Indipendentismo Sardo, perché non ha alcun fondamento storico

Indipendentismo sardo

Indipendentismo Sardo. Teoricamente sarebbe l’ideologia principale del Partito guidato dall’attuale Presidente della Regione, Christian Solinas. Stiamo parlando del Partito Sardo d’Azione, fondato nel 1921 su un programma autonomista, e non indipendentista. Tanto che nel 1948 il suo maggiore esponente, Emilio Lussu ne propose la confluenza nel PSI, ritenendo raggiunto l’obiettivo. Poi nel 1981 il partito cambiò il suo Statuto inserendo l’indipendenza al posto dell’autonomia.

È comunque uno strano indipendentismo, quello di Solinas. Visto che per diventare Presidente della Regione ha ritenuto opportuno allearsi con i partiti più nazionalisti dell’arco costituzionale. Cioè la Lega di Salvini e Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. D’altronde, anche la scelta indipendentista della Lega Nord di Bossi ebbe a suo tempo un’incredibile “conversione a U”. Bastò che alla segreteria fosse eletto Salvini che la “Lega” perse la dizione “Nord” e divenne anch’essa nazionalista.

Prima dei fenici, i popoli sardi erano tre

Ma, mettendo da parte i voli pindarici dei nostri politici, sarebbe da chiedersi se l’aspirazione indipendentista sarda abbia un fondamento storico. Ebbene, purtroppo per i nostri corregionali che sinceramente ci credono, la risposta è negativa. Per il semplice motivo che la Sardegna, nei 5000 anni della sua storia e preistoria non è mai stata unita e indipendente. Addirittura, la sua unificazione “politica” è avvenuta grazie all’intervento esterno. Mai per un moto nazionale interno.

La Sardegna non fu unita e indipendente nemmeno al tempo della civiltà nuragica. Tutti gli studiosi, sardi e non, infatti, ritengono che fosse divisa in decine e decine – se non centinaia – di agglomerati locali. Né lo fu dopo il crollo della civiltà nuragica. Il greco Pausania, infatti, riporta una suddivisione in tre popoli della Sardegna preromana: gli Ilienses, i Balàri e i Corsi. Ad essi aggiunge i colonizzatori fenicio-cartaginesi.

Guarda caso, quattro sono anche le differenziazioni paleogenetiche dei Sardi attuali. Le analisi del loro DNA, infatti, hanno identificato quattro aplogruppi[1]. Uno proveniente dalla penisola iberica. Un altro proveniente dalla catena pirenaica, ma di origine balcanica (lo stesso riscontrato nell’Uomo del Similaun). Uno proveniente dall’Anatolia, forse con tappe intermedie a Creta o nell’Italia meridionale. L’ultimo – minoritario – di origine cami-semitica. Riferibile ai fenicio-cartaginesi o ad altri popoli del Mare. Anche il mito dell’unità etnica del “popolo sardo”, quindi, cede di fronte alle analisi genetiche.

L’unitarietà dell’isola si dovette ai Romani che vi diffusero il latino

Insomma, i primi ad unificare la Sardegna furono i Romani, nel 238 a.C. Con la trasformazione della Repubblica romana in Impero, la Sardegna (con la Corsica) divenne una provincia romana. Soprattutto, i Romani introdussero nell’isola la lingua latina. Ancor oggi, infatti, il Sardo (nelle sue varie forme) è la lingua romanza più vicina al latino. Tra il 474 e il 533 d.C. la Sardegna fu ancora unita ma come parte del Regno dei Vandali, una popolazione barbarica di origine germanica. Tornò poi in possesso dei Romani, ma d’Oriente, per altri tre o quattro secoli.

Quando l’Impero Romano d’Oriente decadde (VIII-IX secolo d.C.) la Sardegna si frazionò in quattro Stati indipendenti. Non sappiamo se coincidenti o meno con le quattro etnie preromane. Fatto sta che, ancora una volta, i Sardi non riuscirono a formare un unico Stato. Con il tempo, due dei quattro “giudicati” furono governati da dinastie pisane. Quello di Gallura dai Visconti e quello di Cagliari dai Della Gherardesca. Il giudicato di Torres fu sottomesso dai genovesi Doria. Solo il Giudicato di Arborea rimase relativamente indipendente.

Indipendentismo? In realtà i Sardi richiesero la ‘fusione perfetta’ con il Piemonte

Nel 1348, con la conquista spagnola, la Sardegna tornò nuovamente unita. Ma sotto la corona aragonese “di Sardegna e Corsica” estratta dal cilindro di Papa Bonifacio VIII. Gli spagnoli imposero come lingua ufficiale il castigliano, al posto del latino sardizzato. Tale rimase sino al 1760 quando alla Sardegna fu esteso l’italiano. Nel frattempo, infatti, l’isola era caduta sotto il dominio dei Savoia, in base al Trattato dell’Aja (1720). Insomma, nonostante alcune fantasiose interpretazioni storiche, non vi è mai stato un Regno di Sardegna indipendente da un’autorità esterna all’isola.

