Dusty, come polvere

Secondo l’interpretazione onirica, sognare la polvere non è di buon auspicio. Da un lato essa è simbolo di trascuratezza, immobilità, di un passato che torna a bussare; dall’altro può essere un monito a reagire, un invito da parte della nostra coscienza a non aspettare che le opportunità piovano dal cielo, ma piuttosto a combattere per i nostri desideri e ciò che amiamo. La polvere è non di rado causa di numerose allergie, allo stesso tempo incentivo a scrollarci di dosso il fermo immagine di una realtà che non evolve più e che sentiamo stretta. Perché la staticità è solita attirare altra polvere, rendendoci nel tempo più ermetici, freddi, intolleranti al cambiamento e al fluire della vita.

Eveline, di James Joyce

L’idea di una vita stagnata è ben resa dall’autore irlandese James Joyce in “Eveline”, quarta delle quindici novelle contenute nella raccolta “Dubliners”, (in italiano) Gente di Dublino, pubblicata nel 1914. Nelle righe di apertura, Eveline siede alla finestra; contempla la sera che avanza lungo il viale, respirando l’odore polveroso delle tende di cretonne. La polvere in casa continua ad accumularsi indipendentemente dalla frequenza con cui Eveline effettua le pulizie; a nulla serve soffiare sulle superfici. Ma ad essere impolverato, prima di ogni altra cosa, è il suo cuore. Eveline è stanca, spenta, sfibrata da una vita che non vuole; neppure la partenza ormai vicina e la possibilità di fantasticare su un nuovo capitolo della propria esistenza sono per lei motivo di sollievo ed entusiasmo.

Eveline è la storia di un amore infranto e di una ventata di aria fresca che aspetta solo di essere seguita con un po’ di fiducia e un pizzico di coraggio: salendo su una nave diretta a Buenos Aires insieme al ragazzo che ama e che ha saputo regalarle gioie, Eveline, giovane irlandese, potrebbe finalmente dare una scossa alla propria vita. Eppure vi rinuncia; abbandona il sogno d’amore e l’idea di un importante cambiamento, rimanendo piuttosto ancorata a una realtà che non desidera e a una promessa fatta alla mamma prima di morire: tenere insieme la famiglia il più a lungo possibile. Il desiderio di lasciare Dublino è indubbiamente vivo in Eveline, che riesce a raggiungere il porto nonostante dubbi e paure, ma quando giunge il momento di imbarcarsi, i suoi rimorsi e timori riescono purtroppo ad avere la meglio.

Perché Dublino?

La polvere ricorre con frequenza nel racconto e nella vita di Eveline; essa rappresenta la monotonia della sua quotidianità, costretta a vivere una routine soffocante e un’esistenza fatta di sacrifici e restrizioni, in compagnia di un padre violento. La piattezza di Eveline è tuttavia, secondo Joyce, rappresentativa della vita dublinese. Ed è questa la riflessione che l’autore intende portare nelle sue opere: Dublino è, a parer suo, il centro della paralisi umana – paralysis – e dell’immobilità.

James Joyce è lo scrittore più originale del suo tempo. Nato a Dublino, studia in una scuola di gesuiti; vive principalmente all’estero, senza mai dimenticare la sua patria. Egli vede nella sua città natale la tipica realtà abitata da individui beghini, afflitti e incapaci di agire. Secondo Joyce, la religione, insieme alle forze politiche, culturali ed economiche del tempo, è il male dell’uomo, causa del suo atteggiamento servile. Joyce sceglie Dublino come ambientazione di tutte le sue opere perché il suo intento è rappresentare la realtà di “persone ordinarie impegnate a svolgere cose ordinarie e a vivere vite ordinarie”; la loro unica via di fuga e salvezza sarebbe quella di lasciare il paese e ricominciare altrove.

Le sue opere narrano di situazioni quotidiane in cui nulla sembra accadere, in verità il racconto è ricco di intensi momenti introspettivi e presa di coscienza. La paralisi è l’aspetto che caratterizza i personaggi e la città di Dublino: la paralisi delle emozioni e delle volontà caratterizza l’uomo moderno, impedendogli di muoversi e di realizzare i propri sogni. Il desiderio di sottrarsi a questa situazione non si traduce tuttavia in una definitiva presa di posizione; altro non resta a tal punto, almeno per i protagonisti di Joyce, che accettare il fallimento, proseguendo passivamente nella loro vita.

Epiphany, dal greco: apparizione

La narrazione in Joyce è realistica ed essenziale; abbondano piuttosto dettagli esterni e simboli dal significato generalmente profondo. Nel tentativo di condurre il lettore verso una riflessione capace di esplorare le emozioni e i processi mentali più intimi dei suoi Dubliners, Joyce ricorre alla tecnica dell’epifania – epiphany – e del flusso di coscienza – stream of conosciousness.

Lo stream of conosciousness è un processo mentale attraverso cui l’autore cerca di descrivere ciò che accade nella mente dei suoi personaggi e nel loro subconscio. Joyce lascia che siano i loro pensieri a parlare, a rinarrare dell’esistenza del personaggio direttamente al lettore. Elemento portante del flusso di coscienza e del contestuale monologo interiore diretto – direct interior monologue – del protagonista è l’epifania, epiphany. Dal greco epifania, apparizione: un’improvvisa intuizione provocata da uno o più elementi di per sé banali, inseriti all’interno della narrazione – un gesto, un oggetto, una situazione, un momento, un profumo, una luce, un suono – in grado di portare nel soggetto un’inaspettata autorealizzazione del sé e in merito alla realtà che lo circonda.

Capire il senso dell’epiphany nelle narrazioni di James Joyce è pertanto la chiave di lettura delle sue opere e stesse intenzioni. L’episodio descritto è apparentemente poco importante, tuttavia essenziale per la vita dei personaggi e quindi per un’efficace comprensione da parte del lettore. Nel caso di Eveline, ad esempio, una fotografia ingiallita, un harmonium impolverato, la polvere delle tende sono all’apparenza dettagli superflui; un’analisi più approfondita permette tuttavia di gustarne la funzione rivelatrice, ovvero quella di fornire chiavi interpretative dei sentimenti e degli stati d’animo della ragazza: rassegnazione all’incertezza e all’inesorabile scorrere del tempo, incapacità di ottimizzare e carpire la concreta occasione di nuovo inizio, il senso di abbandono, trascuratezza e paralisi.

Foto di MichaelGaida da Pixabay

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