Dall’antico al comico: il cinema muto italiano

cinema muto

Il tipo di esigenza che il cinema italiano ricerca sin da subito è quella di ritagliarsi un proprio spazio presso gli ambienti altolocati. Le città che investono maggiormente nel cinema sono Torino, Roma, Milano e Napoli ma queste ultime due col tempo perderanno una certa centralità.

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento vi è la riscoperta della romanità e dell’antico in generale e si riprende in considerazione un passato considerato glorioso. Il cinema italiano inizia quindi con l’essere un cinema storico-mitologico ed è quello per cui l’Italia diventerà famosa in tutto il mondo. Vi è la ricerca e la creazione di un forte impianto spettacolare con film come Quo vadis e simili. Da questo momento si genera un vero e proprio fenomeno cinematografico, a cominciare dal primo film italiano del quale si ha conoscenza, ovvero La presa di Roma del 1905 di Filoteo Alberini, un cortometraggio della durata di ca. 10 minuti, fino al vertice raggiunto nel 1914 con Cabiria. Il cinema italiano di qualità si caratterizza per ricerca di espressione artistica a differenza del cinema americano (anche se una tale caratteristica può presentare delle debolezze in quanto non basta una bellissima sceneggiatura per la riuscita di un film). In Italia quindi in questo periodo si dà più importanza ad ogni singolo elemento (sceneggiatura, attori, ecc.) seguendo un sistema di canoni estetici di riferimento per arrivare ad una nobilitazione delle varie parti.

Cabiria, 1914

Il film Cabiria di Giovanni Pastrone è con ogni probabilità il più famoso film colossal muto italiano, nonché il più lungo (ca. 3 ore e 10 minuti di durata). Fu girato a Torino e in altre località italiane, anche all’estero: ciò comportò una serie di spese di viaggio che, sommate alle spese per la sontuosa scenografia, i costumi, gli attori e tutto il resto, conferirono al film il primato per il lungometraggio più costoso di quei tempi.

Il film si apre con una didascalia iniziale nella quale non viene nominata la casa di produzione o altro ma solamente il sottotitolo Visione storica del terzo secolo a.C. . I principali soggetti per la scrittura del lungometraggio furono estrapolati da due testi in particolare, ovvero Cartagine in fiamme di Emilio Salgari e Salammbô di Gustave Flaubert. Le scene sono intervallate da delle didascalie letterarie ideate dal poeta Gabriele d’Annunzio, al fianco di Pastrone come sceneggiatore: d’Annunzio in particolare si occupò sia delle didascalie, di carattere aulico e sontuoso, sia della scelta dei nomi dei personaggi. E’ d’Annunzio stesso infatti ad aver scelto il nome “Cabiria” come titolo; Cabiria significa “nata dal fuoco” ed è il nome della fanciulla protagonista che il dio Moloch desidera sacrificare.

Per quanto riguarda la composizione della colonna sonora, Pastrone scelse di commissionarla al maestro Pizzetti Ildebrando il quale compose solo parte della musica mentre il resto venne realizzato dal compositore e suo allievo Manlio Mazza.

L’uso delle didascalie era molto diverso rispetto a quelle dei film americani poiché impone un ritmo di lettura incredibilmente veloce, elemento che stona con la grande quantità di analfabeti che ancora popolava l’Italia di quegli anni. Dobbiamo quindi pensare ad un cinema letterario e, come si diceva in precedenza, indirizzato agli ambienti altolocati.

Questo cinema non presenta l’elemento narrativo come aspetto cruciale, piuttosto un gusto per lo sfarzo e l’estetica in quanto tale. Le scenografie non sono più realizzate in carta pesta ma sono totalmente ricostruite, portando sulla scena uno sfarzo scenografico considerato esagerato e stucchevole al giorno d’oggi, il tutto all’insegna della combinazione tra antico e nuovo (si usa il cinema contemporaneo per rappresentare la bellezza dell’antico) in un clima espressivo quasi di stampo poetico, così come poteva essere la poetica di d’Annunzio.

Venne utilizzata per la prima volta la tecnica del carrello, ovvero una macchina da presa sui binari: in tal senso cambia il nostro modo di guardare, e la nostra percezione. Lo spettatore percepisce la possibilità di potersi muovere, a differenza dello zoom, un procedimento ottico dove viene compresso lo spazio.

Un personaggio importante del film è sicuramente Maciste (forse un riferimento a Mussolini), interpretato dal pescatore Bartolomeo Pagano. Da qui in poi si svilupperà un filone di forzuti che avranno successo in Italia e nel resto del mondo: il punto clou del film è infatti rappresentato da Maciste che salva Cabiria e combatte contro i cattivi.

