Sardegna, il complesso archeologico di Tamuli presso Macomer

Sardegna. Nei pressi di Macomer (NU) è possibile visitare una straordinaria area archeologica. In essa sorgono strutture erette in un arco temporale che possiamo tranquillamente valutare in almeno 1500 anni. Parliamo del complesso archeologico di Tamuli. Si trova a circa 6 chilometri dal centro del paese, sulla strada comunale Monte. Può essere visitato dalle ore 9:30 al tramonto, grazie alla collaborazione della Cooperativa Esedra.

La struttura più antica del complesso archeologico di Tamuli è il dolmen Su Edrosu. La parola dolmen proviene dal bretone “tol” (tavola) e “men” (pietre). È un tipo di sepoltura formato da pietre di grossa dimensione, una volta ricoperto di terra o di pietrame. Nella forma più semplice è un monumento edificato sopra terra, costituito da una lastra messa di piatto sopra altre tre messe di coltello.

 I dolmen sono strutture preistoriche comuni nell’Europa occidentale ma anche in territori bagnati dal Mediterraneo. In Italia, si trovano soprattutto in Sardegna e in Puglia. In analogia con altre strutture dolmeniche, possiamo datare il dolmen Su Edrosu all’eneolitico (2600-1800 a.C.). Purtroppo è in pessimo stato di conservazione. Orientato a sud-est, oggi è possibile appena individuarne la camera funeraria.

Tombe di Giganti, le sepolture megalitiche della Sardegna nuragica

Del periodo successivo – più propriamente “nuragico” – sono presenti nell’area un nuraghe e due “tombe di giganti”.  Sono riferibili all’età del bronzo medio o recente (1650-1200). Il nuraghe è stato edificato su un affioramento roccioso. Di tipo complesso, si riconosce appena che è costituito da un mastio e da un bastione bilobato. È infatti molto diroccato, così come il dolmen. Le “tombe di giganti” sono le classiche tombe monumentali del periodo nuragico.

La prima di esse presenta un corpo allungato e absidato, includente una camera funeraria e un’ampia esedra semicircolare antistante. Il corpo tombale, lungo una quindicina di metri per più di sette, è orientato a sud-est. Come la maggior parte delle strutture di questo tipo, la tomba presenta anteriormente un’esedra a forma di semicerchio, costituente un sedile formato da blocchi di pietre.

Al centro dell’esedra, l’ingresso alla camera è costituito da una lastra forata dal portello trapezoidale, sopra una soglia rialzata. Si pensa che sui sedili, in alcuni periodi dell’anno, i sacerdoti di epoca nuragica potessero assistere a particolari eventi astronomici. Probabilmente all’ingresso di un raggio di luce nel foro del portello d’ingresso della tomba a significare la resurrezione dei sepolti. La seconda Tomba di Giganti è anch’essa disposta a sud-est. È attualmente invasa dalla terra crollata. Tuttavia si può ancora individuare l’esedra e il profilo del corpo tombale absidato.

I betili, elementi sacri provenienti dall’oriente sino in Sardegna e in Etruria

La distruzione del nuraghe e della seconda tomba di giganti (forse anche del dolmen) è ricollegabile all’arrivo sull’isola di nuove genti. Si tratta dei gruppi geneticamente contrassegnati dal marcatore E1b1b (già denominato E3b1), provenienti dal Mediterraneo orientale. In particolare, provenienti intorno al 1200 a.C. dal corridoio siro-palestinese. Possiamo individuarli con l’indistinto nome di “Popoli del mare”. A tali gruppi va riferita la riutilizzazione del materiale per la realizzazione dell’adiacente “villaggio nuragico”.

A queste nuove genti di etnia cami-semitica possiamo anche riferire la realizzazione dei sei betili presenti nel complesso archeologico. I betili sono rocce lavorate in forma conica. I tre più alti misurano un metro e venticinque-uno e quaranta. Ciascuno di essi mostra due bozze di forma mammellare. L’identificazione di questi tre come di genere femminile mentre gli altri tre, lisci, come di genere maschile è ancora tutta da dimostrare. Così come il riferimento a presunti riti relativi alla fecondità maschile e femminile ivi celebrati.

Sicuramente, il culto relativo ai betili è originario delle culture cananee e fenicio-puniche (Beith-El=Casa di Dio). Una volta giunto in Sardegna, tramite i Popoli del mare, ci convince invece una sua possibile esportazione in area etrusco-laziale. In età del ferro (900-600 a.C.) potrebbe aver assunto, tra gli etruschi – ma anche nell’agro romano e latino – forma di pietra di confine, sacra al dio Termine. Forse a Tamuli, il betilo poteva contrassegnare il limite di un’area da non oltrepassare, sacra a misteriose divinità o agli antenati.

Foto di Peggy und Marco Lachmann-Anke da Pixabay 

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