Preghiera: i quattro ingredienti per formularla correttamente

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La preghiera aiuta a connetterci con il divino. Scopriamo i “quattro ingredienti” che non dovrebbero mai mancare quando ne formuliamo una

La preghiera tra religione e spiritualità 

La preghiera (dal latino popolare precaria, sostantivazione femminile dell’aggettivo precarius = “ottenuto con preghiere”), è talora considerata, erroneamente, come una sorta di “formula magica” attraverso cui chiedere qualcosa al divino.

Se ci limitiamo alla sola richiesta formale rivolta a un Dio che vive in un cielo lontano o a una statua “simulacro”, la preghiera può trasformarsi in un atto di pigrizia, pieno di superstizione e feticismo.

Possiamo infatti rivolgerci a una statua o stare quindici giorni in un ritiro, ma se non ci sentiamo adatti a un determinato precorso, la preghiera diventa solo un pretesto per fuggire da qualcosa o da noi stessi. Tutte caratteristiche che non ci portano da nessuna parte.

In certi casi, può persino ridursi a un “cerotto per la coscienza”.

La preghiera è ben altro…

Gli “effetti naturali interni”

Le persone vogliono che faccia tutto io e non si rendono conto che sono loro ad avere il potere. Vuoi vedere un miracolo figliolo? Sii tu il miracolo”- diceva Morgan Freeman nel film del 2003 “Una settimana da Dio”.

Ebbene, la preghiera dovrebbe essere sì, un dialogo a due con il divino, può sussistere anche come richiesta di aiuto o di supporto morale, ma deve nascere dal profondo delle nostre viscere, per poi essere esternata e formulata nella maniera più sincera e corretta.

In aggiunta, affinché non sia solo un automatismo privo di contenuto, il richiedente dovrebbe mettere in campo delle intenzioni.

In questo caso, diventa una forza che scatena in noi grossi cambiamenti, portandoci a un miglioramento spirituale.

I “quattro ingredienti” 

La preghiera è davvero efficace, quando l’intenzione di chi la recita è l’espressione della sua più alta e vibrante aspirazione “trasformativa”,  ripulita da ogni schema di calcolo condizionato e condizionante.

Occorre in pratica seguire gli obiettivi dell’anima e non della mente.

Quattro sono gli ingredienti imprescindibili della “formula”:  

Mi auguro che: ad esempio, che la mia vita possa prendere una direzione diversa;  

Mi auguro un desiderio x:  cosa desidero veramente nella mia vita, ricordando che è importante rivolgere una richiesta quanto più precisa possibile. Se vogliamo realizzare un desiderio, dobbiamo pensare di paragonarlo alla più grande opera che un artista abbia mai creato. In questo modo la vibrazione che è nel nostro corpo sarà libera di esprimersi alla massima intensità;  

Lo voglio: chiediamo al divino di portarci sulla strada giusta, appellandoci a tutta la nostra forza di volontà. E’ la voglia di cambiare qualcosa, di lasciare un segno, il bisogno di esprimerci e di essere sentiti; 

Me lo merito: mai sottovalutare il fatto che meritiamo ogni bene e felicita “per diritto di nascita”

Possiamo infine concludere la preghiera con un bel ringraziamento.

Diventare preghiera 

Oltre a chiedere, non dobbiamo mai dimenticare che la preghiera deve anche presupporre il “sacrum facere”, l’offrirsi al divino, il diventare noi stessi preghiera, il suo bersaglio, non la freccia. 

La preghiera universale 

Se la preghiera “intima”, presuppone un rapporto a due tra soggetto e divinità, la preghiera “collettiva”, sia pure su un piano inferiore ed educativo, ha anch’essa una sua efficacia.

Ha valore come mezzo, perché nella collettività, ciascuno guarda e ascolta l’altro, comprende di essere parte del tutto, che non esiste separazione, che siamo tutti distinti ma non separati.

In questo caso si può produrre l’”effetto Maharishi”, formulato da Maharishi Mahesh Yogi, il guru indiano fondatore della tecnica conosciuta come Meditazione Trascendentale.

In pratica, il guru sosteneva che il cervello umano, grazie alla preghiera collettiva, sarebbe in grado di contrapporsi a campi elettromagnetici annullandone alcuni nefasti effetti, e aiutando l’essere umano a vivere in armonia con il Cosmo.

Preghiera o mantra?

Che recitiamo una preghiera (il rosario ad esempio) o un mantra, a livello pratico e teorico, la ripetizione aiuta a rallentare i pensieri, a tornare nel qui e ora, a connettere pensiero e parola. Crea un effetto ipnotico in cui un solo suono, ripetendosi, non lascia spazio ai pensieri ridondanti e inutili che ci attanagliano.

La preghiera è in grado di spegnere la mente con il potere del cuore, per creare oltre la mente. E’ uno “spegnere sé stessi per creare oltre sé stessi”.

Attraverso la preghiera “consapevole” ci renderemo conto che non esistono obiettivi irraggiungibili e che, per tornare all’aforisma del film “Una settimana da Dio”, possiamo veramente essere noi il miracolo.

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