Piatti romani, li hanno ideati gli antichi oppure i nostri nonni?

rigatoni

Piatti romani. Molti pensano che la tradizione culinaria romana risalga ai tempi di Romolo e Remo e dei pastori che all’epoca abitavano i sette colli. Alcuni tirano in ballo le infinite cene di Trimalcione, descritte da Petronio nel Satyricon. Altri pensano che le ricette del famoso gastronomo Apicio, vissuto all’inizio della nostra era, si siano perpetuate sino ai nostri giorni.

In realtà i piatti romani attuali non hanno nulla a che fare con la cucina degli antichi Cesari. E nemmeno con quella dei Papi. Le ricette della cucina romana che stanno spopolando in tutto il mondo non hanno più di centocinquant’anni. Sono tutte nate dopo la presa di Roma e con l’Italia Unita. Facciamo allora un viaggio indietro nel tempo per individuare gli autori di tali gustosissimi piatti romani.

Il ‘quinto quarto’, prodotto di scarto alla base dei piatti romani di carne

Il consumo di carne bovina a Roma ha avuto diffusione grazie a una straordinaria istituzione dell’Italia Unita. Fu nel 1888, infatti, che fu progettato il “mattatoio” di Testaccio, realizzato pochi anni più tardi. I lavoranti della struttura venivano remunerati anche con il “quinto quarto” della macellazione. Cioè con i prodotti di scarto del loro lavoro. Li portavano a cucinare a tale Checchino Mariani che gestiva un’osteria proprio sulla piazza del mattatoio.

Grazie all’elaborazione di tali prodotti di scarto nacque quella serie di piatti di taglio povero, che sono alla base della cucina romana. Stiamo parlando della coda alla vaccinara, i rigatoni alla pajata (sugo preparato utilizzando l’intestino dell’agnello da latte), la coratella e l’immancabile trippa. Dal 1975 il mattatoio è stato spostato sulla Via Tiburtina ma quell’osteria esiste ancora. Checchino era il nonno dello scomparso marito dell’attuale titolare, Ninetta Ceccacci.

Piatti romani di pasta, carbonara, amatriciana e altro

L’origine della “carbonara”, cioè la specialità romana più conosciuta nel mondo, è incerta. Neanche gli storici della gastronomia sanno rispondere a tale quesito. In ogni caso la sua data sarebbe recente. Successiva all’introduzione in Italia del bacon da parte dei soldati americani. Solo negli anni cinquanta del XX secolo il bacon sarebbe stato sostituito con il guanciale. A noi però piace dar credito a una suggestiva tradizione popolare.

Il piatto avrebbe a che fare con gli antichi “carbonari” solo per via indiretta. La cuoca che l’ha inventato, infatti, era la moglie di un carbonaio di Via Panisperna. Nel 1906 aprì la sua osteria proprio di fronte alla bottega del consorte. Qui avrebbe iniziato a cucinare la pasta con i tre ingredienti classici che oggi tutti conoscono: uovo, pecorino e guanciale con eventuale abbondante aggiunta di pepe. I gastronomi relegano tale tradizione popolare tra le “leggende metropolitane”. Nella loro versione, tuttavia, manca il riferimento – sia pur indiretto – alla carboneria o ai carbonai. Oltre al fatto che l’uso del guanciale, in Italia, precede e non segue quello del bacon.

Sull’invenzione dei “bucatini alla Matriciana” invece, non sembrano esservi dubbi. La sua inventrice fu la signora Anna De Angelis, maritata Baiocchini. Fu proprio da Amatrice che, nel lontano 1870, partì per stabilirsi a Roma. Aveva con sé il suo fagottino (la “mappatella”) con peperoncino, pomodori, un po’ d’olio della Sabina e, appunto, una fetta di guanciale. Aprì un locale vicino alla vecchia Stazione Termini e cominciò a preparare i suoi famosi bucatini, sfumandoli con il vino bianco. Anche in tal caso – da allora – non è passato più di un secolo e mezzo.

Piatti romani, le fettuccine all’Alfredo

Alfredo Di Lelio invece aveva un piccolo ristorante a gestione familiare nella scomparsa Piazza Rosa, ove ora è la Galleria Alberto Sordi. Grazie alla sua forte passione per l’arte culinaria, raggiunse successo e fama mondiale. Fu nel suo ristorante in piazza Rosa che ebbe l’idea della ricetta che poi diventerà famosa in tutto il mondo: le fettuccine all’Alfredo. Con le sue stesse mani, Di Lelio preparò delle sottilissime fettuccine impastate nel semolino, condite al triplo burro e parmigiano e mantecate a dovere.

