David Bowie: dove la superfice era la sostanza

Compiere gli anni, uscire con il nuovo disco e poi morire.

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L’8 celebravamo il suo compleanno, ricordando l’avanguardia rock che ha mostrato al mondo. Oggi dobbiamo parlare della sua morte.  Il Duca Bianco, quello che rese glam il rock, è scomparso stamani. David Bowie non c’è più.

Camaleonte del 900, figlio di Andy Warhol,  con cui ebbe una grandissima amicizia. Avevamo aperto il 2016  proprio con il suo compleanno,  l’8 gennaio, dicendogli  “è una percentuale della tua vita che se ne va”, riportando una sua citazione.  Avevamo omaggiato il suo ultimo album.  Avevo scritto di lui con emozione, è uno dei miei artisti preferiti, molti ragazzi degli anni ’80 come me, lo adorano.

E’  ancora e lo resterà per sempre, uno dei nostri amati artisti preferiti e non riusciamo ancora a  parlarne al passato, impossibile ancora crederci;  tutto in tre giorni, vivere, suonare e morire. Invece la notizia della sua malattia, prima smentita poi confermata è reale da stamattina in ogni rivista, lancio di agenzie, quotidiani. “Ma dai forse è andato in qualche Pianeta” “ forse si sta nascondendo per farci uno scherzo” “ forse è andato proprio sulla “Stella Nera” e guarda la Terra con orrore”, “spegnete il cielo e riponete le stelle”, “Dio è morto, incredibile, è un vuoto incolmabile” “ Se davvero c’è Vita su Marte, portaci con te” ( questi sono solo alcuni dei tantissimi commenti dei fans sui social network, scatenati da alcune ore).

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Negli anni ‘70, la profondità intellettuale del suo lavoro, la voce particolare e l’originalità di tutti i suoi progetti lo trasformarono  in uno del maestri del glam rock, fino ad oggi, fino all’11 gennaio 2016. Poliedrico artista, attore, produttore discografico e anche venerata icona pop e della moda per la sua tendenza a provocare ed a giocare con la sua immagine. Eccentrico, inimitabile, fantasioso, surreale, giocoso, di grande spessore intellettuale; il suo “Ziggy Stardust”, un extraterrestre bisessuale e androgino, diventato stella del rock, sintetizzò due delle sue passioni/ossessioni: il teatro giapponese Kabuki e la fantascienza. Tanti alter ego alla sua carriera creativa, il Duca Bianco, personaggio e persona di una purezza ed artisticità inarrivabili. Avevamo detto soltanto tre giorni fa della sua sfolgorante carriera, 50 primavere di arte, il suo primo singolo, Can’t help thinking about me, venne pubblicato il 14 gennaio del 1966, a nome di David Bowie e The Lower Third. Sette anni dopo era già un mito giovanile, il fondatore del glam rock, padre putativo di buona parte della generazione del rock inglese degli Oasis e prima ancora dei Roxy Music, ma anche altri meravigliosi artisti raggruppati sotto questa definizione “glam”, come Elton John, Rod Stewart, Roy Wood,

Il glam rock, lo ricordiamo in questa triste giornata di gennaio, definito in passato anche come glitter rock, emerse nei primi anni ‘70 in seguito al fenomeno hippie e come antidoto all’eccessiva “serietà” del momento storico. Questo fenomeno si sviluppò quasi interamente nel Regno Unito e divenne largamente popolare durante la prima metà degli anni settanta. Il primo uomo che fece da ponte tra l’era hippie e la nascita del glam fu  l’ex modello Marc Bolan, il primo ad indossare scialle di piume, lustrini e cilindro, ma fu proprio David Bowie a consacrarlo ed a farlo diventare un mito, con vestiti bizzarri, trucco coloratissimo, piume di struzzo, look androgino, tagli pre-punk, grande teatralità.  

Cinema e teatro, arte, musica ma anche colonne sonore, sono stati i suoi grandi marchi di fabbrica ( Noi, i Ragazzi dello Zoo di Berlino – colonna sonora completamente composta da David Bowie, tra il 1975 e 1977).

Trovare ora un modo per dire addio a questo grande artista? No, non c’è;  lasciarlo andare sembra impossibile, ascoltarlo ancora, facendo dello stile parte del suo messaggio. Ti dico arrivederci,  icona pop art dove la “superfice era sostanza”.

I personaggi leggendari, in fondo, non muoiono mai.

Ancora una volta, grazie al sito http://www.davidbowie.com/

Alla pagina ufficiale Facebook

di Alessandra Paparelli

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