Caravaggio: la giovinezza tra opere e risse da strada

i bari
I bari

Caravaggio, pseudonimo di Michelangelo Merisi, (1571 – 1610) è stato uno dei più celebri pittori italiani. Durante la sua carriera artistica soggiornò a Milano, Roma, Napoli, Malta Siracusa e Messina. Maestro del chiaroscuro, dell’osservazione “dal vero” e attento nella ricerca dell’introspezione umana, la sua pittura fu determinate per la nascita della corrente barocca del XVII secolo e la sua fama fu tale da creare una corrente artistica detta appunto caravaggismo.

Come la sua pittura anche la sua vita fu scandalosa

Prima di lui altri grandi artisti furono dei “fuorilegge”: Duccio di Boninsegna era un ubriacone e un violento, il Perugino amante delle risse e delle zuffe da strada e finì in prigione svariate volte, Benvenuto Cellini fu più volte accusato di frode, sodomia e anche di omicidio.

Caravaggio, nonostante le varie incarcerazioni, riuscì a lavorare a grande velocità, direttamente sulla tela e grazie anche ai suoi potenti protettori che riuscirono a strapparlo da una prigione all’altra… ma sempre con maggior difficoltà. Dal carcere di Malta riuscì infatti a evadere, accusato di pedofilia.

Quando morì in modo misterioso, forse assassinato su una spiaggia a nord di Roma, non aveva neanche 40 anni

Reagendo alla “maniera” accademica e leziosa del suo periodo, impose un nuovo linguaggio realistico e diretto, cogliendo in ogni soggetto l’attimo drammatico, trovando ispirazione per i suoi modelli direttamente dalle strade e dalle taverne, anche per le scene sacre. In tal modo proclamò la supremazia della sua arte, dettata della natura e della verità.

Siamo a cavallo tra XVI e XVII secolo: i papi, per fermare la Riforma, rispondono con programmi artistici volti a impressionare i fedeli e a riaffermare il primato della Chiesa di Roma.

La pittura del Caravaggio fu aspramente criticata e osteggiata, tanto da essere dimenticata per secoli. Anche il suo primo biografo, Giovanni Baglione, odiava la sua arte e non fece nulla per difenderne la memoria artistica. Le sue opere vennero attribuite ad altri pittori e la tenebra che portò in pittura finì per oscurare anche il suo nome.

La rivalutazione dopo tre secoli si ebbe nel 1920 con lo storico dell’arte Roberto Longhi

Michelangelo Merisi nasce a Caravaggio in provincia di Bergamo nel 1571 e dopo un periodo di apprendistato presso la bottega di Simone Peterzano, giunge a Roma tra il 1591 e il 1592. Perché Roma? Beh, perché era la capitale culturale e artistica d’Italia… e quindi del mondo.

Insieme ad amici sfollati lombardi e artisti vari, alterna momenti di lavoro a bevute, ritrovi in quartieri malfamati e compagnie poco raccomandabili, a vigne e possedimenti di ricchi mecenati. La vita romana, insomma, gli è piaciuta fin da subito. 

Trova protezione presso monsignor Pandolfo Pucci, il quale gli commissiona copie di opere sacre, ma durante il tempo libero preferisce dipingere quadri che sente più come suoi, come “Ragazzo morso da ramarro” (1595 circa) e vari quadri di nature morte.

Decide di lasciare il monsignore, forse perché era tanto taccagno da guadagnarsi l’appellativo di “Monsignor Insalata” (per via del vitto basato esclusivamente a base di lattuga).

Vivendo per strada, in condizioni di miseria e povertà, si ammala di peste e si ritrova in fin di vita all’ospedale dei poveri in Santa Maria della Consolazione. Il suo celebre “Bacchino malato” dipinto tra il 1596 e il 1597, è l’espressione diretta di questo suo periodo di malattia e convalescenza, che lo segnerà per sempre.

bacchino malato
Bacchino malato

Nel 1596 entra al servizio della bottega del Cavalier d’Arpino, tramite il quale conoscerà ricchi mecenati e cardinali. Sarà un momento decisivo per l’affermazione della sua visione pittorica: difatti, mentre viene reclutato per realizzare quadri di stanza per collezionisti interessati più alla qualità che al soggetto, il Merisi affermerà che “tanta manifattura è nel fare un quadro di fiori come di figure”. In tal modo afferma che la differenza nell’eseguire un quadro con una Madonna e uno con della frutta sta più sul piano della qualità pittorica che su quella dei contenuti, contestando quindi il primato della figura umana (caposaldo della pittura rinascimentale) e rivendicando un’autonomia inaudita per l’artista, in quanto non ha bisogno di legittimazioni politiche, sociali o religiose.

Nel frattempo, il Cavalier d’Arpino viene arrestato per possesso d’armi da fuoco e il Caravaggio è di nuovo per strada.

Durante questo periodo conobbe la crème de la crème della Roma bene. Ma al Caravaggio non interessano i salotti e le buone maniere, né tanto meno quell’arte di “decoro” dettata da artisti come Zuccari o Barocci o la maniera così sublime dei Carracci.

Genio ribelle e pieno di sé, pittore dell’imitazione “dal naturale”, gira per piazza Navona, sul Tevere in mezzo agli sfollati insieme al “Tempesta”, Lionello Spada, Orazio Gentileschi e altri artisti come lui, tutti, come diremmo a Roma, “senza ‘na lira pe piagne”. Si divertono a provocare la polizia, andare con modelle e prostitute, ubriacarsi e scandalizzare i borghesotti romani. Impavidi e sfacciati, il motto di questi pittori-spadaccini è – come ricorda Joachim von Sandratr – “nec spe, nec metu” (senza speranza, senza paura). Ormai “persona nota alle forze dell’ordine”, il Caravaggio gira per le taverne e le osterie di Campo Marzio, tra imbroglioni e delinquenti che sicuramente hanno ispirato sue opere come I bari (1594-96). Viene arrestato in più occasioni, reo di andare in giro armato di spada e di avere un porto d’armi abusivo. 

Amici mercanti d’arte, come Costantino Spada, gli consigliano di dedicarsi a soggetti sacri adatti ad essere presentati a una commissione di pregio, ma il Merisi continua ad essere attratto dai vagabondi e dai soggetti di strada; così si presenta allo stesso Spada con la celebre Buona Ventura, oggi al Louvre (1596-97), vendutagli solo per trenta scudi.

buona ventura
Buona Ventura

Sarà di un’altra Buona Ventura, acquistata dallo Spada, quella oggi esposta alla Pinacoteca Capitolina, di cui si innamorerà il cardinal Francesco Maria del Monte, il mecenate che aprirà al Caravaggio le porte dei grandi collezionisti romani e porrà fine alla sua giovinezza.

Ma questo è soltanto l’inizio del suo cammino verso l’immortalità. 

Foto di pubblico dominio. Fonte: Wikimedia.org

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