Di più. Nel 1847 il Parlamento Sardo (retaggio della dominazione spagnola) votò per la “fusione perfetta” con le province continentali del Regno. Sostanzialmente votò la sua abrogazione per confluire nel Parlamento di Torino. In seguito, i Sardi combatterono valorosamente all’ombra tricolore per l’Unità d’Italia e contro il brigantaggio meridionale.

Anche tra i volontari di Garibaldi combatterono numerosi Sardi al grido di “Viva l’Italia”. Lo stesso Eroe dei due Mondi, rientrato in Patria dal Sudamerica, elesse l’isoletta sarda di Caprera come sua residenza. Non l’avrebbe mai fatto se i suoi ospiti non si fossero ritenuti italiani a tutti gli effetti. Senza dimenticare la dedizione alla Patria (l’Italia) della Brigata Sassari durante la Grande Guerra.

L’indipendentismo Sardo si scontra con le esigenze culturali locali

Se, quindi non vi è alcun fondamento storico e tanto meno etnico alla base dell’indipendentismo sardo, non vi è nemmeno un fondamento culturale. I maggiori narratori sardi – Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Filippo Addis – hanno scritto in lingua italiana. Italiani a tutti gli effetti, inoltre, si sono ritenuti i più importanti uomini politici sardi del dopoguerra: Antonio Segni e Francesco Cossiga. Entrambi Presidenti del Consiglio e Presidenti della Repubblica. Così come i capi del maggior partito d’opposizione, Antonio Gramsci ed Enrico Berlinguer.

Gli indipendentisti si sono battuti per un riconoscimento giuridico della lingua sarda. E nel 1999 gli è stato accordato. Purtroppo l’amministrazione regionale non è riuscita a trovare una forma di standardizzazione dei vari idiomi locali. Si sono opposte le comunità che hanno voluto mantenere le rispettive varianti linguistiche.

Quale indipendentismo, se non si riesce a individuare una lingua ‘nazionale’?

Sostanzialmente, quindi, si è preso atto che il sardo – come lingua “nazionale” della Sardegna – semplicemente non esiste. Esistono bensì il campidanese, il logudorese e il barbaricino. Forse retaggio del latino che parlavano i discendenti degli Ilienses, dei Balàri e dei Corsi. A cui si sono aggiunti l’ogliastrino e, recentemente, il “terranoese”. Per non parlare del sassarese e del gallurese che sardi non sono bensì varianti del toscano medievale con aggiunte di genovese. Infine, a La Maddalena si parla il corso, nel centro di Alghero il catalano e nell’isola di San Pietro una variante del dialetto ligure. Insomma, paradossalmente, i Sardi per comprendersi tra loro, debbono parlare italiano.

Non esiste quindi un “etnia sarda”. È vero che il concetto di etnia, in ogni parte del mondo, lascia il tempo che trova. Ma, a maggior ragione, se non esiste un’unica lingua “nazionale”, non esiste nazione. Lo sanno bene i Croati, i Bosniaci e i Montenegrini che si sono inventati di chiamare diversamente il serbo-croato. Cioè la lingua unitaria ufficiale dell’ex Jugoslavia, che continuano a parlare con un nome diverso.

L’argomento principale contro l’indipendentismo: lo scudetto tricolore!

Come abbiamo visto, l’indipendentismo sardo non è supportato nemmeno da un’esigenza storica della popolazione. Perché l’unità della Sardegna si è formata solo grazie all’azione delle potenze continentali. Non grazie a un moto interno della popolazione, essendo etnicamente e linguisticamente differenziata. Tant’è vero che anche gli indipendentisti non riescono a mettersi d’accordo tra loro. E, come Solinas, sembra che vadano maggiormente d’accordo con i nazionalisti-sovranisti di centro destra. Nel 2014 alle elezioni regionali, oltre al PSd’Az, si sono presentati suddivisi in otto liste. Nel 2019, sono riusciti a coalizzarsi in tre “poli”. Nel 2023 sono confluiti nelle coalizioni nazionali. Solo quelli presentatisi con il centro-destra sono riusciti a ottenere tre seggi.

Ma forse c’è un solo argomento che possa far riflettere i nostri corregionali che si professano “indipendentisti”. Se cinquant’anni fa la Sardegna fosse stata indipendente, il Cagliari non avrebbe giocato in Serie A. Gigi Riva non avrebbe mai giocato con la maglia del Cagliari e il Cagliari non avrebbe mai vinto lo scudetto. Vi sarebbe convenuto?


[1] Mauro Peppino Zedda, Archeologia del paesaggio nuragico, Cagliari, 2009, pp.33-40.

Foto di cogitosergiosum da Pixabay

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