La castagna regina di Novembre

la castagna

Con la spillatura del primo vino dell’annata nei giorni che seguono la Festa di San Martino si ripete un rito millenario: quello dell’abbinamento del vino nuovo (o vin brusco come lo definiva Brillat-Savarin) con le castagne.

Un’esperienza divenuta oggigiorno quasi elitaria visto il prezzo elevato che hanno raggiunto le castagne e più ancora i marroni.

Eppure fino a non più di una sessantina di anni fa le castagne erano considerate cibo popolare per eccellenza e la polenta fatta con la loro farina era l’alimento che sostentava tutte quelle popolazioni, di alta collina o bassa montagna, che per mille motivi: economici, climatici e logistici, non potevano permettersi la farina di grano e neppure quella di mais che ha progressivamente soppiantato nell’alimentazione popolare quella di castagne.

Non è un caso che Francesco Guccini, che nella canzone «Addio» si definì «tirato su a castagne ed erba spagna» (erba medica ndr) le citi spesso sia nelle sue canzoni sia nei suoi romanzi, e racconti di quel mondo silenzioso dell’appennino in cui nei metati (gli essiccatoi delle castagne) si riunivano accanto alle braci, seduti su piccole sedie per evitare di respirare il fumo, gli anziani che «sapevano Dante a memoria e improvvisavano di poesia» e inventavano o tramandavano leggende come quelle della Borda che ghermiva coloro che si avventuravano vicino alle pozze di montagna.

Le castagne, diventate beni di lusso da quando in montagna non ci vuole vivere più nessuno e nessuno le raccoglie più perché ci vuole fatica ad arrampicarsi su per i pendii scoscesi senza strade, con rischio di perdersi nei boschi, che il prezzo non vale la fatica: non son mica funghi o tartufi.

Castagne e marroni

Se la castagna è tendenzialmente selvatica e deriva in Europa da un ceppo antichissimo, quello della Castanea sativa Miller (dal botanico londinese Philip Miller che a metà del ‘700 isolò il ceppo europeo) nota sin dall’epoca romana, il marrone è una castagna coltivata appositamente innestando su di una pianta di Castanea sativa rami giovani (marze) di varietà pregiate di marroni di cui l’Italia è particolarmente ricca dal Piemonte, con i marroni di Cuneo e della Val di Susa sino alla Campania con le pregiate varietà irpine e cilentane passando per quelle del lago di Garda, del trevigiano, dell’Amiata, del Mugello e del viterbese.

La differenza, oltre che nell’aspetto e nella minore resa dei marroni, è nel loro sapore marcatamente dolce che ne fa l’ingrediente ideale per i Marron glacé, i marroni glassati la cui ricetta è contesa tra la provincia di Cuneo e la zona di Lione in Francia.

Matilde di Canossa: la signora delle castagne

Di Matilde di Canossa, Gran Contessa nata probabilmente (ma la storiografia è discorde) a Mantova nel 1046 e scomparsa a 69 anni a Bondeno di Roncore il 24 luglio 1115, si ricorda soprattutto l’episodio che la vide protagonista della pubblica umiliazione, nel gennaio del 1077, dell’Imperatore Enrico IV che, per ottenere il perdono di Papa Gregorio VII, attese tre giorni e tre notti al di fuori del Castello di Canossa col capo cosparso di cenere, vestito solo di un saio ed a piedi nudi. Da quell’episodio è scaturito il detto popolare: andare a Canossa, nel senso di piegare il capo di fronte ad un nemico.

Matilde, celebrata a Roma in San Pietro dal sepolcro del Bernini, fu una delle personalità femminili di maggiore spicco della sua epoca, capace di una grande indipendenza, di forti decisioni politiche, ma anche di tener conto delle esigenze di sopravvivenza alimentare della popolazione dei suoi vasti feudi.

A lei, in collaborazione con i monaci benedettini, si deve il metodo di coltivazione delle castagne detto «sesto matildico» che attraverso un’oculata distribuzione delle piante permetteva lo sviluppo e l’impollinazione dei castagni e la possibilità di coltivare al di sotto di essi, pur essendo alberi di notevoli dimensioni, erbe e foraggi.

Una donna risoluta, colta e illuminata, che fu tra i fondatori dell’Alma Mater Studiorum, l’Università di Bologna, e che ha dato il suo contributo anche allo sviluppo dell’alimentazione popolare.

Del castagno non si butta nulla

Prima dell’avvento dei cibi americani le castagne costituivano la più importante fonte di carboidrati delle popolazioni montane: «albero del pane» è stato definito a lungo il castagno.

I Romani lo diffusero nell’Impero non solo per i suoi frutti, ma per i pregi del legno: resistente, robusto, adatto ad ogni uso.

Con le foglie secche si confezionavano i materassi, le bucce si utilizzavano, assieme alle foglie, come concime naturale ed essiccate erano il combustibile per l’essiccazione delle castagne indispensabile alla loro molitura.

Una pianta preziosa e millenaria: il suo esemplare italiano più antico, il Castagno dei cento cavalli alle pendici dell’Etna, ha 2200 anni.

Benedetta castagna regina di Novembre.

Foto di 995645 da Pixabay

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