del 1825, le considerava  ancora un cibo scipito buono al massimo per rimpinzare gli obesi.

Circa un secolo dopo, Auguste Escoffier, nel suo «Ma cuisine» del 1934 le avrebbe citate  oltre 300 volte decretandone l’ingresso nella cucina francese ed internazionale contemporanea.

In Italia già ai primi del 1800 le patate iniziarono a diffondersi tra i cuochi più affermati  e così Francesco Leonardi, nel suo «Apicio Moderno» del  1807 enumerava il cosciotto di agnello (o di castrato) alli pomi di terra, la zuppa alla puré di pomi di terra, la salsa al culì di pomi di terra, la culatta di manzo alli pomi di terra, vari tipi di gattò di pomi di terra e infine i pomi di terra fritti.

Nel 1855 l’agronomo Gaetano Cantoni, nel suo «Trattato completo di agricoltura», fornì tutta una serie di indicazioni, ancora oggi attuali, sulla coltura e l’utilizzo in cucina delle patate,  segno ormai che erano entrate stabilmente nella nostra alimentazione da cui, fortunatamente, non sarebbero più uscite.

Nel suo «La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene», infine,  Pellegrino Artusi, che pure non amava gli alimenti di origine popolare, non solo suggerì un numero elevato di ricette che le prevedevano, ma le inserì nelle sue «Note di pranzi»,  i brevi menù che completavano il volume, consacrandole al gusto della cucina italiana.

Le patate nell’alimentazione contemporanea

Lo strano destino delle patate è di essere, al contempo, cibo industrializzato per eccellenza, con le patate surgelate, le confezioni di patatine fritte al naturale o disidratate, i fiocchi per fare il purè in pochi minuti, e cibo tradizionale che trova impiego in un’infinità di preparazioni che si giovano, solo in Italia, di oltre trenta varietà ormai diventate autoctone e ne consentono, ad ogni latitudine, di fondersi negli usi locali rimanendo se stesse e mutando ogni volta.

Fritte ed abbinate agli hamburger rappresentano il cibo spazzatura per antonomasia, ma  gestite con misura entrano a buon diritto nella dieta mediterranea nella cui piramide alimentare sono collocate, come alternativa ai cereali, al secondo posto dopo la frutta e le verdure.

Sarebbe davvero impensabile farne a meno.

Foto di Couleur da Pixabay

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