“Ecco, il seminatore uscì a seminare” (Mt 13,3) Così si apre la parabola narrata da Gesù nel Vangelo di questa calda domenica estiva. Nelle aride distese della Palestina il lavoratore dei campi lascia cadere la semente su vari tipi di terreno: il seme darà frutto solo sul terreno buono; su quello arido, sassoso e abitato da rovi, invece, difficilmente il seme potrà germogliare. Tutte le parabole di Gesù trovano ispirazione da elementi di vita comune; ci piace ricordare il buon samaritano (Lc 10,25-37), il figliol prodigo e il padre misericordioso (Lc 15, 11-32), la donna che smarrisce una moneta (Lc 15, 8-10), ecc. Quello della Parabola è un genere letterario che troviamo anche nei Vangeli. Il sostantivo (in greco “para bolè”, in ebraico è “mashal”) designa un racconto, spesso enigmatico che, ricavato da scene di vita quotidiana, costruisce un paragone volto ad illuminare una realtà misteriosa. Nonostante siano trascorsi più di duemila anni e se consideriamo che il mondo sia profondamente cambiato, le parabole di Gesù conservano, ancora oggi, immagini intatte, ricche di fascino e di sapienza viva. Perché? La risposta sta nel fatto che tali narrazioni non illustrano situazioni complesse o inusuali ma presentano semplici circostanze che accadono nell’ordinarietà e che per la maggior parte dei casi sono costellate da problematiche antiche e sempre nuove. A tal proposito è da considerare che le vicende narrate in esse non di rado vengono vissute in maniera superficiale, a volte addirittura infastiditi e banalizzandole; tuttavia, messe sulle labbra di Gesù, esse hanno il potere di consegnarci una dimensione molto più profonda e di svestirsi di banalità, consegnando anche alla quotidianità un tenore di vita più bello, più buono e più vero. La parabola del seminatore ne è un esempio lampante. Gesù narra la parabola per paragonare il seminatore a Dio, il seme alla sua Parola e i vari terreni alle diverse maniere con cui l’uomo si pone di fronte ad essa. Chi non incarna la Parola di Dio rimane arido come la strada; chi l’accoglie con entusiasmo ma solo superficialmente è immagine del terreno sassoso e pieno di rovi. La parabola, dunque, è un chiaro invito a non essere superficiali in materia di fede; essa ci esorta a prendere sempre più coscienza della nostra fede perché solo vivendola autenticamente riusciamo ad impreziosire ogni istante della vita. Dalla parabola del seminatore, inoltre, ricaviamo anche una grande certezza e cioè, “Dio ha sempre cura degli uomini”. A questo proposito la parabola ripesca un tema già trattato nell’Antico Testamento e che in questa domenica la liturgia ci ripropone sulle labbra del Profeta Isaia nella Prima lettura (Is 55, 10-11). “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, così sarà della parola uscita dalla mia bocca”, dice il Signore. Proviamo a trasportare il significato di queste parole calandolo concretamente nelle nostre giornate: le nostre parole e i nostri gesti hanno sempre una conseguenza. Tante volte nemmeno ci pensiamo, ma un po’ siamo tutti come il seminatore e, quindi, come un sasso lanciato in uno stagno: le onde che si riproducono si allargano a dismisura, arrivano lontano e sollevano negli altri reazioni, giudizi, atteggiamenti di vario genere. C’è da chiedersi, carissimi fratelli e sorelle, che tipologia di semente gettiamo intorno a noi. Che differenza c’è tra noi e Dio? Egli sparge sempre buoni semi che daranno frutti abbondanti; noi, invece, assieme ai semi molto buoni sappiamo anche spargere semi di corruzione che spesso fanno soffrire. Valutiamo con cura, dunque, ciò che seminiamo e dal messaggio evangelico di questa domenica impariamo che la Parola di Dio, luce per chi non vede e vita per chi è morto, rappresenta per tutti l’unica chiave d’accesso per entrare attraverso la porta della verità. In un mondo che vive in funzione del rumore e del chiasso, e che boccheggia senza alcuna offerta di verità, chi o che cosa, oggi, può offrirci speranza di vita? La mia risposta, che poi è anche la vostra, è una sola ed è certa: “solo Gesù e la sua Parola offrono speranze di vita!” Le nostre piccole o grandi esperienze ci spingono ad affermare con forza che tutti abbiamo bisogno della Parola di Dio, anche se a volte – come attesta il Vangelo – a causa delle troppe parole, futili, inutili, essa non riesce a mettere radici profonde. Tuttavia, è molto facile, oggi, incontrare cristiani che ovunque recano con sé la Bibbia; occorre fare ancora tanto lavoro perché la Parola, che è Cristo, sia messa veramente al centro della nostra vita e delle varie Comunità ecclesiali. Accostiamoci con coraggio allo studio sistematico delle Scritture: la lectio divina, la catechesi, l’omelia, la predicazione sono strumenti validissimi per offrire generosamente a “all’affamato di Dio” pane sostanzioso di verità. La semplicità, carissimi, quella inaugurata da Gesù lungo le strade della Palestina, è il grande dono di chi vuol annunciare la gioia del Vangelo; la semplicità è la strada sicura per incamminarsi sulle strade dell’umanità e risvegliare il sonno profondo delle coscienze addormentate. Noi tutti, alla scuola di Gesù, dobbiamo apprendere la semplicità di un Vangelo “proposto con amore” e non “imposto”. Esso rappresenta la voce di Gesù che nella nostra vita, oggi come allora, lascia sempre impronte incancellabili. Maria, Madre del buon consiglio, ci prenda per mano e ci conduca sui passi del Figlio; abbiamo bisogno di Lui per attingere continuamente al suo amore e farlo nostro; come Lei, prima discepola dell’unico Maestro, poniamoci all’ascolto della Parola perché con Gesù possiamo continuare la nostra missione annunciando che Egli solo è la via, la verità, la vita: ieri, oggi e sempre. Amen.
Fra’ Frisina
Foto: flickr.com
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