Se ho fortuna sbarcherò

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“Se ho fortuna sbarcherò Anch’io ho fame anch’io Ho freddo come hai freddo tu. Se vuoi Comprendimi Ti rispetterò Io ti ripagherò Dal mare arriverò Con i fratelli miei Ne ho persi tanti che Se guardi il cielo capirai Non si è sicuri mai Stipati siamo qui Potrei lasciarmi andare Finirla anch’io così Davvero una pazzia Con questa alta marea Sperare di raggiungere la riva...”

Canta così Renato Zero nella sua splendida canzone “Dal mare” che io utilizzo anche come sigla della mia trasmissione “Insieme in questo mondo” che curo per Radio Mater ogni primo martedì del mese. Spesso chiedo alla regia di lasciar scorrere la canzone, e le sue parole, per tutto il suo tempo: procedura poco usuale in radio, è vero ma a volte non trovo altre parole per descrivere quello che succede su quei barconi ed altre ancora non trovo parole migliori per descrivere quello che possono pensare quei “naviganti”. Oggi mi piace chiamarli naviganti. Non migranti, immigrati, profughi, rifugiati ma naviganti, figli del mare perché il mare si è inghiottito altri 250 di loro che hanno avuto la sola fortuna….(la sola fortuna)…di essere balzati agli onori della cronaca perché hanno fatto in tempo a dare l’allarme ed i soccorsi italiani hanno potuto raggiungere qualcuno di loro che ora è qui a raccontarla ed ha finito di navigare raggiungendo quella riva. Hanno freddo come noi. Hanno fame come noi. Hanno sete come noi. Naviganti, come lo siamo tutti in questo mondo, su questa terra. C’è chi non ha mai abbandonato il proprio paese di nascita o vive nella stessa via di Roma da generazioni; c’è chi invece ha cambiato più residenze che cappotti lungo lo Stivale, c’è chi se ne è andato all’estero e c’è chi ogni giorno si mette sulle navi e naviga per esplorare il mare o per cercare l’altra riva. Italiani popolo di poeti, santi e navigatori. Quanti sono morti in mare e chi vive sulle navi, chi fa il sommozzatore, chi ha alle spalle almeno un corso di nuoto sa che il mare lo devi rispettare, amare, ha le sue regole, le sue leggi e sa che da un momento all’altro può rivoltartisi contro, tipico della natura. Questi naviganti per migrazione, e non per turismo, forse alcune regole non le sanno, forse nessuno ha detto loro che quando vedranno avvicinarsi le motovedette italiane non si devono agitare perché quel sussulto di libertà può loro costare caro, può costare la vita. Ma nessuno può sapere che cosa passa nella testa di questi naviganti quando, dopo due giorni, stipati in oltre trecento in barche col fondo di piedi, con bimbi che piangono, donne incinte, disabili tutti attorno… scorgono la luce dei fari delle imbarcazioni, una luce che squarcia il loro buio, la loro tempesta e parla di un lembo di terra vicina. Questi naviganti affrontano tutto questo per venire da noi e forse sanno che finiranno in una tendopoli, saranno registrati in attesa di ricongiungersi coi fratelli oppure sanno benissimo che appena toccata terra inizia un’altra corsa, senza sapere dove ma lontano dagli sguardi della polizia che non sono peggio dei non sguardi della politica europea. Oppure neanche sanno tutto questo perchè prima hanno visto il nostro mondo accendendo la televisione o “navigando” in internet e vedono che qui tutti stiamo bene, che facciamo le code per comprare il nuovo modello di Ipad, che tutti i fine settimana ce ne andiamo al mare anche se la benzina costa quasi come un pranzo, che se tiri due calci al pallone sei strapagato ed in più osannato… anche io mi imbarcherei per l’Italia, ve lo assicuro, anche io mi imbarcherei per l’Italia. Fratello Mare, accogli queste anime, e come scrisse Ungaretti, fa che ancora loro, con le altre persone che giacciono in te, si possano sentire “docili fibre dell’Universo”.

 

Giorgio Gibertini

 

Foto: foggiapress.it

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