Solo poco tempo fa è rimbalzata, su quotidiani e riviste scientifiche, la notizia che le impronte digitali non sarebbero più “così uniche”; difatti l’Associazione Americana per l’Avanzamento delle Scienze (Aaas) ha pubblicato, nel mese di settembre, un interessante rapporto in cui ha evidenziato la mancanza di un metodo scientifico che garantisca, senza ombra di dubbio, la rispondenza di determinate creste e solchi a un unico individuo.
Lo studio, rientrante in un progetto volto a stimare l’accuratezza delle scienze forensi, è stato realizzato da un team di quattro esperti: lo statistico Joseph Kadane, lo scienziato forense John Black, il professore di criminologia William Thompson e l’ingegnere biometrico Anil Jain.
La ricerca si concentra sulle difficoltà nell’esame delle impronte digitali latenti vale a dire quelle tracce, invisibili a occhio nudo e rilasciate dalle secrezioni dei pori, che possono essere evidenziate solo da trattamenti specifici che variano in base alla superficie di rilascio.
Quante volte abbiamo visto telefilm con l’Horatio Caine (protagonista del telefilm CSI: Miami) di turno che, armato di pennellino e polveri e tutto il kit del “perfetto investigatore”, esalta sulla scena del crimine un’impronta, la compara al profilo di un soggetto e assicura il colpevole alla giustizia?
Ecco, secondo il report dell’Aaas, questi elementi andrebbero valutati con un maggior rigore scientifico.
Il giudizio finale sulla compatibilità di un’impronta, anche laddove si utilizzino sistemi automatizzati e database, è lasciato sempre all’esperienza e al parere dell’esaminatore che analizza i dermatoglifi (le figure di vario tipo che creste e solchi formano sui polpastrelli) e li confronta con quelli conosciuti verificando eventuali tratti comuni.
Questa procedura ben può essere inficiata da errori umani di misurazione, affatto improbabili; a influenzare l’esito concorrono i diversi gradi di formazione e capacità degli analisti oltre che il pericolo, sempre in agguato, che l’esperto sia suggestionato dalle molteplici notizie che emergono dall’indagine criminale.
A tal proposito, l’Associazione suggerisce il perfezionamento di quei sistemi automatizzati, citati poc’anzi, che sono un valido supporto alle forze di polizia nella riduzione delle tempistiche, poiché idonei a individuare figure simili, ma che a oggi non riescono a far combaciare una traccia ignota ad un’impronta nota, tantomeno a pronunciarsi sulla validità del riscontro.
La questione del report si gioca poi su un terreno allarmante, sulla mancanza di basi scientifiche che confermino, in modo infallibile, l’appartenenza di quel disegno a una singola persona pertanto, dice la ricerca, “qualsiasi aspettativa che gli esaminatori di stampa latenti possano avere su quest’argomento si basa su speculazioni e congetture, piuttosto che su prove empiriche” non avendo possibilità di stimare quanti individui nel mondo potrebbero esibire caratteristiche simili.
La notizia, indubbiamente, indebolisce il muro della certezza del diritto.
Da ormai cent’anni le impronte digitali, immutabili in ogni persona, hanno stretto il dominio sul campo dell’identificazione e sono entrate nelle aule dei tribunali, talora conducendo ad inaspettate svolte investigative.
Joseph Kadane, lo statistico del gruppo, ha osservato che le politiche devono ora riformarsi, i sistemi giudiziari non devono reputare esatta la “scienza dei polpastrelli”: gli operatori del diritto possono usare le impronte solo per ridurre la rosa dei sospettati o collegare casi simili, mai come strumento d’identificazione assoluta, sempre come prova circostanziale.
“Questa valutazione – scrive il rapporto – ha lo scopo di indicare dove la pratica forense è ben fondata nella scienza e dove non lo è, e di produrre un programma di ricerca che serva da base per arrivare a metodi forensi che ispirino una maggiore fiducia nel nostro sistema di giustizia penale.”
L’inchiesta dei quattro studiosi ha la caparbietà di stringere il pugno intorno alle impronte digitali, da tanti definite come “l’unica prova oltre ogni ragionevole dubbio”, ha il coraggio di contrastare oltre un secolo di convincimenti tecnici e popolari, ha l’audacia di minare alle fondamenta delle scienze forensi ma, soprattutto, ha la potenzialità di riscrivere l’esistenza della dattiloscopia.
Qualunque scenario ci riservi il futuro, ormai il dado è tratto!
di Arianna Di Pace
Sei molto “pulita” nello scrivere articoli, è un piacere leggerli. Sai catturare l’attenzione del lettore in modo eccezionale, complimenti.