Ricaduta positiva del coronavirus. Sono stati moltissimi gli osservatori che hanno evidenziato gli effetti positivi prodotti dal più terribile conflitto umano, la seconda guerra mondiale. Molti economisti ritengono che solo con la guerra l’occidente sia riuscito a superare realmente la “grande depressione” del 1929. Furono gli enormi investimenti statali nella produzione bellica, infatti, a rimettere in moto l’industria metalmeccanica e siderurgica. Inoltre, per la prima volta nella storia, l’uomo capì il valore della coesistenza pacifica, costituendo la prima organizzazione internazionale onnicomprensiva: l’ONU.
La ricaduta positiva del conflitto si ebbe soprattutto dal punto di vista tecnico e tecnologico. Fu messo a punto il motore a reazione degli aerei, che ci ha permesso di raggiungere in tempo ragionevole ogni parte del globo. Grazie al radar siamo stati poi in grado di volare anche di notte e con il maltempo. I primi missili lanciati sull’Inghilterra da Wernher Von Braun, sono poi diventati i satelliti grazie al quale vediamo la TV in diretta da tutto il mondo e comunichiamo con i nostri cellulari. Infine, l’invenzione della pila atomica (Enrico Fermi) ci ha permesso, bene o male, di utilizzare energia a basso costo. Cedendo meno al ricatto dei produttori di combustibile fossile, almeno altrettanto inquinante.
Anche l’epidemia globale da coronavirus avrà una ricaduta positiva. A partire dalla soluzione dei piccoli problemi che affliggono la persona comune, a quelle maggiormente di carattere sociale. Vediamo quali.
Molte piccole cose che siamo stati obbligati a fare avranno una ricaduta positiva
Ci è voluta l’epidemia di coronavirus per obbligare i medici di base a mandarci le ricette via mail senza fare ore di fila in sala d’aspetto. Magari infettandoci con gli altri pazienti che, invece, sono venuti per farsi visitare. Ma anche l’utilizzo della rete per richiedere i sussidi all’INPS o la cassa integrazione è una ricaduta positiva dell’epidemia.
Con queste piccole innovazioni, per la prima volta si è capita l’utilità sociale di internet. Si è capito che la rete non serve soltanto a mettersi in mostra su instagram, diffondere fake news su facebook o esternare in un tweet. Alcuni giornalisti hanno obiettato che un buon terzo di italiani ancora non ha accesso a internet. A costoro, il Presidente del Consiglio ha risposto che l’accesso alla rete dovrebbe essere un diritto costituzionalmente tutelato. Senza l’epidemia, una verità così ovvia non sarebbe saltata in mente a nessuno.
E c’è voluta l’epidemia per generalizzare finalmente il telelavoro nel pubblico impiego. Magari chiamandolo con il nome più “politicamente corretto” di smart working o “lavoro agile”. Nessuno, in precedenza, si era reso conto che, in tal modo, le strade sarebbero state meno congestionate e il livello d’inquinamento ridotto. Sicuramente, col tempo, anche gli studenti potranno assistere alle lezioni scolastiche ed universitarie “da remoto”. E, perché no? Dare gli esami senza muoversi da casa.
La più sorprendente ricaduta positiva è il ritorno dell’intervento pubblico nell’economia
L’epidemia si sta rivelando uno “tsunami” che procede spazzando via tutte le superflue ed ottocentesche procedure della burocrazia. Non solo italiana ma anche a livello eurounitario. Tabù come il pareggio di bilancio, il controllo dell’espansione monetaria, il terrore della spesa in deficit, si stanno progressivamente sgretolando. Gran parte degli economisti hanno già capito come tali strumenti siano inutili a fronteggiare le grandi crisi economiche.
Ma il coronavirus ha fatto un altro miracolo. Come Lazzaro dalla sua sua tomba è risuscitata anche la politica di intervento pubblico nell’economia. Non ci credeva più nessuno, nel mondo occidentale. Anche i più “sinistrorsi” e radical chic si erano ormai convertiti all’economia di mercato. Il virus ha messo tutti di fronte a una cruda realtà. Senza l’intervento pubblico, le imprese non riescono a ottenere i finanziamenti necessari per investire. E senza investimenti, la disoccupazione è dietro l’angolo.
In molti settori, si torna a parlare di “partecipazioni statali”. Sì, proprio quella brutta parola che i giudici di tangentopoli bollarono come sinonimo di corruzione. Da oggi si definiscono: prodotto del “golden power”. C’è voluto il coronavirus per far capire che senza l’intervento pubblico molte aziende strategiche non possono far altro che chiudere. Lasciando i lavoratori, cioè i cittadini e loro famiglie, in mezzo a una strada.
Ritorno alla “centralità” dello Stato
Infine, c’è voluto il coronavirus per far capire l’importanza dell’assistenza pubblica ai bisognosi e agli anziani. La centralità della sanità pubblica. Il governo centralizzato del territorio dopo decenni di sbandierato e inutile “federalismo”.
A parere di chi scrive, il superamento della crisi occupazionale postepidemia non potrà aversi se non affidando ai Centri pubblici per l’Impiego il governo dell’occupazione. Chi cerca un lavoro, presenterà una domanda “da remoto” e sarà smistato dove ci sarà richiesta. Una cosa è certa: nulla sarà come prima. Forse, molte cose saranno anche meglio.
Fonte foto: Forlì Today
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