Guerra: un fenomeno innato o frutto di interessi?

Guerra

Nella storia dell’umanità, la guerra si erge come una presenza sinistra, un fantasma che segue le generazioni attraverso i secoli. Ma da dove ha avuto origine questo male che ha insanguinato le pagine della Storia e spezzato le anime degli uomini? 

Forse dovremmo risalire alle profondità dei tempi, alle lotte fratricide di Caino e Abele, un epitaffio sanguinoso inciso nella pietra miliare dell’esperienza umana per approdare alle spiegazioni fornite dalla moderna antropologia.

Guerra e antropologia: le tesi che vanno per la maggiore

L’antropologia, sebbene priva dei mezzi per risolvere i dilemmi della civiltà moderna riguardo al dramma della guerra, offre uno sguardo prezioso sulle civiltà presenti e passate e permette di studiare come le società affrontino o abbiano affrontato la loro carica di violenza. 

Si tratta di un tentativo di comprendere da dove scaturisca il desiderio di combattere, conquistare, annientare altre genti. Inoltre, l’antropologia cerca di capire se la guerra sia considerata una sorta di patologia culturale oppure se faccia parte della normale fisiologia dei sistemi umani di convivenza.

La guerra è un retaggio ancestrale? 

Caino e Abele, figli dell’Eden, furono i precursori di una tragedia che si ripete da millenni. La loro rivalità, alimentata da gelosia e disprezzo, generò il primo atto di violenza ed ha gettato le basi per una narrazione di sangue e sofferenza.

Da questo punto di vista, la guerra non è solo il frutto avvelenato dell’evoluzione umana, ma è il retaggio ancestrale, una maledizione ereditata di generazione in generazione.

La guerra, dunque, compagna oscura dell’umanità, si svela come una forza inesorabile, un riverbero di violenza che risuona nel DNA di ogni individuo. 

E dal punto di vista culturale-societario?

La guerra è anche un fenomeno sociale. Basta riflettere sui grandi miti di fondazione, sull’epica e sulle epopee che ancora oggi vengono tramandate nelle nostre scuole, a cominciare dalla guerra di Troia con le sue spietate carneficine e i suoi combattimenti che macellano i vinti.

Guerra: fenomeno politico o economico?

La guerra si manifesta in svariate forme, un groviglio di conflitti che scaturiscono da tante questioni, spesso “banali”, risolvibili politicamente con negoziati democratici, strada questa che, purtroppo, non piace agli autocrati arroganti.

Dunque, essa può scagliarsi contro gruppi organizzati militarmente o addirittura riversarsi su popolazioni inermi, spoglie di qualsiasi difesa o intento offensivo. 

Quello che emerge, come punto comune, è che quasi sempre la guerra si trasforma in un sistema di produzione che procura enormi vantaggi ai contendenti. 

In molti casi, si configura come un sistema alternativo di profitto, potere e protezione basato sulla depredazione delle risorse e della popolazione e si autoalimenta attraverso canali economici o bellici di paesi alleati.

In questa prospettiva percepiamo la guerra come una forza produttiva, un’entità che distrugge e, paradossalmente, crea. 

Essa può generare ricchezza, come dimostrano gli studi sulle economie di guerra, ma è anche un meccanismo di inclusione ed esclusione, un architetto delle relazioni e delle gerarchie sociali che persistono anche nei periodi di pace.

Un macabro spettacolo 

Nel dibattito sulla guerra, notiamo come essa si sia trasformata in uno spettacolo quotidiano, un’esperienza di emozioni dosate in modo tale da risultare “tollerabili” per le famiglie, un monito e un’educazione morale, un inferno esorcizzato dalla distanza e dalla condanna unanime. 

La guerra parla, si mostra, si rappresenta e noi assistiamo in diretta agli orrori senza scomporci più di tanto. Anche perché in fondo, non ci riguarda da vicino. 

Diventiamo spettatori di un evento programmato.

La violenza si sublima nell’immagine accecante delle scie luminose dei missili e nelle rovine che si riversano sulle vittime disperate. Si dissolve, diviene criptata o rimossa: è la violenza delle cose, dei sistemi di lancio, dei puntamenti, dei pulsanti che ordinano la disintegrazione di obiettivi senza visibile presenza umana. La violenza si manifesta a posteriori, come “conseguenza” e risultato. 

La volontà di uccidere assume una dimensione impersonale e non imputabile. L’azione si frammenta in una molteplicità di soggetti e parti e la responsabilità si dissolve.

Perfino le vittime vengono coinvolte e chi contrattacca, chi combatte contro la guerra, si trova suo malgrado immerso nel flusso omicida che subisce in prima persona.

Come si “combatte” le guerra? 

La guerra può essere combattuta solo con la guerra? 

Considerando i numerosi focolai in ogni parte del mondo, verrebbe da pensare che purtroppo la risposta sia affermativa.

Chi attacca e opprime è nel torto, chi si difende è nel giusto. Questo principio di base, semplice ed elementare, rimane una fonte di solidarietà e protesta: solidarietà con chi subisce, protesta contro chi infligge. 

Cosa possiamo fare per fermare i conflitti? 

Sicuramente non abbiamo il potere di risolvere i dilemmi che avvolgono la civiltà moderna riguardo agli orrori della guerra. Tuttavia, possiamo cercare di fornire un contributo. 

Potremmo, ad esempio, iniziare a capire chi sia il nemico e quali le sue reali intenzioni. In questo momento storico, l’odio tra popoli, alimentato da stereotipi di massa, è un fenomeno tanto pericoloso quanto vuoto. 

Dovremmo iniziare a vedere nell’altro un fratello, dovremmo entrare in empatia con le sofferenze e le necessità del prossimo.

Parallelamente, dovremmo prendere coscienza del legame tra il nulla che resta dopo la distruzione e il punto di partenza, l’origine dell’atto distruttivo.

La bomba esplode, ma nel nostro immaginario è quasi una finzione e la vittima diventa un numero da seppellire in una tomba comune. Ma non stiamo assistendo a una finzione scenica. E’ tutto reale. 

Non si può conquistare senza distruggere, né prendere senza togliere.

Non è questo il modo giusto per affrontare la vita. 

Il rispetto del prossimo è l’essenza per la convivenza civile dei popoli.

Foto di Defence-Imagery da Pixabay

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