Il cinema delle dive

Accanto alla valorizzazione del genere storico-mitologico abbiamo la recitazione delle attrici considerate dive del cinema. Le dive erano i modelli estetici di quell’epoca in quanto venivano “divinizzate” come dee. Si fa leva sulla bellezza del volto e del corpo, visto che ancora non si comunicava a parole. Le dive erano dei personaggi che gradualmente, film dopo film, potevano esser ricordate per delle determinate caratteristiche, estetiche ed espressive, portando gli spettatori ad affezionarsi a loro e a riconoscerle nei loro film successivi.

Una delle dive più famose dell’epoca è Lyda Borelli e tra i suoi film più celebri ricordiamo:

1) Malombra del 1917 di Carmine Gallone, film drammatico tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Fogazzaro del 1881 e che inaugurò con molta probabilità il genere gotico nel cinema italiano. Il film non viene presentato come un cortometraggio qualunque, bensì come una “interpretazione speciale della diva Borelli”, a differenza dei film americani dove gli attori non venivano nemmeno menzionati. La pellicola ricorda un insieme di quadri poiché anche in questo caso l’aspetto descrittivo prevale su quello narrativo; il gesto deve avere un significato immediatamente percettibile, pertanto in mancanza della parola viene estremizzato dalla diva stessa che recita.

2) Rapsodia satanica del 1917 di Nino Oxilia, considerato il culmine per un certo tipo di cinema. E’ un cinema di arte liberty con tutte le componenti potenziate al massimo livello. Narra la storia di un patto stipulato tra una donna anziana dell’alta società (Lyda Borelli) e Mefisto per riottenere la giovinezza di un tempo, in cambio perà la donna non doveva innamorarsi. La colonna sonora è stata composta dal celebre Pietro Mascagni.

Tra le dive più conosciute troviamo anche Francesca Bertini (Assunta Spina 1915, ambientato nei bassifondi napoletani) ed Eleonora Duse “la Divina”, la diva più famosa nonostante abbia recitato in un solo film, ovvero Cenere del 1916, tratto dall’omonimo romanzo del 1904 di Grazia Deledda. Duse è diversa dalle altre dive: ha 58 anni e difatti viene quasi sempre ripresa di spalle, come se si nascondesse dalla cinepresa. I suoi gesti non sono plateali, piuttosto sono semplici ed aggraziati: Duse afferma infatti di essersi ispirata al ciclo di affreschi di Giotto della basilica di S. Francesco di Assisi per recitare la sua parte.

Il cinema comico italiano

Altro genere degno di esser menzionato è il genere comico importato dalla Francia. Il personaggio più conosciuto di quei tempi è Cretinetti, un personaggio comico ideato ed impersonificato in Italia da André Deed e che riprende il celebre Polidor di Ferdinand Guillaume, un artista francese naturalizzato italiano. Il genere comico aveva il compito di risollevare il morale proprio negli anni nei quali si preannunciava la prima guerra mondiale.

Troppo bello! di Cretinetti del 1909 rappresenta appieno questa nuova corrente cinematografica che stava iniziando a prender piede poco alla volta. Il cortometraggio è all’insegna dell’esagerazione e dell’eccesso, a partire dal vestiario di Cretinetti, anch’esso enfatizzato in maniera quasi grottesca con il cappello enorme e le grandi scarpe a punta, il tutto finalizzato al rendere la pellicola buffa e divertente. In mancanza di parole e di colori, si doveva puntare a ciò che si vedeva, di conseguenza un’espressività accentuata ed un’amplificazione di situazioni assurde (come ad esempio la caduta a terra o uno scherzo improvviso recitato in maniera quasi teatrale) contribuisce alla buonuscita del cortometraggio suscitando l’ilarità del pubblico.

L’uomo meccanico del 1921 è considerato con molta probabilità il primo film italiano di fantascienza che è pervenuto a noi (nel 1920 venne girato Il mostro di Frankenstein diEugenio Testa tratto dal celebre romanzo di Mary Shelley ma la pellicola è andata perduta). Anche L’uomo meccanico stava rischiando la stessa sorte ma fortunatamente vennero scoperti ca. 740 metri di pellicola di una versione portoghese a San Paolo in Brasile presso la Cinemateca Brasileira. Nel 1992 la Cineteca di Bologna si occupò della restaurazione restituendoci 26 minuti di cortometraggio; la versione intera originale doveva essere di circa 60 minuti e nelle parti perdute vi sono le scene iniziali della pellicola nelle quali lo scienziato protagonista costruisce una macchina del tutto simile a un uomo.

Tra gli elementi considerati fantascientifici all’epoca vi è la presenza del robot che viene comandato a distanza attraverso uno schermo, un elemento che preannuncia la nascita della televisione. Le caratteristiche del robot saranno fonte d’ispirazione per i futuri film americani di fantascienza degli anni Cinquanta.

Foto di Christian da Pixabay

1 risposta

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.