Nel 1914, costretto a trasferirsi per i lavori della galleria, Alfredo aprì un altro locale in Via della Scrofa. Alcuni anni dopo, nel corso della loro luna di miele a Roma, vi si fermarono a mangiare i grandi attori del cinema muto Douglas Fairbanks e Mary Pickford. Dopo aver assaggiato i suoi succulenti ed originali piatti, fecero dono ad Alfredo di due posate d’oro massiccio. Su di esse era incisa la dedica: “To Alfredo the King of the noodles” (il re delle fettuccine). In occasione del recente G20 gli eredi di Alfredo hanno ricevuto la visita ufficiale del Presidente Macron e consorte.

Piatti romani. Pizza e pinsa

Se la pizza “Margherita” se la sono inventata i napoletani (o forse i sorrentini), la “Capricciosa” tota nostra est. Nacque nel 1937 in un locale presso l’Ara Pacis con sedie imbottite e rivestimenti di legno scuro. Allo sconosciuto pizzaiolo di allora venne il “capriccio” di utilizzare uovo sodo tagliato a fette, funghi champignons, prosciutto crudo, carciofini e olive. Lasciò solo la schiacciata di pasta con sopra una passata di pomodoro fresco. Via la mozzarella, il basilico e le eventuali acciughe. Soprattutto, volle la pizza fina e croccante ma senza un filo di bruciatura. Dato il successo, al nome di “Pizzeria Ara Pacis”, il titolare aggiunse quello de “La Capricciosa”.

Oggi qualcuno ha voluto riportare alla luce la “pinsa” dell’antica tradizione latina. Ma di essa ha soltanto il nome “pinsa”, dal participio passato “pinsum” del verbo latino “pinsere”. Significa schiacciare, macinare, pestare. Di tale operazione, uno dei “profeti” è stato Matteo, il titolare del “Convivium” a Trastevere, dopo alcuni anni di soggiorno in Australia. La volle composta, però, di ingredienti non disponibili al tempo di Cesare. Cioè farina di grano tenero, farina di soia e farina di riso. Optò poi per un impasto a lunga lievitazione e basso contenuto di olio. Il prodotto è ad alta digeribilità, ipocalorico e ipolipidico. Ed ha successo!

La cucina ebraica, fritture e supplì

La cucina romana, insomma, non ha nulla di derivazione antica. Ma non i tutti i suoi piatti tipici risalgono al periodo successivo alla presa di Roma. La scuola gastronomica più arcaica infatti è quella di tradizione ebraica, con centro nell’antico Ghetto. Qui gli ebrei romani furono relegati dal 1555 al 1848.

Oltre alle specialità tradizionali, gli ebrei hanno introdotto a Roma soprattutto le fritture, come i carciofi alla Giudia o i filetti di baccalà. Questo perché gli abitanti del ghetto di Roma erano in maggioranza di origine sefardita, cioè profughi dalla Spagna. Uno dei prodotti principali della Spagna è infatti l’olio d’oliva, con il quale si fanno le fritture.

Restando in materia di fritture, il primo supplì, col nome di soplis di riso, appare nel 1874, nel menù della scomparsa Trattoria della Lepre di Via dei Condotti 9. Il locale era frequentato, tra gli altri, da Gogol e da Melville. Oggi da Tokyo a New York il supplì è apprezzato e lo si mangia come lo mangiano i romani. Rigorosamente con le mani, scottandosi le dita e “alla zozzona”. Insomma, almeno in campo gastronomico, i romani di oggi si stanno rivelando molto più battaglieri dei loro antenati di duemila anni fa.

Foto di takedahrs da Pixabay

1 risposta

  1. Ines Di Lelio

    STORIA DI ALFREDO DI LELIO, CREATORE DELLE “FETTUCCINE ALL’ALFREDO” (“FETTUCCINE ALFREDO”), E DELLA SUA TRADIZIONE FAMILIARE PRESSO IL RISTORANTE “IL VERO ALFREDO” (“ALFREDO DI ROMA”) IN PIAZZA AUGUSTO IMPERATORE A ROMA

