L’Ermetismo delle origini spiegava che esistono tre strumenti per l’ascesa verso la dimensione della spiritualità: la parola, la scrittura e la preghiera.
Ermetismo e l’esercizio della pietà
Ermetismo. Nel «Discorso segreto di Hermes Trismegistos al figlio Tat, tenuto sulla montagna, riguardante la rinascita (παλιγγενεσία) e la regola del silenzio», Hermes terminava il dialogo con un’esortazione all’esercizio della pietà al fine di elevarsi.
Indicava poi tre strumenti importantissimi per l’ascesa: la parola, la scrittura e la preghiera.
La trasmissione dell’insegnamento per l’ermetismo
Ma di quale “Logos” parlava Hermes?
Esso era riferibile a un ciclo di insegnamenti, in forma dialogica, propedeutici all’approfondimento di argomenti di ordine teologico e religioso.
La “Parola rivelata” veniva poi tramandata attraverso la scrittura al discepolo.
In questo modo il destinatario del logos compiva un percorso di perfezionamento durante la vita, aperto in prospettiva escatologica e finalizzato al contatto “visionario” con la divinità.
Il rituale di elevazione
Il “paradosis”, cioè la tradizione che passava da maestro a discepolo in forma orale e letteraria, implicava dei “gradi” successivi (βαθμοί), in cui il dato esperienziale, (uso di scritture e insegnamento orale) si coniugava in maniera strutturale.
Si delineava pertanto una procedura di tipo “iniziatico”, volta appunto ad approdare all’esperienza visionaria di contatto con il divino.
Ma c’è di più.
Il rapporto fra maestro e discepolo si estendeva non solo al singolo, ma ad un’intera comunità di fratelli.
Essi erano accomunati dagli stessi interessi (quali ad esempio la comprensione dei misteri sulla Natura e sulla creazione) e dai medesimi intenti di ascesi e perfezionamento.
Utile precisare che l’ascesa era realizzabile solo attraverso la purificazione dalle «punizioni irrazionali della materia», ossia dalle diverse passioni.
A questo punto interveniva la preghiera…
Il ruolo della preghiera nel rituale
Il rituale era sanzionato dalla preghiera e dall’attesa di un conferimento dello spirito da parte della divinità, quale “condicio sine qua non” affinché si potesse procedere nella rivelazione.
Tale connessione fra esperienza religiosa di tipo estatico e redazione scritta della rivelazione veniva infatti definita quale «eulogia in forma di inno» (preghiera) che Hermes aveva udito cantare dalle Potenze.
Ecco perché il Trismegisto, concludeva il suo dialogo con un peculiare atto devozionale, cioè con la declamazione di quella «hymnodia segreta» quale veicolo di espressione della propria visione teologica, in cui la divinità era esaltata sotto il duplice segno dell’«Uno e del Tutto».
L’aspetto “magico”
Ma il rituale non finiva con la preghiera. Dopo un ulteriore inno di lode e di benedizione rivolto alla divinità, si evocava ancora una volta il “misterioso”, per nome divino, attraverso una sequenza vocalica fatta di “formule magiche”.
Questa era una caratteristica assai comune nell’antico Egitto.
Diverse testimonianze attestano infatti che presso la popolazione, dopo la rivelazione si redigevano libri contendenti il logos.
Questi venivano successivamente incisi in un luogo sacro (su delle steli) a garanzia della loro persistenza imperitura, per evitare ogni dissacrazione della loro integrità o trasgressione delle regole etiche e religiose.
Una condizione era posta infine alla loro conoscenza: essi potevano essere letti soltanto da chi avesse sperimentato la “generazione in Dio”, ossia avesse compiuto il processo spirituale descritto nei libri medesimo, e non fosse dunque ancora fermo al livello dei “Discorsi generali e propedeutici”.
Ai testi quindi venivano apposti dei solenni giuramenti, in nome dei quattro elementi e delle potenze cosmiche, al fine di garantire protezione divina a quanti li avrebbero osservati e punizione ai trasgressori.
Foto di congerdesign da Pixabay
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