La fragilità della ginestra

Nel 1836 a Napoli scoppia il colera e per sfuggire all’epidemia Leopardi si rifugia con l’amico Antonio Ranieri in una villetta alle pendici del Vesuvio. Qui, un anno prima di morire, scrive il suo ultimo componimento: La ginestra o il fiore del deserto. Una canzone di discreta lunghezza che costituisce un vero e proprio testamento spirituale e letterario. Nei suoi versi il sentimento civile incontra la suggestione evocativa dei primi idilli per attestare l’irrilevanza dell’essere umano nell’universo, concetto chiave del pessimismo cosmico leopardiano.

Il Vesuvio e la ginestra

La canzone si apre proprio sull’immagine del Vesuvio. Il vulcano rappresenta una minaccia costante perché potrebbe distruggere in un attimo uomini e città. È già successo con Pompei e Ercolano nel lontano 79 d.C.: «fur liete ville e colti,/e biondeggiar di spiche, e risonaro/di muggito d’armenti;/fur giardini e palagi,/agli ozi de’ potenti/gradito ospizio; e fur città famose/che coi torrenti suoi l’altero monte/dall’ignea bocca fulminando oppresse con gli abitanti insieme». Tuttavia nel luogo della rovina, sul crinale vulcanico ricoperto da «ceneri infeconde» e «impietrata lava», spunta la ginestra profumata. 

La ginestra — detta anche fiore del deserto — fiorisce nei luoghi più sterili. Nasce da una terra che sarà madre solo al momento del concepimento, e poi si rivelerà matrigna perché costituirà la più grande minaccia alla sua sopravvivenza. Leopardi individua nella ginestra la metafora della precarietà umana. Anche l’uomo è figlio di una natura che poi si è dimostrata «inimica», pericolosa nella sua potenza e nella sua imprevedibilità. 

La natura matrigna

Qualsiasi movimento brusco della natura (terremoto, maremoto, epidemia, eruzione…) può distruggere intere comunità con la stessa facilità con cui un pomo maturo che cade dall’albero può schiacciare un formicaio. «Come d’arbor cadendo un piccol pomo,/cui là nel tardo autunno /maturità senz’altra forza atterra,/ d’un popol di formiche i dolci alberghi, cavati in molle gleba/con gran lavoro, e l’opre/e le ricchezze che adunate a prova con lungo affaticar l’assidua gente/ avea provvidamente al tempo estivo,/schiaccia, diserta e copre/in un punto»

Nell’ottica leopardiana la centralità dell’uomo in natura diventa un’illusione. Un favoleggiamento consolatorio che attribuisce all’uomo la colpa di un male di cui non è responsabile ma soggetto. È infatti la natura che gli impone il male. L’unico errore dell’uomo sta nel fare la guerra ai suoi simili. Polemizzando contro lo spiritismo ottocentesco — colpevole di porre la dignità dell’uomo al di sopra di tutto — Leopardi ci dice che per resistere alla minaccia costituita dalla natura gli uomini hanno bisogno di essere coalizzati in un unico esercito («stolto crede così qual fora in campo/cinto d’oste contraria, in sul più vivo/incalzar degli assalti,/gl’inimici obbliando, acerbe gare/imprender con gli amici,/e sparger fuga e fulminar col brando/infra i propri guerrieri»). 

La forza della solidarietà

Solo nel solco dell’uguaglianza e della fraternità, dunque, la società umana può progredire. Già nell’ottobre del 1823 sullo Zibaldone il poeta scriveva: «l’essenza e natura della società, massima umana, contiene contraddizione in se stessa; perciocché la società umana naturalmente distrugge il più necessario elemento, mezzo, nodo, vincolo della società, ch’è l’uguaglianza e parità scambievole degl’individui che l’hanno a comporre». L’esortazione alla fratellanza come parziale fonte di salvezza fa di Leopardi — generalmente definito poeta pessimista — un uomo fortemente attaccato alla vita. 

Anche se non c’è speranza di vittoria contro la natura, egli crede fermamente che valga la pena di combattere per l’esistenza. Proprio come fa la ginestra, che si ostina a sopravvivere laddove la sua vita è perennemente a repentaglio. Ma al di là della caparbietà del singolo, è la solidarietà che consente all’essere umano di restare in piedi nel miglior modo possibile. Ed ecco allora che la fragilità della ginestra se moltiplicata per la totalità degli uomini diventa una forza. La forza che permette all’umanità di affrontare gli imprevisti che la natura inimica le mette di fronte, di superarli e di ricostruirsi.

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