I racconti di Chaucer e una vivace galleria di tipi umani

tipi umani

In letteratura sono diversi i luoghi forieri di imprevisti, incontri fortuiti, avventure o disavventure. Possono essere posti selvaggi e pieni di insidie come il mare, il bosco, il deserto… Ma anche ambienti cittadini e limitati come taverne o osterie. In I racconti di Canterbury (titolo originale Canterbury Tales, 1387-1388), l’ autore Geoffrey Chaucer sceglie proprio un’osteria come centro propulsore della storia. Questo perché si tratta di una dimensione realistica e domestica, perfetta per ospitare un incontro d’eccezione tra tipi umani che non hanno nulla di eccezionale. 

Il pellegrinaggio, la parità e la diversità

Nel Prologo l’io narrante racconta: «Un giorno […] mentre sostavo alla locanda del Tabarro in Southwark, pronto a mettermi devotamente in viaggio per Canterbury, ecco capitare verso sera una brigata di ben ventinove persone, gente d’ogni ceto trovatasi per caso in compagnia e tutti pellegrini che intendevano recarsi a cavallo fino a Canterbury. […] Stava appena per tramontare il sole che già avevo parlato con tutti ed anch’io ero ormai della brigata». Il gruppo è estremamente variegato, sia per carattere che per estrazione sociale. Sono poche le occasioni in cui nel Medioevo persone tanto diverse hanno la possibilità di trovarsi insieme. Una di queste è, appunto, il pellegrinaggio.

Nel rendere omaggio alle spoglie di san Tommaso di Canterbury, le differenze di ceto si appianano e ognuno risulta vestito solo della propria individualità. Tutti i pellegrini si trovano in condizione di parità e vanno verso un unico obiettivo. Per questo Chaucer non descrive i personaggi «nel giusto ordine, secondo il rango a cui appartengono», ma in ordine casuale. L’assenza di gerarchie è evidentemente un ingrediente fondamentale di I racconti di Canterbury, ma lo è altrettanto la bellezza della diversità. Nel Prologo vediamo che l’autore descrive i pellegrini nelle loro componenti fisiche, morali e sociali. Ne mette in risalto pregi, difetti e contraddizioni, dimostrando una capacità di introspezione psicologica rara nel XIV secolo.

Una vivace galleria di tipi umani e il confronto con il Decameron

Il Cavaliere, per esempio, è descritto come un «valent’uomo che fin da quando aveva iniziato ad andare a cavallo aveva amato la cavalleria, la lealtà, l’onore, la liberalità e la cortesia». Ha vinto ogni guerra o battaglia che gli si sia presentata davanti, ma «benché fosse valoroso, era prudente e, negli atteggiamenti, mite come una fanciulla». Allo stesso modo, la Priora ha il «sorriso semplice e modesto» di un’umile donna di chiesa ma anche l’abitudine «d’imitare le maniere di corte e d’aver modi dignitosi per esser stimata degna di riverenza». E che dire del Mercante che va in giro con la «veste variopinta» e gli «stivaletti con le belle fibbie finemente lavorate» nonostante sia pieno di debiti?

Si tratta di figure complesse, molto più umane e diversificate rispetto a quelle della brigata del Decameron. I personaggi della cornice boccacciana infatti sono più stilizzati e appartengono allo stesso ceto sociale. Come l’opera di Boccaccio, anche quella di Chaucer è una raccolta di novelle in cui ognuno dei personaggi (narratore compreso) deve raccontare una certa quantità di storie per trascorrere il tempo in modo più lieto. Ma mentre le novelle del Decameron non dicono nulla dei loro narratori, quelle di I racconti di Canterbury sono coerenti per forma e materia con la personalità e l’estrazione sociale di colui che racconta.

L’idea dell’oste e la sorte

L’idea di trascorrere il viaggio narrando storie viene dall’oste del Tabarro. Alla fine del Prologo egli afferma: «In breve, ecco il punto: ciascuno di voi, per ingannare il lungo cammino dovrà raccontare due novelle durante l’andata a Canterbury […] e durante il ritorno dovrà raccontarne altre due». Non ci sono né temi vincolanti né re o regine della giornata. Da questo momento ci saranno solo la strada (altro luogo di incontri e di frequentazioni variegate) e i racconti che si alterneranno sulla base di un’estrazione a sorte. Quella stessa sorte che è la più imprevedibile e anti-gerarchica delle forze.

Foto di Jose Antonio Alba da Pixabay

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