    Con riferimento al Vostro articolo ho il piacere di raccontarVi la storia di mio nonno Alfredo Di Lelio, inventore delle note “fettuccine all’Alfredo” (“Fettuccine Alfredo”).
    Alfredo Di Lelio, nato nel settembre del 1883 a Roma in Vicolo di Santa Maria in Trastevere, cominciò a lavorare fin da ragazzo nella piccola trattoria aperta da sua madre Angelina in Piazza Rosa, un piccolo slargo (scomparso intorno al 1910) che esisteva prima della costruzione della Galleria Colonna (ora Galleria Sordi).
    Il 1908 fu un anno indimenticabile per Alfredo Di Lelio: nacque, infatti, suo figlio Armando e videro contemporaneamente la luce in tale trattoria di Piazza Rosa le sue “fettuccine”, divenute poi famose in tutto il mondo. Questa trattoria è “the birthplace of fettuccine all’Alfredo”.
    Alfredo Di Lelio inventò le sue “fettuccine” per dare un ricostituente naturale, a base di burro e parmigiano, a sua moglie (e mia nonna) Ines, prostrata in seguito al parto del suo primogenito (mio padre Armando). Il piatto delle “fettuccine” fu un successo familiare prima ancora di diventare il piatto che rese noto e popolare Alfredo Di Lelio, personaggio con “i baffi all’Umberto” ed i calli alle mani a forza di mischiare le sue “fettuccine” davanti ai clienti sempre più numerosi.
    Nel 1914, a seguito della chiusura di detta trattoria per la scomparsa di Piazza Rosa dovuta alla costruzione della Galleria Colonna (oggi Galleria Sordi), Alfredo Di Lelio decise di aprire a Roma il suo ristorante “Alfredo” che gestì fino al 1943, per poi cedere l’attività a terzi estranei alla sua famiglia.
    Ma l’assenza dalla scena gastronomica di Alfredo Di Lelio fu del tutto transitoria. Infatti nel 1950 riprese il controllo della sua tradizione familiare ed aprì, insieme al figlio Armando, il ristorante “Il Vero Alfredo” (noto all’estero anche come “Alfredo di Roma”) in Piazza Augusto Imperatore n.30 (cfr. il sito web di Il Vero Alfredo).
    Con l’avvio del nuovo ristorante Alfredo Di Lelio ottenne un forte successo di pubblico e di clienti negli anni della “dolce vita”. Successo, che, tuttora, richiama nel ristorante un flusso continuo di turisti da ogni parte del mondo per assaggiare le famose “fettuccine all’Alfredo” al doppio burro da me servite, con l’impegno di continuare nel tempo la tradizione familiare dei miei cari maestri, nonno Alfredo, mio padre Armando e mio fratello Alfredo. In particolare le fettuccine sono servite ai clienti con 2 “posate d’oro”: una forchetta ed un cucchiaio d’oro regalati nel 1927 ad Alfredo dai due noti attori americani M. Pickford e D. Fairbanks (in segno di gratitudine per l’ospitalità).
    Un aneddoto della vita di mio nonno. Alfredo fu un grande amico di Ettore Petrolini, che conobbe nei primi anni del 1900 in un incontro tra ragazzi del quartiere Trastevere (tra cui mio nonno) e ragazzi del Quartiere Monti (tra cui Petrolini). Fu proprio Petrolini che un giorno, già attore famoso, andando a trovare l’amico Alfredo, dopo averlo abbracciato, gli disse “Alfré adesso famme vede che sai fa”. Alfredo dopo essersi esibito nel suo tipico “show” che lo vedeva mischiare le fettuccine fumanti con le sue posate d’oro davanti ai clienti, si avvicinò al suo amico Ettore che commentò “meno male che non hai fatto l’attore perché posto per tutti e due nun c’era” e consigliò ad Alfredo di tappezzare le pareti del ristorante con le sue foto insieme ai clienti più famosi. Anche ciò fa parte del cuore della bella tradizione di famiglia che continuo a rendere sempre viva con affetto ed entusiasmo.
    Desidero precisare che altri ristoranti “Alfredo” a Roma non appartengono e sono fuori dal mio brand di famiglia.
    Il brand “Il Vero Alfredo – Alfredo di Roma” è presente in Messico con due ristoranti a Città del Messico ed a Cozumel sulla base di rapporti di franchising con il Group Hotel Presidente Intercontinental Mexico.
    Vi informo che il Ristorante “Il Vero Alfredo” è presente nell’Albo dei “Negozi Storici di Eccellenza” del Comune di Roma Capitale.
    Grata per la Vostra attenzione ed ospitalità nel Vostro interessante blog, cordiali saluti
    Ines Di Lelio

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