I ragazzi di Pietralata, il fango e la violenza

fango

Quando pensiamo alla borgata di Pietralata come ce la racconta Pier Paolo Pasolini in Una vita violenta (Garzanti, 1959), ci vengono in mente i ragazzi, la confusione e il fango. La parola fango (o la più dialettale fanga) ricorre spesso fin dalle prime pagine del libro. È uno degli elementi più rappresentativi della borgata. Interagisce con il resto dell’ambiente («Nel villaggio di baracche era già accesa qualche luce, che si rifletteva sul fango») e accompagna i giochi e le zuffe dei ragazzini (Sul vecchio fango secco della spianata c’era una crosticina di fango nuovo, di cioccolata, dove i maschi ruzzolavano come maialetti giocando a pallone»).

Il fango e la violenza

Ma il fango è anche la versione più sporca e degradata della terra. In questo romanzo è metafora di una comunità popolosa e emarginata, a cui le regole della società cittadina non arrivano. Sulla fanga della borgata le persone nascono e crescono come piante spontanee. I ragazzini, come il protagonista Tommaso, sono sempre in giro. Di giorno, come di notte. Gli adulti, anche loro spesso abbandonati alla miseria e oberati dalle occupazioni pratiche della vita, sembrano a malapena accorgersi di loro. («Poi siccome il maestro nemmeno s’accorgeva di lui, addirittura smise di spolverare, perché almeno quello, vedendo che stava senza far niente, gli desse una filata. Ma invece se ne stava curvo sulla cattedra, a scrivere sul coppone»).

E così si fa strada la violenza, che a Petralata sembra l’unico modo per affermarsi e sopravvivere. Una violenza che parte dal linguaggio. Pasolini stesso l’ha definito il «gergo della malavita o della plebe romana». Un dialetto che non tutti i lettori riescono a capire per intero e per cui è stato necessario mettere un Glossarietto in appendice al romanzo; ma anche l’unico linguaggio possibile per dare voce a dei ragazzi di borgata, esponenti di quello che Erri De Luca ha definito «popolo seminterrato vivo tra gli argini dei fossi dell’Aniene».  

Tommasino

A Pietralata perfino i giochi tra ragazzini hanno il sapore della violenza. Dalle partitelle di calcio davanti scuola — che Lello affronta con una «faccia acida» da cui traspare tutto il suo accanimento — ai «papilletti della borgata, che giocavano sulla fanga col coltellino». Tommasino, il protagonista, osserva questo stile di vita crudo e sregolato, e si lascia assorbire volontariamente. 

All’inizio della storia Tommaso ha ancora le caratteristiche di un bambino: dalla faccetta lenticchiosa che sembra sempre sporca di grasso alla pancetta rotonda nascosta da vestiti troppo grandi.  Ma la rabbia del suo popolo dimenticato gli appartiene già. Soffre perché i ragazzi più grandi, tra cui l’amico Lello, lo lasciano sempre indietro e ha fretta di crescere per addentare la vita amara che lo aspetta. Dato che non c’è redenzione alla miseria, tanto vale giocare a fare il più forte anche al costo di prendersela con i più piccoli.

Una storia scomoda e senza redenzione

«Tommasino senza dir niente, con la faccia bianca, gli allentò un ceffone che gli fece voltare la testa dall’altra parte. […] L’altro [uno piccolo come un cagnoletto] se ne accorse solo dopo un po’, che aveva beccato un ceffone e che aveva la testa rivoltata da quell’altra parte. E non appena se n’accorse, si mise a strillarsi le budella». Questi episodi preludono a crimini più gravi che influenzeranno pesantemente la sua vita da adulto e gli negheranno ogni possibilità di redenzione. 

Narrando la storia di Tommasino e della sua borgata Pasolini sceglie di narrare una vicenda dura, scomoda, che nessun altro vuole raccontare. Una storia di vita vera dove gli imprevisti riconducono sempre al destino triste tracciato nel fango fin dall’infanzia. Sempre De Luca nella prefazione all’edizione speciale pubblicata dal Corriere della Sera definisce Una vita violenta come «pietra d’inciampo, per voce gridata e per materiale umano narrato». Un corpo da schivare per non ferirsi. E ha ragione perché questo romanzo ferisce in ogni tempo in quanto l’emarginazione di cui parla è un fenomeno che pur trasformandosi resta sempre attuale.

Foto di David Mark da Pixabay

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